Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20084 del 30/07/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 20084 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: MAROTTA CATERINA

SENTENZA

sul ricorso 30041-2014 proposto da:
INNAMORATO CONO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA CIPRO 77, presso lo studio dell’avvocato GERARDO
RUSSILLO, che lo rappresenta e difende giusta delega
in atti;
– ricorrente –

2018
1020

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso lo
studio dell’avvocato ROBERTA AIAZZI, rappresentata e

Data pubblicazione: 30/07/2018

difesa dall’avvocato ANTONINO AMATO, giusta delega in
atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 5083/2014 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/06/2014 r.g.n.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/03/2018 dal Consigliere Dott. CATERINA
MAROTTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale DOTT. PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato ALESSANDRA ALLEGRETTI per delega
verbale GERARDO RUSSILLO;
udito l’Avvocato ROSSANA CLAVELLI per delega verbale
ANTONINO AMATO.

5839/2012;

R. Gen. N. 30041/2014

FATTI DI CAUSA
1.1. Con ricorso al Tribunale di Roma Cono Innamorato conveniva
in giudizio Poste Italiane S.p.A. chiedendo l’accertamento della nullità
del termine apposto al contratto di lavoro concluso inter partes per il
periodo 21.7.2008 – 31.8.2008, ai sensi del d.lgs. n. 368/2001, art. 2,
co. 1 bis, così come modificato dalla I. n. 266/2005, per lo svolgimento

1.2. Il Tribunale rigettava la domanda ritenendo essere intervenuta
la risoluzione del rapporto per mutuo consenso.
1.3. La Corte di appello di Roma confermava tale pronuncia pur
con diversa motivazione.
Esclusa la risoluzione per mutuo consenso, ritenevano i giudici di
secondo grado che l’interpretazione dell’art. 2, co. 1 bis, del d.lgs. n.
368/2001, secondo la quale il legislatore, salvaguardando il principio di
regola-eccezione, non avesse richiesto di indicare sotto il profilo
formale e di rispettare sul piano sostanziale la causale oggettiva e di
natura temporanea, come ipotesi alternativa rispetto all’art. 1 del
medesimo d.lgs. non contrastasse con l’ordinamento europeo.
Evidenziavano che la comunicazione alle oo.ss. non fosse prevista
a pena di nullità ma al solo fine di controllo e trasparenza.
Ritenevano rispettata la clausola di contingentamento respingendo
la tesi dell’appellante secondo cui il calcolo della relativa percentuale
avrebbe dovuto essere determinato considerando dati disomogenei
(criterio del ‘full time equivalenti ex art. 6 del d.lgs. n. 61/2000 per il
calcolo degli assunti a tempo indeterminato e criterio ‘per teste’ per gli
assunti a termine) e sottolineando che la stessa

ratio

del

contingentamento imponesse, al contrario, il confronto tra dati
omogenei.
2. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale Cono
Innamorato propone ricorso per cassazione fondato su due motivi.
3. L’intimata Poste S.p.A. resiste con controricorso.

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dell’attività di portalettere presso la sede di Abbiategrasso (Mi).

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4. La causa è stata rimessa all’udienza pubblica a seguito di
ordinanza della Sesta Sezione civile adottata all’udienza camerale del
5.10.2017.
5. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis, co. 2, cod.
proc. civ..
6. La società ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa
applicazione del d.lgs. n. 368/2001, artt. 1 e 2, co. 1 bis nonché della
direttiva 1999/70/CE. Sostiene che la Corte capitolina avrebbe errato
nel ritenere che quella prevista dall’art. 2, co. 1

bis, del d.lgs. n.

