Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2008 del 24/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 24/01/2019, (ud. 04/12/2018, dep. 24/01/2019), n.2008

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 20023-2016 proposto da:

HERA SPA, in persona del Direttore Amministrativo e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

CASSIODORO 1/A, presso lo studio dell’avvocato MARCO ANNECCHINO, che

lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

ICA IMPOSTE COMUNALI AFFINI SRL, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE TIZIANO 110,

presso lo studio dell’avvocato SIMONE TABLO’, rappresentato e difeso

dall’avvocato ALESSANDRO CARDOSI giusta delega a margine;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI LONGIANO;

– intimato –

sul ricorso 20026-2016 proposto da:

HERA SPA, in persona del Direttore Amministrativo e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

CASSIODORO 1/A, presso lo studio dell’avvocato MARCO ANNECCHINO, che

lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

ICA IMPOSTE COMUNALI AFFINI SRL, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE TIZIANO 110,

presso lo studio dell’avvocato SIMONE TABLO’, rappresentato e difeso

dall’avvocato ALESSANDRO CARDOSI giusta delega a margine;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI LONGIANO;

– intimato –

avverso le sentenze n. 224/2016 e n. 226/2016 della COMM. TRIB. REG.

di BOLOGNA, depositate il 29/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/12/2018 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RITA SANLORENZO che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

udito per il ricorrente l’Avvocato ANNECCHINO che si riporta agli

atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato CARDOSI che di riporta agli

atti.

Fatto

RILEVATO

che:

p. 1.1 Nei ricorsi iscritti ai nn. 20023 e 20026/16 r.g. Hera spa propone due motivi per la cassazione, rispettivamente, delle sentenze nn. 224 e 226 del 29 gennaio 2016, con le quali la commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento notificatile da ICA – Imposte Comunali Affini srl in recupero, per conto del Comune di Longiano (FC), della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Tosap) 2009/2010; ciò in relazione allo spazio pubblico interrato occupato dalle condutture della rete idrica integrata di proprietà di Unica Reti spa, e da quest’ultima attribuitele in gestione in forza di contratto di affitto d’azienda.

La commissione tributaria regionale, per quanto qui ancora rileva, ha ritenuto che correttamente la pretesa impositiva in oggetto fosse stata rivolta ad Hera spa, posto che:

– tutte le concessioni relative allo svolgimento del servizio pubblico del ciclo idrico integrato, già rilasciate a nome della proprietaria Unica Reti spa, erano state da quest’ultima trasferite ad Hera spa in forza del contratto di affitto di azienda;

– la legittimazione tributaria passiva doveva dunque individuarsi in capo a quest’ultima perchè “di fatto” titolare anche della “concessione per la gestione delle reti idriche integrate”, in “perfetta aderenza” con quanto stabilito dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 39, disciplinante la Tosap.

Resiste con controricorso ICA – Imposte Comunali Affini srl, mentre nessuna attività difensiva è stata posta in essere dal Comune di Longiano, pure intimato.

Con istanze 14 febbraio 2018 la ricorrente ha chiesto l’assegnazione dei ricorsi alle Sezioni Unite, ex art. 376 c.p.c., attesa l’affermata sussistenza di contrasto giurisprudenziale interno alla sezione tributaria della corte di cassazione, in ordine all’esatta interpretazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 39, concernente l’individuazione del soggetto (concessionario ovvero utilizzatore materiale dello spazio pubblico) tenuto al pagamento della Tosap.

La ricorrente ha depositato memoria.

p. 1.2 I due ricorsi in esame, ancorchè proposti contro due distinte sentenze di appello, vanno riuniti per ragioni di connessione sia soggettiva (identità di parti) sia oggettiva (identità di questione giuridica, riferita a vari avvisi di accertamento Tosap 2009/2010 di uguale contenuto).

