Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20083 del 30/07/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 20083 Anno 2018
Presidente: BRONZINI GIUSEPPE
Relatore: MAROTTA CATERINA

ORDINANZA
sul ricorso 19243-2016 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2018
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SACCO COSTANZA MARIA, domiciliata in ROMA, PIAZZA
CAVOUR, presso la Cancelleria della Corte di
Cassazione, rappresentata e difesa dagli Avvocati
ALFREDO CIRO MATARANTE, ROSA FALLUCCHI giusta delega
in atti;

Data pubblicazione: 30/07/2018

- controricorrente

avverso la sentenza n. 221/2016 della CORTE D’APPELLO

di BARI, depositata il 09/02/2016 R.G.N. 2789/2013.

R. Gen. N. 19243/2016

Rilevato che:

1.1. con ricorso al Tribunale di Lucera Maria Costanza Sacco
impugnava il licenziamento intimatole senza preavviso da Poste
Italiane S.p.A. in data 18/7/2011 sulla base della contestazione di
irregolarità emerse in relazione ad operazioni afferenti ad alcune

particolare in relazione alle richieste di riscatto di tali polizze
prodotte in epoca posteriore al decesso del Pedicillo e riportanti in
calce la firma del richiedente ormai deceduto con attestazione di
verifica dell’identità del medesimo da parte della Sacco,
responsabile dell’U.P. di Cagnano Varano (polizze, poi, liquidate
tramite assegni intestati al Pedicillo negoziati presso il medesimo
Ufficio Postale ovvero presso Banche);
1.2. il Tribunale rigettava la domanda ritenendo che la
contestazione fosse stata tempestivamente formulata, che la prova
dei fatti fosse emersa dalle stesse ammissioni della lavoratrice e
che il licenziamento fosse proporzionato rispetto alle previsioni di
cui all’art. 54 del c.c.n.I.;
1.3. decidendo sull’impugnazione della lavoratrice, la Corte di
appello di Bari, in riforma della pronuncia di primo grado,
accoglieva la domanda, dichiarava l’illegittimità del licenziamento e
condannava la società a reintegrare la Sacco nel posto di lavoro ed
a corrisponderle le retribuzioni globali di fatto maturate dalla data
di licenziamento a quella di effettiva reintegra;
superata la preliminare eccezione di inammissibilità dell’appello
per mancanza di specificità, la Corte territoriale riteneva che i fatti
di cui al licenziamento, tutti sussistenti e tempestivamente
contestati, non fossero tali da far ritenere proporzionato il
provvedimento espulsivo;

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polizze assicurative sottoscritte dal sig. Matteo Pedicillo ed in

R. Gen. N. 19243/2016

in particolare, ad avviso della Corte territoriale, pur essendo
sussistente la cosciente volontà di disattendere la normativa che
imponeva di identificare e verificare l’identità del cliente ‘di
persona’ mediante valido documento di identificazione, tuttavia non
vi era stato quel ‘forte pregiudizio alla società o a terzi’ tale da

co. 6 lett. c) c.c.n.I.) o anche quella inosservanza di leggi o di
regolamenti o degli obblighi di servizio dalle quali sia derivato
pregiudizio alla sicurezza ed alla regolarità del servizio con gravi
danni alla Società o a terzi tale da integrare la sanzione del
licenziamento senza preavviso (art. 54 co. 5 lett. c) del c.c.n.l.);
in conseguenza, gli addebiti contestati, considerato che tutte le
somme di cui alle polizze, pur a mezzo di discutibili operazioni allo
sportello, erano pervenute nella disponibilità dei legittimi
proprietari, potevano solo comportate l’applicazione di sanzioni
conservative (a termini di c.c.n.l. fino a 4 ovvero fino a 10 gg. di
sospensione), irrilevante essendo la contestata recidiva;
2. avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale Poste
Italiane S.p.A. propone ricorso per cassazione fondato su tre motivi;
3. Maria Costanza Sacco resiste con controricorso;
4. la società ha depositato memoria.
Considerato che:
1.1. con il primo motivo la società ricorrente denuncia la
violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 2104 e 2119
cod. civ. e degli artt. 52, 53 e 54 c.c.n.l. 2011;
lamenta l’operata sottovalutazione della gravissima violazione
dei doveri di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto
(consistita nell’attestazione di veridicità dell’apposizione delle firme
apocrife di Matteo Pedicillo in calce a tre richieste di riscatto
presentate in tempi diversi e comunque successivamente al

