Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20085 del 24/09/2020

Cassazione civile sez. I, 24/09/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 24/09/2020), n.20085

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23849/2018 proposta da:

M.P.M., elettivamente domiciliato in Macerata, via

Morbiducci n. 21, presso lo studio dell’avv. L. Froldi, che lo

rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma, via dei

Portoghesi 12, presso la sede dell’Avvocatura Generale dello Stato,

che lo rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 10/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/02/2020 dal Cons. Dott. SOLAINI LUCA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Ancona, in accoglimento del ricorso proposto da M.P.M., cittadino del (OMISSIS), contro il provvedimento di diniego di riconoscimento del suo diritto alla protezione internazionale emesso dalla competente Commissione territoriale, accordò al richiedente asilo lo status di rifugiato, in quanto profugo dalla Libia.

La Corte d’appello di Ancona ha accolto il gravame proposto dal Ministero dell’Interno avverso la decisione, rilevando: che, ai fini del riconoscimento a M. dello status di rifugiato, non si doveva tener conto del suo transito per la Libia, ma della sua provenienza dal Bangladesh; che le ragioni della fuga del richiedente dal proprio paese d’origine erano di natura essenzialmente economica, dettate da povertà ed emarginazione sociale e non da atti di persecuzione qualificata, il che escludeva che potessero ravvisarsi gli estremi per l’accoglimento della domanda principale; che non ricorrevano le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria, atteso che in caso di rientro in patria il richiedente non correva il pericolo di essere sottoposto a tortura o ad altri trattamenti inumani o degradanti e che il Bangladesh non versa in situazione di violenza indiscriminata determinata da conflitto armato; che, infine, non emergendo una vulnerabilità psico-fisica del richiedente, non poteva essergli accordata neppure la protezione umanitaria.

Contro la sentenza, pubblicata il 10 gennaio 2018, M.P.M. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorrente censura la decisione: (i) sotto un primo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la corte d’appello, in violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria, non gli ha chiesto alcun chiarimento nè ha approfondito le dichiarazioni da lui rese in sede amministrativa, omettendo di verificare la veridicità del suo racconto; (ii) sotto un secondo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in quanto, erroneamente, la corte del merito ha ritenuto che in Bangladesh non sussista alcun pericolo di grave danno, in caso di rientro in patria, nonostante le gravi carenze del paese in termini di democrazia e di diritti umani.

Il primo motivo è inammissibile, perchè non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata: il ricorrente è stato infatti ritenuto credibile, ma è la vicenda da lui narrata che, ad avviso della corte d’appello, non rientra nel perimetro normativo della protezione internazionale.

Il secondo motivo è parimenti inammissibile in quanto, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), rileva unicamente la minaccia alla vita o all’incolumità fisica derivante da violenza indiscriminata, in situazione di conflitto armato, cui il richiedente sarebbe esposto in caso di suo rientro nel paese d’origine.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna il ricorrente a pagare al Ministero dell’amministrazione statale le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo di Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020

 

 

 

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