Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2008 del 26/01/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 2008 Anno 2018
Presidente: CHINDEMI DOMENICO
Relatore: ZOSO LIANA MARIA TERESA

SENTENZA
sul ricorso 835 2013 proposto da:

MALERBA GROUP SRL in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA PIAllA
DELLA LIBERTÀ 20, presso lo studio dell’avvocato MARIA
ASSUNTA LAVIENSI, rappresentato e difeso dall’avvocato
PATRIZIA CASTELLANO giusta delega a margine;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE
PROVINCIALE I DI MILANO;
– intimati nonchè contro

Data pubblicazione: 26/01/2018

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente con atto

di costituzione

MILANO depositata 1’11/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/01/2018 dal Consigliere Dott. LIANA
MARIA TERESA ZOSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso per
il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato CASTELLANO che ha
chiesto l’accoglimento.

avverso la sentenza n. 112/2012 della COMM.TRIB.REG. di

R.G. 835/2013
ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA
1. Con atto del 21 dicembre 2007 la società Malerba S.p.A., attualmente Commerciale
Intimo S.r.l., sottoscriveva l’aumento di capitale sociale deliberato da Malerba Group S.r.l.
tramite conferimento di un compendio aziendale del valore di euro 22.290.000, a fronte del
quale la società Malerba S.p.A. riceveva una partecipazione in Malerba Group S.r.l. pari ad
euro 100.000. In data 22 dicembre 2008 la società Malerba S.p.A. cedeva alla società Legnano
Due S.r.l., ora Jucker S.r.l., l’intera quota di partecipazione in Malerba Group S.r.l.. L’agenzia

Legnano Due S.r.l. l’avviso di liquidazione con cui riqualificava, ai sensi dell’articolo 20 del
d.p.r. 131/1986, i singoli atti di conferimento d’azienda e di successiva cessione della
partecipazione come un’unica operazione produttiva di un solo effetto giuridico finale da
identificarsi nella cessione del ramo d’azienda. Le società Legnano Due S.r.l. e Malerba Group
S.r.l. impugnavano l’avviso di liquidazione con due ricorsi separati e la commissione tributaria
provinciale di Milano, previa riunione, li accoglieva. Proponeva appello l’agenzia delle entrate e
la commissione tributaria regionale della Lombardia lo accoglieva sul rilievo che il risultato dei
vari atti aveva portato alla cessione di un ramo d’azienda e non rilevava il fatto che gli atti
fossero stati stipulati a distanza di un anno l’uno dall’altro poiché la necessità del risparmio di
imposta aveva giustificato l’attesa.
2. Avverso la sentenza della CTR propongono ricorso per cassazione la società Malerba
Group S.r.l. e la società Jucker S.r.l., già Legnano Due S.r.l., svolgendo quattro motivi.
L’agenzia delle entrate si è costituita in giudizio al solo fine dell’eventuale partecipazione
all’udienza di discussione ai sensi dell’articolo 360, comma 1, cod. proc. civ..
3. Con il primo motivo le ricorrenti deducono violazione di legge, ai sensi dell’art. 360,
comma 1, n. 3 cod. proc. civ., in relazione all’articolo 20 del d.p.r. 131/1986 ed all’articolo
1362 cod. civ.. Sostengono che gli schemi causali tipici del conferimento del ramo d’azienda,
della cessione di quote e della cessione di ramo d’azienda sono diversi tra loro e l’unitarietà del
progetto rintracciabile in una pluralità di atti può essere apprezzata solo quando il
collegamento tra gli atti stessi emerga sotto il profilo strutturale, riguardando i medesimi
soggetti, e sotto il profilo funzionale, ovvero quando ciascun atto comporta un contributo
strumentale alla formazione progressiva di un’unica fattispecie. Nel caso di specie i soggetti
interessati ai singoli atti erano diversi e ciascun atto aveva una propria causa ed una
autonomia funzionale, posto che il negozio di conferimento del compendio aziendale era stato
posto in essere con la finalità di separare le attività svolte dalle società del gruppo ed i
connessi rischi suddividendo il comparto immobiliare finanziario da quello industriale
commerciale. L’atto di cessione della partecipazione era stato effettuato un anno dopo a favore
di un soggetto diverso che non aveva alcun legame con la società conferitaria. Mancava,