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 38,39 e 46. Per avere la commissione tributaria regionale affermato, ai fini Tosap, la legittimazione tributaria passiva di Hera spa, nonostante che quest’ultima non fosse nè la proprietaria della rete idrica nè la titolare della concessione di occupazione del suolo pubblico (qualità invece entrambi sussistenti in capo ad Unica Reti spa). In particolare, la commissione tributaria regionale avrebbe erroneamente identificato la concessione di occupazione del suolo pubblico (atto amministrativo rilasciato dal Comune o dalla Provincia, in quanto enti pubblici ai quali veniva sottratta la disponibilità del suolo) nella concessione per la gestione delle reti idriche integrate (atto privatistico di natura meramente obbligatoria, in quanto tale inidoneo a trasferire la legittimazione tributaria passiva D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 39). Norma, questa, in base alla quale il tributo deve essere versato dal titolare dell’atto di concessione di occupazione di suolo pubblico ovvero – ma soltanto nel caso, qui non ricorrente, di mancanza di atto di concessione e, dunque, di occupazione abusiva dello spazio pubblico dall’occupante o detentore di fatto.

Con il secondo motivo di ricorso la società deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Per non avere la commissione tributaria regionale considerato la mancanza, in capo ad Hera spa, della concessione di occupazione di suolo pubblico, erroneamente identificata dal giudice regionale nella diversa concessione per la gestione del servizio idrico (del tutto irrilevante ai fini di causa).

p. 2.2. A detta della commissione tributaria regionale, il tributo in oggetto dovrebbe essere corrisposto da Hera spa perchè concessionaria – in forza di contratto di affitto di ramo aziendale – della gestione della rete idrica; e quest’ultima qualità di concessionaria si porrebbe in “perfetta aderenza” con quanto stabilito dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 39, sulla legittimazione impositiva passiva (così da superare ogni altra questione interpretativa sul carattere concorrente, ovvero subordinato, della legittimazione passiva dell’utilizzatore di fatto del suolo pubblico).

Questa conclusione – correttamente censurata – pare effettivamente porsi in contrasto con quest’ultima disposizione, secondo la quale: “Soggetti attivi e passivi. La tassa è dovuta al comune o alla provincia dal titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall’occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio”.

La legge fa dunque riferimento – nel delineare il presupposto soggettivo del tributo – al titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione all’occupazione del suolo pubblico; là dove la commissione tributaria regionale ha indebitamente attribuito rilevanza dirimente alla tutt’affatto diversa qualità soggettiva individuabile in capo al titolare della concessione di gestione della rete idrica comunale.

Ora, quest’ultimo atto è nella specie derivato in capo ad Hera spa per effetto del contratto di affitto di azienda (o di ramo aziendale) stipulato tra la proprietaria della rete idrica medesima (Unica Reti spa) e la società ricorrente.

Deve tuttavia ritenersi che il contratto in questione non fosse in grado di trasferire ad Hera spa anche la (diversa) concessione, ovvero autorizzazione, già rilasciata alla proprietaria della rete idrica per l’occupazione del suolo pubblico; così da risultare ininfluente sulla legittimazione passiva nel rapporto tributario, regolata per legge e per sua natura indisponibile.

Trattandosi appunto di atto amministrativo emesso dall’ente locale a favore di un ben determinato soggetto ritenuto in possesso dei requisiti di legge, il suo eventuale trasferimento in capo ad un soggetto diverso presupponeva necessariamente l’espletamento – non già di un’attività meramente negoziale tra privati – bensì di una vera e propria funzione provvedimentale della pubblica amministrazione; attestante la volontà di quest’ultima, esternata nelle forme di legge previa verifica ex novo di tutti i presupposti del caso, di individuare in altro soggetto il titolare della concessione o autorizzazione occupativa. Nè pare in tal senso dirimente la Delib. 4 settembre 2002, n. 48, (allegata e richiamata in controricorso: pag. 8) adottata dal Consiglio Comunale in occasione di operazioni straordinarie di scissione e fusione per incorporazione tra le varie società di gestione di servizi comunali, in quanto riferita alla concessione del servizio pubblico di fornitura di acqua e gas, e non specificamente all’occupazione di suolo pubblico già in capo alla società proprietaria.

Ferma dunque l’intrasmissibilità per via negoziale dell’atto amministrativo, va fatta applicazione del costante orientamento di legittimità secondo cui (non l’atto di concessione in sè, ma) le facoltà riconducibili al godimento di un’area pubblica in regime di concessione ben possono essere fatte oggetto di trasferimento tra privati, ma tale trasferimento – vincolante per le parti e generatore in capo a queste ultime di diritti soggettivi perfetti, devolvibili come tali al giudice ordinario – non è opponibile alla pubblica amministrazione, che ad esso rimane del tutto estranea.

