Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20085 del 30/07/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 20085 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: MAROTTA CATERINA

SENTENZA
sul ricorso 28955-2015 proposto da:
IMBRENDA MARIA CARMELA, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA CIPRO 77, presso lo studio dell’avvocato
GERARDO RUSSILLO, che la rappresenta e difende giusta
delega in atti;
– rico rrOnte –

contro

2018
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POSTE

ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, (AREA LEGALE
TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE), presso lo

Data pubblicazione: 30/07/2018

studio dell’ avvocato ROSSANA CLAVELLI, rappresentato
e difeso dall’avvocato STELLARIO VENUTI, giusta
delega in atti;
– con troricorrente –

avverso la sentenza n. 336/2015 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/03/2018 dal Consigliere Dott. CATERINA
MAROTTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale DOTT. PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato ALESSANDRA ALLEGRETTI per delega
verbale Avvocato GERARDO RUSSILLO;
udito l’Avvocato ROSSANA CLAVELLI per delega verbale
Avvocato STELLARIO VENUTI.

di ROMA, depositata il 04/06/2015 r.g.n. 374/2013;

R. Gen. N. 28955/2015

FATTI DI CAUSA
1.1. Con ricorso al Tribunale di Roma Maria Carmela Imbrenda
conveniva in giudizio Poste Italiane S.p.A. chiedendo l’accertamento
della nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso inter
partes per il periodo 9.11.2010 – 31.10.2011, ai sensi del d.lgs. n.
368/2001, art. 2, co. 1 bis, così come modificato dalla I. n. 266/2005,

territoriale Sud – Comune di Polla.
1.2. Il Tribunale rigettava la domanda ritenendo legittima
l’apposizione del termine.
1.3. La Corte di appello di Roma confermava tale pronuncia.
Ritenevano i giudici di secondo grado che l’interpretazione dell’art.
2, co. 1 bis, del d.lgs. n. 368/2001, secondo la quale il legislatore,
salvaguardando il principio di regola-eccezione, non avesse richiesto di
indicare sotto il profilo formale e di rispettare sul piano sostanziale la
causale oggettiva e di natura temporanea, come ipotesi alternativa
rispetto all’art. 1 del medesimo d.lgs., non contrastasse con
l’ordinamento europeo.
Osservavano che la percentuale di contingentamento fosse stata
rispettata ed al riguardo rilevavano che i dati forniti dalla società a
mezzo del prospetto ritualmente prodotto non fossero stati contestati
dalla lavoratrice e che tali dati in ogni caso superassero i rilievi
dell’appellante essendo stato correttamente preso in considerazione il
numero di lavoratori assunti (c.d. criterio per teste) e non quello dei
posti di lavoro a tempo pieno occupati (cd. full time equivalent).
Ritenevano, infine, quanto al bacino di riferimento, che dovesse
considerarsi, come sostenuto dalla società, l’organico complessivo e
non solo quello degli addetti al servizio di recapito.
2. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, Maria
Carmela Imbrenda propone ricorso per cassazione fondato su due
motivi.

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per lo svolgimento dell’attività di portalettere presso l’area logistica

R. Gen. N. 28955/2015

3. L’intimata Poste S.p.A. resiste con controricorso.
4. La causa è stata rimessa all’udienza pubblica a seguito di
ordinanza della Sesta Sezione civile adottata all’udienza camerale del
23.2.2017.
5. Non sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE

applicazione del d.lgs. n. 368/2001, artt. 1 e 2, co. 1 bis nonché della
direttiva 1999/70/CE. Sostiene che la Corte capitolina avrebbe errato
nel ritenere che quella prevista dall’art. 2, co. 1

bis, del d.lgs. n.

