Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20083 del 23/09/2010

Cassazione civile sez. II, 23/09/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 23/09/2010), n.20083

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 27251/2008 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DONATELLO

75, presso lo studio dell’avvocato CAPPONI Bruno, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato CARLO BONINO, giusta mandato

speciale in calce al ricorso per revocazione;

– ricorrente –

contro

B.A., SC.AD., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA TIGRE’ 37, presso lo studio dell’avvocato CAFFARELLI

FRANCESCO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati

OLIVARES ANDREA, SCHIANO MANLIO, giusta mandato speciale in calce

alla memoria di risposta al ricorso per revocazione;

– resistenti –

e contro

P.P.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 10049/2008 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA del 19.2.08, depositata il 16/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato Carlo Bonino che si riporta agli

scritti, insistendo per l’ammissibilità del ricorso;

udito per i resistente l’Avvocato Francesco Caffarelli che aderisce

alla relazione scritta.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. UMBERTO APICE che nulla

osserva rispetto alla relazione scritta.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza n. 10049 del 2008, questa Sezione ha accolto il secondo motivo del ricorso proposto da B.A. e Sc.Ad.

avverso S.F., ricorrente incidentale, e P.P., per l’annullamento della sentenza n. 878/06 della Corte d’appello di Venezia; ha dichiarato assorbiti gli altri motivi. Ha cassato con rinvio la sentenza impugnata. Ha rigettato il primo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale.

Il S. ha proposto ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c., al quale hanno resistito con memoria B. e Sc..

E’ stata depositata istanza di prelievo. Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in Camera di consiglio. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Si ripropone qui, con correzioni formali, la relazione depositata e comunicata ex art. 380 bis c.p.c..

“Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata in conclusione della memoria di parte resistente, secondo la quale il ricorso conterrebbe solo la domanda di revocazione della sentenza e non anche quella, indefettibile, di “decisione sull’originario ricorso attraverso la riproposizione degli argomenti in esso riportati”. A tal fine la memoria invoca Cass. 24203/06, sentenza che, nell’affermare il principio posto a base dell’istanza, ha però contraddetto quanto affermato dalle Sezioni unite 17631/03.

Quest’ultima sentenza, in sede di composizione di contrasto, ha stabilito che: “La domanda di revocazione della sentenza della Corte di Cassazione per errore di fatto, da proporre, in base al disposto dell’art. 391 bis cod. proc. civ., con ricorso ai sensi dell’art. 365, e segg., deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione del motivo della revocazione, prescritta dall’art. 398 cod. proc. civ., comma 2 e la esposizione dei fatti di causa rilevanti, richiesta dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 3, e non anche la riproposizione dei motivi dell’originario ricorso per Cassazione.” Peraltro nel caso in esame il ricorso per revocazione contiene a pag.

197 una triplice richiesta di revocazione, che si chiude con la formula “dovendo necessariamente conseguire” e prosegue per ciascuno dei motivi invocando la declaratoria di inammissibilità del motivo di ricorso accolto da Cass. 10049/08 e da ultimo la richiesta di “decidere e definire” anche gli altri motivi del ricorso per cassazione proposto da controparte. Inoltre il ricorso avversario e il controricorso sono stati riportati integralmente nel corpo dell’odierno ricorso (rispettivamente a partire da pag. 14 e da pag.

82) al dichiarato fine (v pag. 13 ultime 4 righe) di soddisfare il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, principio che era alla base dell’enunciato di Cass. 17631/03 e della conforme (ma più diffusamente massimata) Cass. 12816/02.

Il ricorso per revocazione è tuttavia inammissibile, perchè non è relativo a errori di fatto, per i quali soltanto è possibile esperire il rimedio di cui all’art. 391 bis c.p.c..