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integrare la sanzione del licenziamento senza preavviso (ex art. 54

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decesso del contraente, avvenuto nel 2008) tanto più pregnanti in
considerazione del ruolo di responsabilità della Sacco all’interno
dell’azienda;
rileva che la dipendente, che rivestiva il ruolo di direttore
dell’Ufficio postale ed era stata già destinataria di due sanzioni

aveva operato nella piena consapevolezza di compiere un’attività
del tutto estranea al dovere di diligenza di cui all’art. 2104 cod. civ.
ed in dispregio delle più elementari regole di buona fede e
correttezza della prestazione lavorativa così da ledere
irrimediabilmente il vincolo fiduciario;
1.2. con il secondo motivo la società denuncia la violazione e
falsa applicazione degli artt. 52, 53 e 54 c.c.n.l. 2011;
rileva che la natura dolosa è insita nell’intenzionalità della
condotta e che la stessa lavoratrice ha ammesso di aver
consapevolmente e spontaneamente compiuto le gravissime
irregolarità (da valutarsi con maggior rigore in ragione del ruolo
apicale di direttore);
rileva, inoltre, che erroneamente la Corte territoriale abbia
escluso la sussistenza di un danno potenziale da ritenersi
connaturato nel comportamento della Sacco e nella sua capacità
lesiva, incompatibile con il dovere di fedeltà, correttezza e diligenza
del rapporto di lavoro;
1.3. con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e
falsa applicazione degli artt. 112, 132 co. 2, n. 4 e 118, co. 1, disp.
att. cod. proc. civ. in relazione all’art. 3 della I, n. 604/1966;
lamenta la mancata pronuncia sull’eccezione spiegata in via
gradata da Poste italiane afferente la possibilità di ritenere
integrato un licenziamento per giustificato motivo soggettivo;

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disciplinari richiamate nella lettera di contestazione del 14/6/2011,

R. Gen. N. 19243/2016

2. sono fondati i primi due motivi di ricorso e determinano
l’assorbimento del terzo;
va, innanzitutto, osservato che la nozione di giusta causa di
licenziamento affonda le sue radici direttamente nella legge e che
l’elencazione delle ipotesi di giusta causa contenute nei contratti

dicembre 2002, n. 17562; Cass. 14 febbraio 2005, n. 2906; Cass.
18 dicembre 2008, n. 29825);
inoltre, per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa
(che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi
essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello
fiduciario), occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti
addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e
soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati
commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale e, dall’altro, la
proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la
lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del
prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la
massima sanzione disciplinare (vedi ex plurimis, Cass. 25 maggio
2016, n. 10842, Cass. 26 aprile 2012, n. 6498, Cass. 8 settembre
2006, n. 19270);
nell’ambito, poi, dell’apprezzamento riservato al giudice del
merito, si è affermato (Cass. n. 6498/2012 cit.) che la giusta causa
di licenziamento è una nozione che la legge, allo scopo di un
adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e
mutevole nel tempo, configura con una disposizione (ascrivibile alla
tipologia delle c.d. clausole generali) di limitato contenuto,
delineante un modello generico che richiede di essere specificato in
sede interpretativa mediante la valorizzazione sia di fattori esterni

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collettivi ha valenza semplificativa e non tassativa (Cass. 10