368/2001 costituisca una disciplina speciale (alternativa rispetto alla
previsione di cui all’art. 1) tale da rendere non necessaria la
specificazione delle ragioni dell’assunzione a termine e che tale
disposizione, così come interpretata, oltre a costituire una forma di
abuso di posizione dominante, si pone in contrasto con la normativa
comunitaria in materia come contenuta nell’Accordo Quadro (ed in
particolare nella clausola di non regresso di cui al punto 8 n. 3)
realizzando un arretramento di tutela per i lavoratori a tempo
determinato. Assume che la necessità di connessione con ragioni
oggettive fa sì che queste ultime non possano ravvisarsi in una norma
di legge che consenta la contrattazione a termine senza altra
specificazione e che sono irrilevanti eventuali peculiarità del rapporto
connesse alla diversità del datore di lavoro o a particolari esigenze
settoriali. Rileva che il d.lgs. n. 368/2001, art. 2, co. 1 bis, coinvolge il
settore postale oggetto di concessione di un’unica azienda agevolando
in tal modo il soddisfacimento di esigenze non già temporanee ma
permanenti e durevoli della stessa e che la riduzione di tutela riguarda
una porzione significativa dei lavoratori a tempo determinato, con ciò
verificandosi una

reformatio in peius

vietata dalla Direttiva

menzionata. Né l’intervento normativo in questione comportante una
riforma in senso peggiorativo è compensato da altre misure finalizzate

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1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa

R. Gen. N. 28955/2015

a mantenere inalterato il livello generale di tutela esistente nello Stato
membro. Sottolinea che la Corte costituzionale, con la sentenza n.
214/2009, non ha affrontato il problema del rapporto tra la normativa
nazionale e quella comunitaria e che, stante il rilevato contrasto con
quest’ultima, la norma contrastante deve essere disapplicata dal
Giudice, con conseguente venir meno della copertura legislativa della

disciplina del d.lgs. n. 368/2001, art. 1, la verifica della insussistenza
dei requisiti oggettivi ivi previsti, con conseguente nullità, in ogni caso,
della clausola appositiva del termine.
1.2. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia violazione
dell’art. 2, co. i bis del d.lgs. n. 368/2001 con riferimento al ritenuto
rispetto della clausola di contingentamento, idonea a giustificare
l’apposizione del termine. Sostiene l’erroneità del criterio di computo
utilizzato dalla Corte capitolina tanto con riguardo al bacino di
riferimento quanto con riguardo ai dati per il raffronto. Rileva, al
riguardo, che sarebbe stata operata un’indebita inversione dell’onere
della prova addossando alla lavoratrice l’onere di indicare
tempestivamente elementi concreti dai quali desumere il
superamento della percentuale di contingentamento e che
erroneamente sarebbero stati computati i dipendenti ai fini del calcolo
del predetto considerando anche gli addetti ai servizi finanziari.
Evidenzia che nessuna valida prova del rispetto della percentuale
suddetta era stata fornita da chi ne era onerato e che in particolare
non era stato verificato il rispetto della percentuale in rapporto
all’organico aziendale inteso quale ‘full time equivalent’.
2.1. Il primo motivo è infondato.
Va richiamata, infatti, la recente pronuncia di questa Corte a
Sezioni Unite n. 11374 del 31 maggio 2016, la quale – escluso il
carattere ‘aggiuntivo’ della disciplina, di cui all’art. 2, co. 1 bis, d.lgs.
n. 368/2001 rispetto a quella dettata dall’art. 1 del medesimo decreto

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clausola appositiva del termine, o anche, in caso di applicazione della

R. Gen. N. 28955/2015

– ha statuito che le assunzioni a termine effettuate dalle imprese
concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i
requisiti specificati dall’art. 2, co. 1

bis, “non necessitano anche

dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo” ai sensi del precedente art. 1 “trattandosi
di ambito nel quale la valutazione sulla sussistenza della