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delle entrate emetteva nei confronti di Malerba Group S.r.l., Commerciale Intimo S.r.l. e

quindi, un collegamento funzionale tra l’atto di conferimento di ramo d’azienda ed il successivo
atto di cessione di quote per mancanza di identità dei soggetti e dell’oggetto.
4. Con il secondo motivo deducono violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.
3 cod. proc. civ., in relazione all’articolo 20 del d.p.r. 131/1986 ed all’articolo 37 bis del d.p.r.
600/1973. Sostengono che la sentenza impugnata può essere censurata anche nella parte in
cui il collegio giudicante ha inteso riconoscere all’articolo 20 del d.p.r. 131/86 natura
antielusiva ed ha ritenuto che il comportamento della società fosse diretto ad abusare del

soluzione fiscalmente meno onerosa, così come garantito dagli articoli 23 e 41 della
Costituzione. Inoltre, l’articolo 176, comma 3, del Tuir considera il conferimento e la cessione
di quote operazioni neutrali e, in quanto tali, non elusive mentre l’abuso è ipotizzabile solo se
alle singole fattispecie non possono essere applicate disposizioni specifiche.
5. Con il terzo motivo deducono insufficiente motivazione circo fatto controverso decisivo
per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., in quanto la CTR non ha
esplicitato le ragioni in base alle quali ha ritenuto che i due atti notarili ( conferimento del
compendio aziendale e cessione delle quote di partecipazione ), stipulati da tre distinti soggetti
ed aventi ciascuno un’autonoma causa, dovevano essere ricondotti alla differente fattispecie di
cessione di ramo d’azienda.
6. Con il quarto motivo deducono contraddittoria motivazione circa fatto controverso
decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., in quanto la CTR,
da un lato ha affermato che le operazioni avevano natura economica ed erano dirette a
riorganizzare la società, dall’altro ha affermato che non era escluso che tali operazioni avessero
avuto anche come risultato quello di evitare oneri fiscali rilevanti.

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Osserva la Corte che il primo ed il secondo motivo di ricorso debbono essere esaminati
congiuntamente in quanto sottendono la medesima questione giuridica. Essi sono infondati.
L’art. 20 d.P.R. 131/86, nel testo anteriore alla modifica operata dall’art.1, comma 87, lett. a),
della legge 27 dicembre 2017, n. 205, dispone che “l’imposta è applicata secondo la intrinseca
natura e gli effetti giuridici, degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda
il titolo o la forma apparente”. La Corte di legittimità, con numerose pronunce anche recenti (
Cass. 21676 del 2017; n. 6758 del 2017; n. 1955 del 2015; n. 24594 del 2015; n. 3481 del
2014 ) considera preminente, nell’imposizione, la causa reale dell’operazione e l’effettiva
regolamentazione degli interessi realmente perseguita dai contraenti, e ciò anche se
rinveniente in pattuizioni collegate. La norma non esprime una regola antielusiva, bensì una
regola interpretativa in quanto non è possibile qualificare la disposizione della legge di registro
come disposizione antielusiva senza forzarne la struttura normativa, introducendovi un
elemento estraneo, l’elusività fiscale-, che viceversa corrisponde solo a un’eventualità della
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diritto. Invero non è precluso al contribuente la possibilità di ricercare legittimamente una