368/2001 costituisca una disciplina speciale tale da rendere non
necessaria la specificazione delle ragioni dell’assunzione a termine e
che tale disposizione, così come interpretata, oltre a costituire una
forma di abuso di posizione dominante, si pone in contrasto con la
normativa comunitaria in materia come contenuta nell’Accordo Quadro
(ed in particolare nella clausola di non regresso di cui al punto 8 n. 3)
realizzando un arretramento di tutela per i lavoratori a tempo
determinato. Assume che la necessità di connessione con ragioni
oggettive fa sì che queste ultime non possano ravvisarsi in una norma
di legge che consenta la contrattazione a termine senza altra
specificazione e che sono irrilevanti eventuali peculiarità del rapporto
connesse alla diversità del datore di lavoro o a particolari esigenze
settoriali. Rileva che il d.lgs. n. 368/2001, art. 2, co. 1 bis, coinvolge il
settore postale oggetto di concessione di un’unica azienda agevolando
in tal modo il soddisfacimento di esigenze non già temporanee ma
permanenti e durevoli della stessa e che la riduzione di tutela riguarda
una porzione significativa dei lavoratori a tempo determinato, con ciò
verificandosi una

reformatio in peius

vietata dalla Direttiva

menzionata. Né l’intervento normativo in questione comportante una
riforma in senso peggiorativo è compensato da altre misure finalizzate

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/

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a mantenere inalterato il livello generale di tutela esistente nello Stato
membro. Sottolinea che la Corte costituzionale, con la sentenza n.
214/2009, non ha affrontato il problema del rapporto tra la normativa
nazionale e quella comunitaria e che, stante il rilevato contrasto con
quest’ultima, la norma contrastante deve essere disapplicata dal
Giudice, con conseguente venir meno della copertura legislativa della

disciplina del d.lgs. n. 368/2001, art. 1, la verifica della insussistenza
dei requisiti oggettivi ivi previsti, con conseguente nullità, in ogni caso,
della clausola appositiva del termine.
1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione
dell’art. 2, co. 1 bis del d.lgs. n. 368/2001 con riferimento al ritenuto
rispetto della clausola di contingentamento, idonea a giustificare
l’apposizione del termine. Censura la sentenza impugnata per
l’adottato criterio di calcolo ed in particolare per il raffronto operato
su dati omogenei. Rileva, inoltre, che la Corte territoriale non avrebbe
precisato nulla in merito all’idoneità o meno della documentazione
prodotta da controparte a soddisfare l’onere probatorio sulla stessa
incombente ed avrebbe ritenuto incombente sul lavoratore la prova
delle ragioni della dedotta illegittimità del contratto di lavoro per
violazione del requisito numerico. Evidenzia che la società aveva solo
depositato un generico prospetto nel quale sono riportati il numero
dei dipendenti a tempo determinato al 31/12/2008 ed il numero dei
dipendenti a tempo indeterminato all’1/1/2008. Secondo tale
prospetto risultava rispettata la clausola di contingentamento per il
2008 ma si trattava di documento privo di valenza probatoria. In ogni
caso il calcolo effettuato in sede di tale prospetto era erroneo perché
Poste aveva considerato come unità intera anche i dipendenti a
tempo parziale indipendentemente dall’orario svolto ed aveva anche
incluso i dipendenti diversi da quelli addetti al servizio di
corrispondenza.

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clausola appositiva del termine, o anche, in caso di applicazione della

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2.1. Il primo motivo è infondato.
Va richiamata, infatti, la recente pronuncia di questa Corte a
Sezioni Unite n. 11374 del 31 maggio 2016, la quale – escluso il
carattere ‘aggiuntivo’ della disciplina, di cui all’art. 2, co. 1 bis, d.lgs.
n. 368/2001 rispetto a quella dettata dall’art. 1 del medesimo decreto
– ha statuito che le assunzioni a termine effettuate dalle imprese