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relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa
disposizione tacitamente richiama;
tali specificazioni del parametro normativo hanno natura
giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di
legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della

integrano il parametro normativo e della loro concreta attitudine a
costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano
del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e censurabile in
cassazione nei limiti del vizio di motivazione;
l’accertamento della ricorrenza degli elementi che integrano il
parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta
attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, è sindacabile
nel giudizio di legittimità, a condizione che la contestazione non si
limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma
contenga una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli
‘standards’ conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realtà
sociale (Cass. 11 dicembre 2015, n. 25044; Cass. 9 aprile 2014, n.
8367; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095);
ciò, in quanto, il giudizio di legittimità deve estendersi
pienamente, e non solo per i profili riguardanti la logicità e la
completezza della motivazione, al modo in cui il giudice di merito
abbia in concreto applicato una clausola generale, perché nel farlo
compie, appunto, un’attività di interpretazione giuridica e non
meramente fattuale della norma, dando concretezza a quella parte
mobile della stessa che il legislatore ha introdotto per consentire
l’adeguamento ai mutamenti del contesto storico-sociale (Cass.,
Sez. U, 22 febbraio 2012, n. 2572);
nei motivi di ricorso qui in esame, le censure formulate alla
sentenza della Corte barese appaiono conferenti poiché evidenziano

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concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che

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in modo puntuale gli standards legali dai quali il Collegio di merito
si è discostato lamentandosi che siano stati disattesi gli elementi
integrativi della nozione di giusta causa, elaborati dalla
giurisprudenza di legittimità, e così quello della grave negazione
delle componenti essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare

caratterizzanti la vicenda

de qua,

alle mansioni svolte dalla

lavoratrice e al grado di affidamento a queste collegato e così
censurandosi l’inattuata relazione fatto/rapporto, nella proiezione
futura di una condotta inadennpitiva intrinsecamente grave, ed
altresì contestandosi che non ricorresse l’ipotesi astrattamente
prevista dalla contrattazione collettiva di settore (standard sociale
di riferimento);
in particolare si sottolineano gli errores in iudicando laddove,
pur essendosi ravvisata nel comportamento della Sacco una
cosciente volontà di disattendere la normativa che imponeva di
accertare l’identità del cliente ‘di persona’ e mediante valido
documento di identificazione e pur essendosi ritenuto sussistente
un ‘danno potenziale’ (pag. 9, punto 8), in quanto formalmente le
somme erano state incassate da soggetto (contraente) non più in
vita (il che avrebbe potuto esporre la società a rivendicazioni da
parte degli aventi diritto), tuttavia, senza tener adeguato conto del
ruolo di direttore dell’ufficio postale della Sacco, sia stata
considerata non integrata la fattispecie prevedente la sanzione del
licenziamento senza preavviso (ex art. 54 co. 6 lett. c) c.c.n.I.) per
essere mancato il ‘forte pregiudizio alla società o a terzi’ o anche
quella prevedente la sanzione del licenziamento senza preavviso
(art. 54 co. 5 lett. c) del c.c.n.I.) per non esservi stato alcun
concreto danno, traendo da ciò la conseguenza che la relativa

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dell’elemento fiduciario in relazione alle connotazioni personali

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condotta non avrebbe potuto determinare un’insanabile frattura del
vincolo fiduciario;
invero la doglianza è fondata proprio laddove rileva che la Corte
di merito ha trascurato di considerare la coscienza e volontà del
comportamento assunto dalla dipendente (in più occasioni) e la

