Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20081 del 23/09/2010

Cassazione civile sez. II, 23/09/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 23/09/2010), n.20081

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 20928/2008 proposto da:

L.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TRIONFALE 7032,

presso lo studio dell’avvocato GOGGIAMANI DIMITRI, rappresentata e

difesa dall’avvocato LO NIGRO Filippo, giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

L.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE LIEGI 16,

presso lo studio dell’avv. MASSIMO CERNIGLIA, rappresentato e difeso

dall’avv. MARCHESE Lorenzo, giusta procura speciale in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 216/2008 della CORTE D’APPELLO di PALERMO del

18.1.08, depositata il 26/02/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito per la ricorrente l’Avvocato Filippo Lo Nigro che si riporta

agli scritti, insistendo per l’accoglimento del ricorso;

in subordine chiede la trattazione del ricorso in pubblica udienza.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. UMBERTO APICE che nulla

osserva rispetto alla relazione scritta.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Adito da L.E., che lamentava l’usurpazione di una porzione di un proprio fondo, sito in (OMISSIS), da parte della sorella G., il tribunale di Palermo condannava la convenuta alla restituzione del terreno e al pagamento di diecimila Euro a titolo di risarcimento danni. Riconosceva all’attore il diritto alla ritenzione delle opere eseguite dalla convenuta con materiali propri, verso corresponsione di indennità di euro centomila, oltre interessi.

Su gravame di L.E., la Corte di appello di Palermo riduceva a 74.000,00 Euro la somma dovuta dall’appellante ex art. 936 c.c., fermo il resto.

L.G. insorge contro questa decisione, resa il 26.2.2008, con atto del 23 luglio 2008. L’attore ha resistito con controricorso e svolge ricorso incidentale condizionato.

Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio, rilevando l’inammissibilità del ricorso principale. Parte ricorrente ha depositato memoria per confutare la relazione comunicata ex art. 380 bis c.p.c..

I ricorsi sono stati riuniti ex art. 335 c.p.c..

Si riportano i quesiti di diritto posti alla Corte e, tra parentesi, le rubriche dei singoli motivi: 1) (relativo a falsa applicazione dell’art. 936 cod. civ.) “Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se nella fattispecie posta all’esame del supremo giudice vi sia stata da parte della corte d’appello di Palermo falsa applicazione dell’art. 936 c.c.”.

2) (relativo a violazione dell’art. 938 cod. civ.) “Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se nel caso posto all’esame della stessa vi sia stata violazione (rectius mancata applicazione) dell’art. 938 c.c.”.

4) (relativo a violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. “Dica la Corte se, in virtù del supporto giurisprudenziale ampiamente illustrato, la corte palermitana ha apertamente violato l’art. 112 c.p.c.”.

5) (violazione della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 21 (art. 360 c.p.c., n. 3) “Dica la Corte se ha violato la L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 21, incorrendo così nell’aporia evidenziata in sentenza atta alla ingiustificata riduzione in comune commercio del valore dell’immobile come determinato dal nominato ctu”.

Tutti questi quesiti sono senz’altro inammissibili alla luce del costante orientamento di questa Corte, manifestato a Sezioni Unite già prima della notifica dell’odierno ricorso. E stato infatti chiarito che: “Ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione che si concluda con la formulazione di un quesito di diritto in alcun modo riferibile alla fattispecie o che sia comunque assolutamente generico” (SU 36/07). “Il principio di diritto deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame. Ne consegue che è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d’impugnazione;

ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto generico” (SU 20360/07). “Deve essere dichiarato inammissibile il ricorso nel quale il quesito di diritto si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, poichè la citata disposizione è finalizzata a porre il giudice della legittimità in condizione di comprendere – in base alla sola sua lettura – l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e di rispondere al quesito medesimo enunciando una “regula iuris” (SU 2658/08).

“Affinchè il quesito di diritto, di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., abbia i requisiti idonei ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, è necessario, con riferimento al ricorso per violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, che risulti individuata la discrasia tra la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, che deve essere indicata, e il principio di diritto da porre a fondamento della decisione invocata, che deve essere enunciato” (Su 3519/08). “La formulazione del quesito di diritto prevista dall’art. 366 “bis” cod. proc. civ. postula l’enunciazione, da parte del ricorrente, di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato e, perciò, tale da implicare un ribaltamento della decisione assunta dal giudice di merito” (SU 6530/08). “A norma dell’art. 366 bis cod. proc. civ., è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo” (SU 6420/08).

Risulta evidente da questa breve rassegna che i riportati quesiti sono del tutto carenti quanto a: riferibilità alla fattispecie;

formulazione della sintesi logico-giuridica della questione;

comprensibilità, in base alla sola lettura, del quesito dell’errore di diritto contenuto nella sentenza impugnata; enucleazione del principio di diritto da porre a fondamento della decisione invocata.

Il terzo motivo, relativo a “violazione dell’art. 345 c.p.c. – (art. 360 c.p.c., n. 5)” non si conclude con la formulazione di un quesito di diritto, sebbene la indicata violazione in rubrica di una norma processuale sia normalmente a ciò preordinata. Ha dunque prevalso nella scelta di parte ricorrente la intenzione di denunciare un vizio di motivazione. In tal caso l’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie, esige la “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione della sentenza impugnata la rende inidonea a giustificare la decisione” – che deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione(cfr Cass 16002/07; SU 20603/07). Nel caso di specie solo la completa lettura del motivo consente di comprendere che la ricorrente si duole della mancata acquisizione di una consulenza tecnica, della quale non viene illustrata la decisività in alcun momento di sintesi.

Discende da quanto esposto la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo. Non v’è luogo per l’esame del ricorso incidentale, in quanto condizionato all’accoglimento del principale.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale. Assorbito l’incidentale.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 3.500,00 per onorari, Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2010

 

 

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