requisiti specificati dall’art. 2, co. 1

bis, “non necessitano anche

dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo” ai sensi del precedente art. 1 “trattandosi
di ambito nel quale la valutazione sulla sussistenza della
giustificazione è stata operata ex ante direttamente dal legislatore”.
Va, altresì, richiamata la decisione di questa Corte n. 11659
dell’Il luglio 2012, la quale ha precisato che la disposizione dell’art.
2, co. 1 bis, “non contrasta con l’ordinamento comunitario, in quanto,
come rilevato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (C-20/10,
Vino), è giustificata dalla Direttiva 1997/67/CE, in tema di sviluppo
del mercato interno dei servizi postali, non venendo in rilievo la
Direttiva 1999/70/CE, in tema di lavoro a tempo determinato,
neppure con riferimento al principio di non discriminazione, che è
affermato per le disparità di trattamento fra lavoratori a tempo
determinato e lavoratori a tempo indeterminato, ma non anche per le
disparità di trattamento fra differenti categorie di lavoratori a tempo
determinato”.
Va, poi, ricordato che l’art. 2, co. 1 bis d.lgs. n. 368/2001 si
riferisce esclusivamente alla tipologia di imprese presso cui avviene
l’assunzione (quelle concessionarie di servizi e settori delle poste) e
non anche alle mansioni del lavoratore assunto, in coerenza con la
ratio della disposizione, ritenuta legittima dalla Corte costituzionale
con sentenza n. 214 del 2009, individuata nella possibilità di
assicurare al meglio lo svolgimento del cd. ‘servizio universale’

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concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i

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postale, ai sensi dell’art. 1, co. 1, d.lgs. n. 261/1999, di attuazione
della direttiva 1997/67/CE, mediante il riconoscimento di una certa
flessibilità nel ricorso allo strumento del contratto a tempo
determinato, sia pure entro limiti quantitativi fissati inderogabilmente
dal legislatore (v. Cass. 2 luglio 2015, n. 13609; Cass. 5 febbraio
2016, n. 2324; Cass. 10 maggio 2017, n. 16431).

ed astratta, non manifestamente irragionevole, per l’assicurazione
dell’indicata garanzia alle imprese concessionarie di servizi postali,
pure conforme al diritto dell’Unione europea come interpretato dalla
giurisprudenza, in quanto non collegata all’attuazione dell’art. 8, p.to
3 dell’accordo quadro allegato alla Direttiva 99/70/CE (Corte di
giustizia C-20/10, Vino cit., p.ti 38 – 42), non sussistendo alcuna
riduzione di tutela del lavoratore qualora non si verta in materia
riconducibile all’applicazione dell’accordo quadro, ma alla
realizzazione di altro e distinto obiettivo (Corte di giustizia UE C378/07 e riuniti C-379/07 e C-380/07, Angelidaki e altri, p.to 133;
Corte di giustizia UE C- 144/04 Mangold, p.ti 52 e 53), quale appunto
quello suindicato.
A loro volta i summenzionati limiti quantitativi sono rafforzati dal
controllo che sulla loro osservanza può essere svolto grazie al
meccanismo di trasparenza delineato dall’art. 2, co. 1 bis, del d.lgs.
n. 368/2001, che impone all’azienda di comunicare alle organizzazioni
sindacali provinciali di categoria le richieste di assunzioni a termine.
Non si configurano, inoltre, i presupposti per l’integrazione di un
abuso di posizione dominante, in assenza in particolare di un libero
mercato, tanto meno ‘rilevante’ (Cass. 4 giugno 2015, n. 11564;
Cass. 13 febbraio 2009, n. 3638), nel quale l’attività caratteristica di
Poste Italiane S.p.A. sarebbe stata svolta (Cass. 24 maggio 2017, n.
13022).