fattispecie (Cass. n. 3562 del 2017; Cass. n. 6758 del 2017 ). Ed ha precisato la Corte che la
scelta legislativa di privilegiare la sostanza dell’operazione comporta che “gli stessi concetti
privatistici sull’autonomia negoziale regrediscano a semplici elementi della fattispecie
tributaria”, sicché nella individuazione della materia imponibile ha preminenza assoluta la
“causa reale sull’assetto cartolare” ( Cass. n. 19752 del 2013; n. 10740 del 2013 ) dovendosi
considerare, altresì, ‘lindisponibilità della qualificazione contrattuale ai fini fiscali”. Sono quindi
prive di rilievo le questioni relative all’interpretazione dei contratti e all’autonomia negoziale

effettivamente realizzato col complessivo regolamento negoziale adottato, anche
indipendentemente dal contenuto delle dichiarazioni rese. Pertanto quando gli atti sono plurimi
e funzionalmente collegati non può che rilevare la causa concreta dell’operazione complessiva,
posto che il ritenere l’imposta di registro come imposta di negozio correlata alla causa concreta
dell’operazione costituisce applicazione del principio costituzionale di capacità contributiva.
Un’interpretazione atomistica dell’operazione negoziale non è in grado di misurare il reale
movimento di ricchezza, che si rivela soltanto nella dimensione complessiva dell’affare ( Cass.
n. 6758 del 2017).
Non si può affermare, peraltro, l’applicazione anche al caso che occupa dell’art. 20 d.p.r.
131/86 nel testo modificato dall’art.1, comma 87, lett. a), della legge 27 dicembre 2017, n.
205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il
triennio 2018-2020 ) pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n.302 del 29 dicembre l
2017- Supp. Ord. n. 62, ed entrata in vigore l’ 1 gennaio 2018. Invero il novellato art. 20 cit. L \
prevede che “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto
presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla
base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli
atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”. Alla norma non si può
riconoscere l’effetto interpretativo di quella previgente poiché essa introduce dei limiti
all’attività di riqualificazione giuridica della fattispecie che prima non erano previsti, fermo
restando che l’amministrazione finanziaria può dimostrare la sussistenza dell’abuso del diritto
previsto dall’ art. 10 bis della legge 212/2000 (introdotto dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128), il
quale, alla lettera a, attribuisce espressamente rilevanza al collegamento negoziale, ma nel
solo ambito, appunto, dell’abuso del diritto e non più in quello della mera riqualificazione
giuridica. E mette conto considerare che l’orientamento giurisprudenziale prevalente ha escluso
la natura antielusiva dell’art. 20 a beneficio di quella della qualificazione giuridica della
fattispecie (Cass. 21676 del 2017; n. 6758 del 2017; n. 1955 del 2015; n. 24594 del 2015; n.
24594 del 2015; n. 1955 del 2015; contra n. 2054 del 2017; n. 6835 del 2013; n. 24452 del
2007; n. 2713 del 2002), per il che non si può affermare che la modifica introdotta all’art. 20
d.p.r. 131/86 dalla legge 27 dicembre 2017 n. 205 abbia natura interpretativa alla luce dell’art.
10 bis della legge 212/2000 poiché tale ultima norma disciplina il diverso ambito dell’abuso del
diritto.
3

delle parti poiché ha importanza non cosa le parti abbiano scritto, ma ciò che esse abbiano

Non varrebbe obiettare che la relazione illustrativa alla legge 205/17 assegna alla
disposizione concernente l’imposta di registro il compito di “chiarire” il criterio di individuazione
della natura e degli effetti che devono essere presi in considerazione ai fini della registrazione.
Tale elemento può, infatti, agevolmente superarsi sulla base del tenore testuale infine adottato
dallo stesso art.1 co.87 in esame, il quale dichiara espressamente di apportare talune
“modificazioni” all’art.20 d.P.R. 131/86, palesandosi così quale disposizione prettamente
innovativa del precedente assetto normativo. E ciò trova conferma, in accordo con il dato