Va, altresì, richiamata la decisione di questa Corte n. 11659
dell’Il luglio 2012, la quale ha precisato che la disposizione dell’art.
2, co. 1 bis, “non contrasta con l’ordinamento comunitario, in quanto,
come rilevato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (C-20/10,
Vino), è giustificata dalla Direttiva 1997/67/CE, in tema di sviluppo
del mercato interno dei servizi postali, non venendo in rilievo la
Direttiva 1999/70/CE, in tema di lavoro a tempo determinato,
neppure con riferimento al principio di non discriminazione, che è
affermato per le disparità di trattamento fra lavoratori a tempo
determinato e lavoratori a tempo indeterminato, ma non anche per le
disparità di trattamento fra differenti categorie di lavoratori a tempo
determinato”.
Va, poi, ricordato che l’art. 2, co. 1 bis d.lgs. n. 368/2001 si
riferisce esclusivamente alla tipologia di imprese presso cui avviene
l’assunzione (quelle concessionarie di servizi e settori delle poste) e
non anche alle mansioni del lavoratore assunto, in coerenza con la
ratio della disposizione, ritenuta legittima dalla Corte costituzionale
con sentenza n. 214 del 2009, individuata nella possibilità di
assicurare al meglio lo svolgimento del cd. ‘servizio universale’
postale, ai sensi dell’art. 1, co. 1, d.lgs. n. 261/1999, di attuazione
della direttiva 1997/67/CE, mediante il riconoscimento di una certa
flessibilità nel ricorso allo strumento del contratto a tempo
determinato, sia pure entro limiti quantitativi fissati inderogabilmente

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/7
L

giustificazione è stata operata ex ante direttamente dal legislatore”.

R. Gen. N. 28955/2015

dal legislatore (v. Cass. 2 luglio 2015, n. 13609; Cass. 5 febbraio
2016, n. 2324; Cass. 10 maggio 2017, n. 16431).
Anche in questo caso trattasi di valutazione normativa preventiva
ed astratta, non manifestamente irragionevole, per l’assicurazione
dell’indicata garanzia alle imprese concessionarie di servizi postali,
pure conforme al diritto dell’Unione europea come interpretato dalla

3 dell’accordo quadro allegato alla Direttiva 99/70/CE (Corte di
giustizia C-20/10, Vino cit., p.ti 38 – 42), non sussistendo alcuna
riduzione di tutela del lavoratore qualora non si verta in materia
riconducibile all’applicazione dell’accordo quadro, ma alla
realizzazione di altro e distinto obiettivo (Corte di giustizia UE C378/07 e riuniti C-379/07 e C-380/07, Angelidaki e altri, p.to 133;
Corte di giustizia UE C- 144/04 Mangold, p.ti 52 e 53), quale appunto
quello suindicato.
A loro volta i summenzionati limiti quantitativi sono rafforzati dal
controllo che sulla loro osservanza può essere svolto grazie al
meccanismo di trasparenza delineato dall’art. 2, co. 1 bis, del d.lgs.
n. 368/2001, che impone all’azienda di comunicare alle organizzazioni
sindacali provinciali di categoria le richieste di assunzioni a termine.
Non si configurano, inoltre, i presupposti per l’integrazione di un
abuso di posizione dominante, in assenza in particolare di un libero
mercato, tanto meno ‘rilevante’ (Cass. 4 giugno 2015, n. 11564;
Cass. 13 febbraio 2009, n. 3638), nel quale l’attività caratteristica di
Poste Italiane S.p.A. sarebbe stata svolta (Cass. 24 maggio 2017, n.
13022).
Neppure è condivisibile la tesi dell’incompatibilità con la clausola
n. 5 dell’accordo quadro della normativa italiana che permette la
stipulazione di più contratti a termine senza necessità di indicare le
ragioni della scelta ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001, ma in
presenza dei soli presupposti richiesti dall’art. 2, co. 1 e 1 bis. Come

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giurisprudenza, in quanto non collegata all’attuazione dell’art. 8, p.to

R. Gen. N. 28955/2015

la Corte di giustizia ha reiteratamente precisato, quella indicata dalla
lett. a) del punto n. 1 della clausola 5 dell’accordo quadro (‘ragioni
obiettive per la giustificazione del rinnovo’) è una delle tre misure
considerate idonee a prevenire gli abusi, che non devono essere tutte
presenti in quanto è sufficiente che lo Stato membro ne adotti una. E
con riferimento ai settori indicati nei commi 1 e 1 bis dell’art. 2, il