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Anche in questo caso trattasi di valutazione normativa preventiva

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Neppure è condivisibile la tesi dell’incompatibilità con la clausola
n. 5 dell’accordo quadro della normativa italiana che permette la
stipulazione di più contratti a termine senza necessità di indicare le
ragioni della scelta ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001, ma in
presenza dei soli presupposti richiesti dall’art. 2, co. 1 e 1 bis. Come
la Corte di giustizia ha reiteratamente precisato, quella indicata dalla

obiettive per la giustificazione del rinnovo’) è una delle tre misure
considerate idonee a prevenire gli abusi, che non devono essere tutte
presenti in quanto è sufficiente che lo Stato membro ne adotti una. E
con riferimento ai settori indicati nei commi 1 e 1 bis dell’art. 2, il
legislatore italiano ha adottato la misura prevista dalla lett. b)
(‘durata massima totale dei contratti o rapporti a tempo determinato
successivi’), in aggiunta peraltro ad altre restrizioni specifiche (cfr.
Cass., Sez. U., n. 11374/2016 cit.).
2.2. Il secondo motivo è infondato.
Innanzitutto nella sentenza della Corte di appello non si sostiene
né che l’onere della prova del rispetto dei limiti in percentuale delle
assunzioni a termine non fosse a carico del datore di lavoro, né che il
lavoratore ricorrente avesse l’onere di eccepire il superamento di detto
limite e non avesse formulato tale eccezione.
La sentenza, infatti, si limita ad evidenziare, sulla base dell’esame
della documentazione acquisita agli atti di causa, l’avvenuto rispetto
del limite relativo alla percentuale massima di assunzioni a termine
previsto dall’art. 2, co. 1 bis, del d.lgs. 368/2001.
Il motivo è, poi, infondato, là dove deduce la necessità di
escludere dal computo i lavoratori non addetti al ‘servizio postale
universale’.
In tema di rispetto dell’art. 2, co. 1

bis, d.lgs. n. 368/2001,

secondo cui “le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche
quando l’assunzione sia effettuata da imprese concessionarie di

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lett. a) del punto n. 1 della clausola 5 dell’accordo quadro (‘ragioni

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servizi nei settori delle poste … nella percentuale non superiore al
15% dell’organico aziendale, riferito al 10 gennaio dell’anno cui le
assunzioni si riferiscono”, questa Corte ha già sancito che la
percentuale del 15% è riferita all’intero organico aziendale: la norma
fa esclusivo riferimento alla tipologia dell’impresa presso cui avviene
l’assunzione e nulla dispone in relazione alla tipologia delle mansioni

termine ed una tale limitazione è estranea anche alle motivazioni
adottate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 214/2009;
nessuna limitazione per ambito aziendale è prevista, non potendo
essa trarsi dall’obbligo di comunicazione alle organizzazioni sindacali
provinciali (v. Cass. 2 luglio 2015, n. 13609; Cass. 20 gennaio 2016,
n. 1029; Cass. 5 febbraio 2016, n. 2324; Cass. 4 luglio 2017, n.
16431).
Il motivo è del pari infondato là dove deduce la congiunta
applicabilità di due diversi criteri di calcolo (quello del full time
equivalent,

previsto dall’art. 6, co. 1, d.lgs. n. 61/2000, per

determinare l’organico e quello numerico ‘per teste’ per determinare
gli assunti a termine).
In tal modo, infatti, si realizzerebbe un raffronto irrazionale per la
disomogeneità dei parametri di commisurazione delle due grandezze
e non coerente con la formulazione letterale della norma che è quella
di garantire un’adeguata proporzione tra due specifiche tipologie
contrattuali (tempo determinato e tempo indeterminato) – cfr. Cass.
11 febbraio 2014, n. 3031 resa con riguardo ad una ipotesi in cui la
percentuale da non superare era stata fissata dalla contrattazione
collettiva e la recentissima Cass. 15 gennaio 2018, n. 753 resa
proprio con riferimento all’art. 2, co. 1 bis, del d.lgs. n. 368/2001 -.
3. Conclusivamente il ricorso va rigettato.
4. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.

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esercitate dai dipendenti ai fini della possibilità di assunzione a

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5. Va dato atto dell’applicabilità dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, co. 17, legge
24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in
favore della controricorrente, delle spese delle spese del presente

4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e
rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso
articolo 13.
Roma, così deciso nella camera di consiglio dell’8 marzo 2018

giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro

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