Il primo motivo sostiene che l’errore di fatto sarebbe costituito dall’assenza del “quesito di diritto a corollario del motivo di ricorso accolto, cui avrebbe dovuto conseguire la declaratoria di inammissibilità del motivo”. Dalla stessa enunciazione del motivo si apprende però che il quesito era stato predisposto dai ricorrenti ed anche evidenziato topograficamente; quel quesito non corrisponderebbe ai criteri generalmente applicati dalla Suprema Corte per reputare ammissibile il quesito ex art. 366 bis c.p.c.. Dunque costituirebbe un’erronea percezione l’aver supposto che “sia sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, un quesito di diritto purchessia” e non un quesito confezionato secondo gli orientamenti della più autorevole giurisprudenza.

Come è evidente, il motivo vuole quindi sollecitare un ripensamento della Corte dì legittimità su una delle questioni implicitamente ma inequivocabilmente affrontate e risolte con la sentenza impugnata, che ha deciso nel merito il motivo accolto, proprio perchè ha prima ritenuto sussistenti i requisiti di ammissibilità.

Giova ricordare che secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia giudice del fatto e, in particolare, quando abbia valutato sull’ammissibilità e procedibilità del ricorso, e si individua nell’errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati (SU 26022/08). In quel caso le SS.UU. ritennero che non risultava viziata da errore revocatorio la sentenza della Corte di Cassazione nella quale il collegio aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso per motivi attinenti al merito delle questioni ed a valutazioni di diritto, e segnatamente alla asserita erronea applicazione di norme processuali, vertendosi, in tali casi, su errori di giudizio della Corte, con conseguente inammissibilità del ricorso per revocazione. La fattispecie è molto simile a quella odierna, in cui parte ricorrente lamenta che la Corte abbia considerato idoneo un quesito di diritto che sarebbe stato “astruso e astratto” e che non rispettava, secondo l’istante, i parametri di legge; ciò al punto da indurre l’odierna ricorrente a credere (cfr. memoria pag. 3) che sia stato preso in considerazione un altro quesito, che però neppure in memoria essa è in grado di individuare. Resta pertanto evidente che, come ha ritenuto il relatore, viene criticato un passaggio valutativo implicito ma inequivocabile nel giudizio della Corte, cioè la scelta sull’esaminabilità del motivo e del relativo quesito e non un errore percettivo.

Il secondo motivo deduce errore di fatto documentale, per avere il Collegio ricondotto il motivo accolto da Cass. 10049/08 a una censura di cui all’art. 360, n. 4 (omessa pronuncia), benchè il ricorso fosse formulato mediante richiamo al vizio di motivazione. Anche in questo caso la censura è del tutto estranea al paradigma del vizio revocatorio di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4.

La relazione aveva ritenuto “sufficiente” osservare che la stessa epigrafe di quel secondo motivo del ricorso avversario riportato nell’odierno ricorso a pag. 37, non evidenziava soltanto la doglianza in relazione all’art. 360 n. 5 (vizio di motivazione), ma anche il n. 3 e il n. 4 dell’art. 360 e quindi anche il vizio del procedimento, al quale va ricondotta la denuncia di omessa pronuncia individuata e accolta dai giudicanti. In tal caso lo stesso presupposto fattuale della denuncia sarebbe stato testualmente insussistente.

In memoria parte ricorrente ha fatto fondatamente rilevare che il secondo motivo del ricorso B. non si riferiva ai nn. 3 e 4 dell’art. 360 c.p.c., ma ai nn 3 e 4 dell’art. 163 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il rilievo non muta nulla in ordine alla inammissibilità dell’odierna doglianza. Va in primo luogo con ogni fermezza respinto il tentativo di parte ricorrente (memoria pag. 4 sub 1) di desumere dal rilievo principale esposto dal relatore l’insussistenza di altri profili di inammissibilità dell’istanza di revocazione. Basti considerare sia la premessa generale all’esame dei tre motivi, che negava e nega la loro riconducibilità alle questioni di cui all’art. 391 bis c.p.c., sia l’uso del termine “sufficiente”, indicativo di un motivo considerato preliminare e assorbente, salvo quanto osservato sia all’inizio dell’esame, che nel successivo passaggio. Va aggiunto che in ogni caso la relazione non limita i poteri valutativi e decisori del Collegio.