Ha osservato Cass. 7532/09 (con ulteriori richiami) che: “Il contratto col quale il concessionario di un’area demaniale affitti ad un terzo l’azienda, al cui esercizio quell’area sia destinata, integra un contratto di cosiddetta subconcessione, che non ha ad oggetto il bene demaniale in sè, ma implica il mero trasferimento al subconcessionario delle facoltà spettanti al concessionario ed atteggiantisi, nei rapporti tra privati, come diritti soggettivi perfetti. Ne consegue che tale contratto è valido ed efficace tra le parti stipulanti anche in assenza di autorizzazione da parte della P.A. concedente, ferma restando in questo caso la sua inopponibilità nei confronti dell’Amministrazione concedente, che può dichiarare la decadenza dalla concessione o revocarla”. Più di recente, si è stabilito che: “Poichè la concessione in uso di un bene demaniale deve necessariamente trovare il suo fondamento nella legge o in un provvedimento amministrativo, il concessionario può locarlo o concederne il godimento a terzi solo se autorizzato dall’amministrazione concedente o se lo consente la legge; pertanto, la subconcessione di fatto di un immobile demaniale (…), mentre vincola il concessionario e il subconcessionario, è inopponibile all’amministrazione concedente, la quale può pretendere dal terzo l’indennizzo per l’occupazione “sine titulo” (Cass. 20984/18).

Ora, nel caso di specie è pacifico che il contratto di affitto di ramo aziendale abbia attribuito ad Hera spa la gestione della rete idrica integrata e tutte le varie facoltà di esercizio a tale gestione riconducibili; esso non era però in grado, per le indicate ragioni, di trasferire alla affittuaria (anche) la concessione amministrativa o l’autorizzazione aventi ad oggetto l’occupazione di suolo pubblico, così come già rilasciata dal Comune alla società proprietaria della rete.

Cade dunque, sotto questo profilo, la ratio adottata nella sentenza impugnata, la quale ha erroneamente identificato proprio nel contratto di affitto di ramo aziendale e solo in questo – la fonte dell’affermata legittimazione tributaria passiva di Hera spa, assunta quale soggetto in tutto equiparabile al concessionario dell’occupazione di suolo pubblico di cui all’art. 39 cit..

Escluso che Hera spa potesse essere chiamata al versamento della Tosap in quest’ultima qualità, torna quindi pressante il problema di verificare se essa fosse cionondimeno tenuta a tale pagamento nella sua diversa qualità, anch’essa espressamente considerata dalla norma, di “occupante di fatto” del suolo pubblico di insistenza della rete idrica.

p. 3.1 In materia non si riscontra, all’interno della sezione tributaria della S.C., un orientamento interpretativo univoco.

Una prima posizione è nitidamente delineata da Cass. 4896/05 (in fattispecie di occupazione di aree comunali in concessione per l’esercizio dei cantieri dell’alta velocità ferroviaria), la cui massima è così fissata: “In tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), la legittimazione passiva del rapporto tributario, in presenza di un atto di concessione o di autorizzazione rilasciato dall’ente locale, spetta, ai sensi del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 39, esclusivamente al soggetto titolare di tale atto e non ad altri soggetti ai quali sia stata successivamente affidata, dal primo o da suoi incaricati, la realizzazione delle opere alla quale l’occupazione è finalizzata.