termini di dolo – a vulnerare il vincolo fiduciario che assume
connotati di peculiare intensità in considerazione della posizione del
lavoratore e della qualità del rapporto;
l’avere la Sacco (ripetutamente) attestato falsamente di
essersi accertata della esatta identità del contraente su più
domande di riscatto prodotte in data successiva al decesso di
Matteo Pedicillo nella piena consapevolezza se non di tale già
avvenuto decesso sicuramente del fatto che era del tutto mancata
l’attestata procedura di verifica dell’identità del sottoscrittore, in
ragione della delicatezza della funzione svolta di direttore
dell’ufficio postale e del necessario vincolo fiduciario con la datrice
di lavoro, può concretare il concetto di giusta causa previsto
dall’art. 2119 cod. civ., derogabile in melius solo ove una specifica
norma contrattuale collettiva preveda espressamente simile caso
come foriero di meno grave sanzione;
quanto all’interpretazione dell’art. 54 co. 6 lett. c) del c.c.n.l. e
del carattere doloso delle violazioni, deve ricordarsi che questa
Corte (v. Cass. 23 gennaio 2018, n. 1631; si veda anche Cass. 4
dicembre 2017, n. 28962 con riferimento ad analoga disposizione
del c.c.n.l. 1 luglio 2007) ha ritenuto che tale norma contrattuale,
contempla esclusivamente la sussistenza di un dolo generico, come
semplice rappresentazione dell’evento e nella sua cosciente e
volontaria realizzazione attraverso le già descritte e riconosciute
modalità;

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idoneità dello stesso – anche a prescindere da una connotazione in

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inoltre, a prescindere dall’esito finale delle operazioni consentite
dalla Sacco, quello che rileva è comunque la responsabilità delle
Poste in ordine alle stesse e, dunque, la potenzialità dannosa delle
operazioni irregolari poste in essere dalla dipendente (che,
peraltro, è elemento costitutivo dell’ipotesi di cui all’54 co. 6, lett.

preavviso ‘per violazioni dolose di leggi o regolamenti o dei doveri
di ufficio che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio
alla Società o a terzi’;
tale potenzialità lesiva, in quanto incompatibile con il dovere di
fedeltà, correttezza e diligenza nel rapporto di lavoro, rileva
evidentemente anche ai sensi dell’art. 2119 cod. civ.;
in ogni caso, non potrebbe giammai ritenersi sufficiente, al fine
dell’esclusione della giusta causa, l’eventuale insussistenza di uno o
più degli elementi fattuali contemplati nelle previsioni del c.c.n.l.
richiamati ai fini del licenziamento (art. 54, co. 6, lett. c) sopra
indicato), laddove come detto rilevi anche la mera potenzialità
dannosa della condotta contestata;
si ricorda, infatti, che ai fini della valutazione dell’osservanza
dell’obbligo di fedeltà, quel che occorre considerare non è solo
l’attività concreta e la sua lesività attuale, ma pure la sua natura
sintomatica di un atteggiamento mentale del dipendente
contrastante con quella leale collaborazione che costituisce
l’essenza del rapporto di lavoro subordinato (cfr. Cass. 9 agosto
2013, n. 19096; Cass. 4 luglio 1996, n. 512; Cass. 9 novembre
1995, n. 11437; Cass. 5 luglio 1995, n. 7427);
del resto, l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di
licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha, al contrario che
per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, valenza
meramente esemplificativa, sicché non preclude un’autonoma

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c) del c.c.n.l. il quale testualmente prevede il licenziamento senza

R. Gen. N. 19243/2016

valutazione del giudice di merito in ordine all’idoneità di un grave
inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore
contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile,
a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e
lavoratore (v. Cass. 12 febbraio 2016, n. 2830; Cass. 18 febbraio

va così specificamente considerato il rapporto fra la condotta
della lavoratrice, rivestente all’interno dell’ufficio il ruolo apicale di
direttore, ed i doveri che sulla stessa gravano, alla cui stregua va
individuata la ricorrenza dell’affidamento datoriale sul futuro
puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa, nucleo
irriducibile dell’elemento fiduciario che qualifica il rapporto in
questione, anche alla luce del ‘disvalore ambientale’ che
l’inadempimento agli obblighi inerenti al proprio ufficio assume in
un settore delicato come quello postale;
3. conclusivamente la sentenza impugnata deve essere cassata
e la causa rinviata alla Corte d’appello di Bari che, in diversa
composizione, procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi
sopra indicati e provvederà anche in ordine alle spese del presente
giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, rinvia,
anche per le spese, alla Corte d’appello di Bari, in diversa
composizione.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 21 febbraio 2018

2011, n. 4060);

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