A questo proposito deve essere in secondo luogo osservato che in ogni caso non ha natura di errore revocatorio l’esame sub specie di vizio riconducibile all’art. 360, n. 4, di una censura che era stata rubricata solo sub art. 360, n. 5. Trattasi infatti in ogni caso di un’opzione interpretativa del Collegio allora giudicante, che ha ritenuto insita nel motivo anche una doglianza di natura processuale.

Ciò emerge inequivocabilmente dalla lettura della sentenza 1004/08, che ha ritenuto “improprio” il riferimento “anche a vizi di motivazione” e che ha portato la sua attenzione sulle altre censure di carattere processuale, tali da giustificare l’esame degli atti da parte del Collegio (pag. 11 sentenza). Ciò era pienamente giustificato, peraltro, come ha notato la relazione ex art. 380 bis c.p.c., dalla circostanza che nella stessa epigrafe di quel motivo e precisamente in quel “nugolo” (così il ricorso a pag. 187) di norme invocato, era evidenziato specificamente l’art. 112 c.p.c., cui si riconnette la omessa pronuncia considerata da Cass. 10049/08. Nè può dirsi, come sostiene la memoria a pag. 5, che si sia trattato di menzione casuale “e per mera coincidenza” di detto articolo, atteso che quel motivo del ricorso B. (come riportato a pag. 40 dell’odierno ricorso per revocazione) si chiudeva con un ampio passo estratto da una sentenza di legittimità (SU 15982/01) relativa proprio a “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.”, rilevante “ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Va pertanto con certezza escluso tanto che la sentenza 10049/08 sia incorsa in una svista nella lettura del motivo, quanto che il suo esame del profilo relativo a un vizio in procedendo sia qualificabile come errore percettivo, trattandosi invece di giustificata e ponderata opzione interpretativa, non sindacabile ex art. 391 bis c.p.c..

Identica sorte merita il terzo motivo di ricorso, che ravvisa errore di fatto documentale nell’avere il Collegio giudicante dichiarato assorbiti i motivi del ricorso principale successivi a quello accolto, sebbene essi fossero pregiudiziali a quello accolto e quindi da decidere con la stessa sentenza. Anche in questo caso si è ben lontani dal presupposto del rimedio invocato, cioè dall’erronea percezione dei fatti di causa, sostanziantesi nella affermazione o supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto la cui verità risulti, invece, in modo indiscutibile, esclusa o accertata in base al tenore degli atti o dei documenti di causa (ex multis Cass. 12154/06; 11657/06). Rimproverare alla Corte di aver reputato assorbiti i motivi di diritto di un ricorso significa contestare lo svolgimento di un processo argomentativo logico-giuridico che, di per sè, esclude il presupposto stesso della revocazione. Ne è consapevole lo stesso ricorrente, che addebita alla sentenza impugnata eccessiva sensibilità ad “esigenze di rapidità e deflazione” (pag. 194), esigenze che evidentemente si contrappongono a quell’errore percettivo che dovrebbe essere alla base della censura di cui all’art. 391 bis, rivelando invece, ove fossero esistenti, consapevolezza della complessità della questione, risolta in modo comunque rientrante negli insindacabili ambiti decisori del Collegio.

A queste valutazioni, contenute nella relazione, questo Collegio presta piena adesione, confermata dalle stesse deduzioni della memoria, ove si nega che vi sia stata “corretta ricostruzione dell’ordine logico delle questioni”. In tal modo ancora una volta si censura un’errata valutazione giuridica della sentenza 10049/08 che, quand’anche vi fosse e quand’anche fosse ben più macroscopica e palpabile di quanto lamenta parte ricorrente, resterebbe insindacabile da parte del giudice della revocazione per errore di fatto, dovendo il processo seguire il suo corso ordinario, a seguito della cassazione con rinvio disposta con l’accoglimento di un solo motivo e il ritenuto assorbimento degli altri.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 3.000,00 per onorari, Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2010

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