Si legge in motivazione: “Sotto altro profilo, neppure è percorribile la tesi della concessionaria che reputa obbligata la società Italstrade in qualità di occupante abusivo, veste questa che legittimerebbe la richiesta del tributo a mente del cit. art. 39. Questo criterio di tassazione rappresenta chiaramente un’ipotesi residuale, che ricorre nel solo caso in cui vi sia “mancanza” di un provvedimento concessorio o autorizzatorio. La sua previsione deve, infatti, leggersi in combinato disposto con quella contenuta nel precedente art. 38, comma 1, che sancisce che “sono soggette alla tassa le occupazioni di qualsiasi natura, effettuate anche senza titolo…”, nel senso che la tassa è dovuta in ogni caso, vale a dire sia se l’occupante sia legittimato da titolo valido, quali appunto l’autorizzazione o la concessione, sia se l’occupante sia abusivo, ma non già in via alternativa, indifferentemente dall’uno o dall’altro, bensì secondo un ordine di graduazione prestabilito, per il quale la tassa grava, innanzitutto, sul soggetto legittimato, e quindi e in linea subordinata, “in mancanza” del titolo di legittimazione espressamente previsto, sul soggetto che di fatto occupa gli spazi pubblici. Ne consegue che la presenza del primo tipo d’occupazione esclude la rilevanza dell’altra, con la conseguenza che se esiste un soggetto legittimato, il tributo non può essere imposto all’occupante di fatto”.

In Cass. 24920/16 si trova affermato (in fattispecie di occupazione di suolo pubblico affidato dal concessionario ad impresa appaltatrice, peraltro ritenuta solidalmente responsabile) che: “rilievo decisivo va, quindi, attribuito alla sussistenza di un atto di concessione o di autorizzazione, venendo in rilievo l’occupazione di fatto soltanto quando sia constatato che l’occupazione del suolo sia avvenuta in assenza (di titolo) abilitativo in via di mero fatto e, quindi abusivamente”.

L’orientamento in esame muove dunque dalla più stretta e piana lettura – ex art. 12 preleggi, comma 1, – della disposizione in esame, dalla quale si desume che:

– l’occupante di fatto risponde sì, ma solo “in mancanza” di concessionario;

– tale responsabilità comporta il pagamento di un tributo (tassa) in tutto corrispondente a quello che sarebbe dovuto dal concessionario, impregiudicato il diverso profilo dell’indennizzo o del risarcimento del danno da occupazione senza titolo.

Va detto che la soluzione della legittimazione passiva graduata, e non concorrente o paritetica, tra concessionario ed occupante di fatto trova ulteriore recepimento normativo nell’istituzione, a partire dal gennaio 1999, del “canone” di occupazione del suolo pubblico (Cosap); prelievo, quest’ultimo, che pur non avendo natura tributaria ma patrimoniale – in quanto strutturato quale corrispettivo di una concessione o di un’occupazione (da ultimo: Cass. ord. 1435/18), con conseguente sua attribuzione alla giurisdizione ordinaria (SSUU 1239/05; SSUU 21950/15 ed altre) – opera tuttavia in regime di alternatività opzionale con la Tosap, di cui mutua finalità sostanziale e, in larga parte, disciplina.

Stabilisce infatti il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, comma 1, che l’occupazione di suolo pubblico possa dalle province e dai comuni essere assoggettata al pagamento di un canone “da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa”, salva la facoltà degli enti impositori di provvedere con Reg. (art. cit., lett. g), alla: “equiparazione, ai soli fini del pagamento del canone, delle occupazioni abusive, risultanti da verbale di contestazione redatto da competente pubblico ufficiale, a quelle concesse (…)”. Così determinandosi un regime complessivo in forza del quale il canone è dovuto dal concessionario, e solo in ipotesi di occupazione abusiva (cioè in mancanza di concessione) dall’occupante di fatto.

p. 3.2 Una seconda posizione interpretativa afferma, all’opposto, che la Tosap debba essere pagata da chi occupa suolo pubblico, indipendentemente dall’esistenza della concessione o autorizzazione.

Cass. 11882/17 ed altre coeve – emesse tra le stesse parti degli odierni ricorsi e su medesima fattispecie, ancorchè con riguardo a diverse annualità di imposta hanno affermato, con ulteriori richiami, che: “Il presupposto impositivo della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP) è costituito, ai sensi del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 38 e 39, dalle occupazioni, di qualsiasi natura, di spazi ed aree, anche soprastanti e sottostanti il suolo, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province, mentre sono irrilevanti gli atti di concessione o di autorizzazione relativi all’occupazione, atteso che la tassa colpisce anche le occupazioni senza titolo (Cass. n. 2555/2002, n. 4820/2002)”. Pur riconoscendosi che l’art. 39 in esame individua nella persona dell’occupante di fatto il soggetto passivo d’imposta “in mancanza di atti di concessione o autorizzazione”, si ritiene tuttavia che tale disposizione (relativa al profilo soggettivo dell’imposizione) vada coordinata con quella (art.38) che individua l'”oggetto della tassa” nell’occupazione di qualsiasi natura, anche senza titolo, di suolo demaniale o appartenente al patrimonio indisponibile di comuni e province.