(‘durata massima totale dei contratti o rapporti a tempo determinato
successivi’), in aggiunta peraltro ad altre restrizioni specifiche (cfr.
Cass., Sez. U., n. 11374/2016 cit.).
2.2. Il secondo motivo è infondato.
Innanzitutto non vi è stata alcuna inversione dell’onere della
prova avendo la Corte territoriale ritenuto che la società (onerata)
avesse dimostrato l’avvenuto rispetto della percentuale di
contingentamento.
Il motivo è, poi, infondato là dove deduce la necessità di
escludere dal computo i lavoratori non addetti al ‘servizio postale
universale’.
In tema di rispetto dell’art. 2, co. 1

bis, d.lgs. n. 368/2001,

secondo cui “le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche
quando l’assunzione sia effettuata da imprese concessionarie di
servizi nei settori delle poste … nella percentuale non superiore al
15°h dell’organico aziendale, riferito al 10 gennaio dell’anno cui le
assunzioni si riferiscono”, questa Corte ha già sancito che la
percentuale del 15°h è riferita all’intero organico aziendale: la norma
fa esclusivo riferimento alla tipologia dell’impresa presso cui avviene
l’assunzione e nulla dispone in relazione alla tipologia delle mansioni
esercitate dai dipendenti ai fini della possibilità di assunzione a
termine ed una tale limitazione è estranea anche alle motivazioni
adottate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 214/2009;
nessuna limitazione per ambito aziendale è prevista, non potendo

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legislatore italiano ha adottato la misura prevista dalla lett. b)

R. Gen. N. 28955/2015

essa trarsi dall’obbligo di comunicazione alle organizzazioni sindacali
provinciali (v. Cass. 2 luglio 2015, n. 13609; Cass. 20 gennaio 2016,
n. 1029; Cass. 5 febbraio 2016, n. 2324; Cass. 4 luglio 2017, n.
16431).
Quanto alla verifica, in concreto, del rispetto di tale limite, la Corte
territoriale ha correttamente applicato il criterio ‘per teste’ e respinto il

dato dell’organico a tempo indeterminato, al diverso criterio del ‘full
time equivalent’ come risultante dai bilanci della società.
Sul punto questa Corte ha affermato che, in tema di contratto di
lavoro a tempo determinato, l’art. 2, co. 1 bis, del d.lgs. n. 368/2001,
nel prevedere che il numero dei lavoratori assunti a termine dalle
imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste non possa
superare il limite percentuale del quindici per cento dell’organico
aziendale, si riferisce al numero complessivo dei lavoratori assunti, in
base ad un criterio quantitativo ‘per teste’, dovendosi escludere il
computo dei contratti a tempo determinato

‘part time’ fino alla

concorrenza dell’orario pieno, ossia secondo il criterio cd. ‘fui! time
equivalent’, previsto dall’art. 6, co. 1, del d.lgs. n. 61/2000 al fine di
facilitare il calcolo dell’organico in sede di recepimento della direttiva
1997/81/CE e in vista della prevedibile estensione del lavoro a tempo
parziale, ma non anche ai fini della disciplina dei limiti di utilizzo del
contratto a tempo determinato, che ha una specifica

‘ratio’,

riconducibile alla finalità antiabusiva della direttiva 1999/70/CE (così
Cass. 15 gennaio 2018, n. 753).
Nella medesima decisione si è evidenziato che con l’utilizzazione
di due diversi criteri di calcolo (quello del

full time equivalent,

previsto dall’art. 6, co. 1, d.lgs. n. 61/2000, per determinare
l’organico e quello numerico ‘per teste’ per determinare gli assunti a
termine) si realizzerebbe un raffronto irrazionale per la disomogeneità
dei parametri di commisurazione delle due grandezze e non coerente

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rilievo dell’appellante che pretendeva farsi riferimento, per il (solo)

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con la formulazione letterale della norma che è quella di garantire
un’adeguata proporzione tra due specifiche tipologie contrattuali
(tempo determinato e tempo indeterminato) – si veda anche Cass. 11
febbraio 2014, n. 3031 resa con riguardo ad una ipotesi in cui la
percentuale da non superare era stata fissata dalla contrattazione
collettiva -.

4. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
5. Va dato atto dell’applicabilità dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, co. 17, legge
24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in
favore della controricorrente, delle spese delle spese del presente
giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro
4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e
rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso
articolo 13.
Roma, così deciso nella camera di consiglio dell’8 marzo 2018

3. Conclusivamente il ricorso va rigettato.

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