una rivisitazione strutturale profonda ed antitetica della fattispecie impositiva pregressa; là
dove l’art.20 previgente (secondo l’indirizzo di legittimità) imponeva la tassazione sulla base di
elementi (il dato extratestuale ed il collegamento negoziale) che vengono invece oggi
espressamente esclusi; fatto salvo il loro ‘recupero’, come detto, nel diverso ambito della
sopravvenuta disciplina dell’abuso del diritto di cui all’art.10 bis legge 212/00 cit..
In definitiva, va dunque affermato che l’art.1, comma 87, lett. a), della legge 27 dicembre
2017, n. 205 non avendo natura interpretativa, ma innovativa, non esplica effetto retroattivo;
conseguentemente, gli atti antecedenti alla data di sua entrata in vigore (1^ gennaio 2018)
continuano ad essere assoggettati ad imposta di registro secondo la disciplina risultante dalla
previgente formulazione dell’art.20 d.P.R. 131/86.
Le considerazioni svolte con riguardo all’ambito operativo dell’art. 20 cit. nel testo
anteriore alla riforma ed applicabile al caso che occupa presuppongono che la riqualificazione
negoziale operata dall’ufficio finanziario resti soggetta alla verifica giurisdizionale circa
l’osservanza dei criteri legali di interpretazione, i quali vanno riferiti alle circostanze concrete
della sequenza di atti poiché occorre evitare che l’attività ermeneutica conduca al risultato di
alterare la volontà delle parti.
Le ricorrenti hanno censurato sotto il profilo della violazione di legge l’interpretazione dei
contratti compiuta dalla CTR, la quale ha ravvisato la causa concreta dell’operazione
complessiva nella cessione dell’azienda compiuta dalla società Malerba S.p.A., ora
Commerciale Intimo s.r.I., a favore della società Legnano Due S.r.l., poi divenuta Jucker S.r.l..
Sennonché mette conto considerare che la Corte di legittimità ha più volte affermato il
principio secondo cui l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce
un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per
violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora
la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del
procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Ai fini della censura di violazione dei
canoni ermeneutici non è, peraltro, sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di
interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la
precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato. In
ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice
sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola
4

letterale del nuovo disposto, anche in ragione del fatto che tale modificazione ha determinato

siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto
l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata
privilegiata un’altra ( Cass. n. 31122 del 29/12/2017; Cass. 03/09/2010, n. 19044; Cass.
12/07/2007, n. 15604; Cass. 07/03/2007, n. 5273; Cass. 22/02/2007, n. 4178).
Nel caso che occupa le contribuenti, da un lato non hanno specificato quali canoni di
interpretazione siano stati violati, dall’altro si sono dolute in ammissibilmente del fatto che la
CTR ha privilegiato l’interpretazione del contratto effettuata dall’ufficio finanziario rispetto a

2. Il terzo motivo è infondato in quanto la CTR ha esplicitato le ragioni in base alle quali ha
ritenuto che i due atti notarili ( conferimento del compendio aziendale e cessione delle quote di
partecipazione ), stipulati da tre distinti soggetti ed aventi ciascuno un’autonoma causa,
dovevano essere ricondotti alla differente fattispecie di cessione di ramo d’azienda, avendo
ritenuto che non rilevava il fatto che gli atti fossero stati stipulati a distanza di un anno l’uno
dall’altro poiché la necessità del risparmio di imposta aveva giustificato l’attesa.
3. Il quarto motivo è infondato in quanto non si ravvisa contraddittorietà nel fatto che la
CTR abbia affermato che le operazioni, anche se hanno avuto come risultato ( apparente) la
riorganizzazione societaria, pur tuttavia non era dato escludere che le stesse avessero avuto
come risultato quello di evitare onere fiscali rilevanti.
4. Il ricorso va, dunque, rigettato e le spese processuali, liquidate come da dispositivo,
seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti a rifondere all’agenzia delle entrate e le
spese processuali che liquida in euro 10.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2018.

quella da loro proposta.

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