Atteso che l’occupazione del suolo pubblico rileva ex se, indipendentemente dalla concessione, e visto che lo stesso regime impositivo viene dal legislatore applicato anche alle occupazioni del sottosuolo “comprese quelle poste in essere con condutture ed impianti di servizi pubblici gestiti in regime di concessione amministrativa” (così l’art. 38, comma 2), si afferma che, in base alla ratio impositiva, lo stato di occupazione del suolo pubblico esaurisca al contempo tanto il presupposto oggettivo quanto quello soggettivo del tributo.

Sicchè (Cass. 11882/17) “…allora, appare coerente con la sopra ricordata lettura giurisprudenziale della normativa l’affermazione della CTR secondo cui “la soggettività passiva dell’imposta è pertanto da imputare esclusivamente ad HERA in quanto utilizzatrice del suolo, attraverso i cavi, gli impianti e le condutture e in quanto azienda fornitrice di un servizio a fini propri, anche se rivolti ad una platea di utenti”. Infatti, la titolarità in capo ad altro soggetto delle infrastrutture non esclude l’attualità della occupazione che realizza il soggetto mediante l’utilizzo dell’area nel proprio esclusivo interesse economico, perseguendo un fine lucrativo, così sottraendola all’uso pubblico (…)”.

Negli stessi termini si è espressa – sempre tra le parti del presente giudizio – Cass. ord. sez. 6-5 n. 21018/17, secondo cui l’identificazione del presupposto impositivo nell’occupazione di spazio pubblico, di qualsiasi natura ed anche senza titolo (contando unicamente la “mera relazione materiale instaurata con la cosa”), basta a privare di ogni rilevanza l’indagine non solo sul contenuto, ma sulla esistenza stessa di eventuali atti di concessione o autorizzazione.

Meno influente, ai fini in discorso, è invece Cass. 11688/17 la quale, pur affermando anch’essa che “ai fini della Tosap, rileva il fatto in sè della predetta occupazione, indipendentemente dall’esistenza o meno di una concessione od autorizzazione”, ha poi applicato tale principio in una fattispecie (occupazione di suolo demaniale da parte di viadotto autostradale) pacificamente connotata da mancanza di concessione occupativa, con conseguente ritenuta responsabilità tributaria della società di gestione autostradale – occupante di fatto.

p. 3.3 A ben vedere, il panorama interpretativo è ancor più variegato di quello di cui si è dato finora sommariamente conto.

Cass. 27049/07 – distinguendo tra occupante ed utilizzatore – ha individuato il soggetto passivo del tributo in colui che ha costruito il passo carrabile, ponendo così in essere l’occupazione del suolo pubblico; per contro, estraneo all’obbligo è stato ritenuto il locatario dell’immobile, che tale passo carrabile utilizza, in via derivativa, in forza del contratto di locazione (così Cass. 18041/09 ed altre).

Non mancano poi decisioni che, come anticipato, riconducono la legittimazione passiva tributaria in capo al soggetto titolare di concessione o autorizzazione occupativa, salvo ammettere l’eventualità di una responsabilità solidale anche in capo all’occupante di fatto (nella specie, impresa appaltatrice affidataria di area pubblica); così Cass. 9695/05, secondo cui: “a norma del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 39, obbligato al pagamento della TOSAP è il titolare dell’atto di concessione o autorizzazione all’occupazione. L’affidamento in appalto dell’esecuzione dei lavori per i quali è stata chiesta l’autorizzazione e l’effettiva occupazione del suolo pubblico da parte dell’impresa appaltatrice non rilevano se non nel senso di una eventuale responsabilità solidale dell’impresa quale occupante di fatto”.

Questa conclusione – fatta propria anche da Cass. 24920/16, cit. – sembra però porre qualche problema ricostruttivo, ove si consideri che la solidarietà passiva in questione non è prevista dalla legge speciale (art. 39); mentre la regola generale di cui all’art. 1294 c.c., presuppone una fattispecie co-debitoria originaria che, nella problematica in esame, non è scontata ma, appunto, tutta da dimostrare.

Nè quest’ultimo indirizzo interpretativo esplicita la ravvisabilità nella dizione legislativa di un vero e proprio beneficium ordinis, nel senso che il requisito di “mancanza” prescritto dall’art. 39, debba essere ellitticamente inteso non in senso ontologico (mancata esistenza del concessionario), ma meramente satisfattivo (mancato pagamento della tassa da parte del concessionario), secondo uno schema di sostituzione e di solidarietà secondaria tutt’altro che avulso – in effetti dall’ordinamento tributario.

p. 4. E’ evidente come la questione interpretativa in esame involga delicate implicazioni di sistema ed interferenze di principio in rapporto alle caratteristiche di necessarie tassatività e determinatezza della norma impositiva. Si è in proposito affermato da Cass. 11937/12 (ad esclusione della responsabilità Tosap del soggetto che abbia subito l’esecuzione in danno di opere comportanti occupazione di suolo pubblico da lui non realizzate in mancata ottemperanza di provvedimento contingibile ed urgente): “è appena il caso di precisare che quando la lettera della legge non è ambigua nè vaga non c’è bisogno di ricorrere a criteri ermeneutici sussidiari e che, in ogni caso, le norme che definiscono oggetti e soggetti imponibili sono complete per loro natura, non essendo prospettabile nelle fattispecie impositive l’esistenza di lacune tecniche da risolvere con interpretazione estensiva o analogica e non potendo le norme tributarie impositrici colpire soggetti non precisamente ed espressamente individuati”.

Sul piano strettamente applicativo, infine, la questione rileva anche in considerazione del fatto che l’avanzamento tecnologico nel settore dei servizi di pubblica utilità (trasporti, telecomunicazioni, energia ecc…), consente che una medesima infrastruttura comportante occupazione di suolo o sottosuolo pubblico sia dalla società proprietaria della rete (normalmente anche concessionaria) contrattualmente affidata alla simultanea gestione, in regime concorrenziale, di plurime società erogatrici-occupanti di fatto. Si tratta di situazioni che non trovano una specifica disciplina legislativa, nè in ordine al quantum dovuto dal singolo operatore occupante nè, per ciò che qui più conta, in ordine alla imputazione soggettiva del dovuto per Tosap o Cosap. Lacune entrambe evidenziate nella Circolare MEF del 20 gennaio 2009, n. 1/DF, nella quale si è prospettata, sotto il primo profilo, un’interpretazione dinamica ed estensiva del criterio del “numero di utenze” ad altro fine recepito dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, comma 2, lett. f), come sostituito dalla L. n. 488 del 1999, art. 18; e, sotto il secondo profilo, l’insorgenza dell’obbligazione al pagamento direttamente in capo a ciascun operatore-occupante, salva diversa regolazione economica del costo nel rapporto interno con la società proprietaria della rete.

Si ritiene, in definitiva, che possano sussistere – sia come risoluzione di contrasto, sia come questione di massima di particolare importanza, ex art. 374 c.p.c., comma 2, – i presupposti per un intervento chiarificatore delle SSUU sull’esatta interpretazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 39, e, segnatamente, sull’estensione della soggettività passiva Tosap a seconda che l’occupante di fatto di suolo pubblico possa essere chiamato a rispondere del tributo anche in presenza – ovvero soltanto in mancanza – di soggetto titolare di concessione o autorizzazione occupativa. Nel caso di ritenuta responsabilità debitoria dell’occupante di fatto anche in presenza di quest’ultimo, si pone poi l’ulteriore quesito di stabilire se tale responsabilità operi in via esclusiva ed assorbente, ovvero solidale.

PQM

– riunisce il ricorso n. 20026/16 al ricorso n. 20023/16 rg;

– dispone la trasmissione dei ricorsi riuniti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione dei medesimi alle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 4 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2019

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