Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20079 del 30/09/2011

Cassazione civile sez. II, 30/09/2011, (ud. 04/03/2011, dep. 30/09/2011), n.20079

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25314/2005 proposto da:

P.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA NOMENTANA 312, presso lo studio dell’avvocato ROLANDI RICCI

Gioantonio, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.S. (OMISSIS) E PER ESSO GLI AREDI P.

L. C.F. (OMISSIS), P.F. C.F.

(OMISSIS), P.R. C.F. (OMISSIS); P.

A. E PER ESSO GLI PA.AD. C.F. (OMISSIS),

PA.LU. C.F. (OMISSIS), P.M. C.F.

(OMISSIS); PA.MA. (OMISSIS) EREDE DI

P.D.; C.B. (OMISSIS), C.

L. C.F. (OMISSIS) EREDI DI P.A.; S.

A. (OMISSIS), S.T. C.F. (OMISSIS)

QUALI EREDI DI P.M.; elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA PREMUDA 18, presso lo studio dell’avvocato RICCI EMILIO NICOLA,

rappresentati e difesi dall’avvocato RAIMONDI Giuseppe;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 592/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/03/2011 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.G. proponeva nei confronti di P.A., M., S., Ma. e a., innanzi al Tribunale di Roma, domanda di scioglimento della comunione ereditaria dei beni relitti dal padre, P.O., e dalla madre, G. B..

I convenuti aderivano alla domanda, purchè la comunione fosse sciolta in conformità di una scrittura privata del 12.3.1949, relativa a beni che deducevano di aver usucapito.

Con sentenza definitiva il Tribunale dichiarava l’avvenuta usucapione in favore di D. (e per lui degli eredi Ma. e a.), di M., detta N., di G., di A., di S. e di P.A. dei beni di G.B., e attribuiva loro i beni di cui alla scrittura del 12.3.1949 rientranti fra quelli indicati nella denuncia di successione di P. O..

P.G. impugnava quest’ultima sentenza innanzi alla Corte d’appello di Roma, dolendosi dell’accertamento dell’usucapione in favore di P.S., Ad., Lu., M. e Ma., nonchè di B. e C.L. e di S.A. e T., in quanto i beni oggetto della pronuncia non potevano ritenersi ben identificati, e chiedeva che gli stessi – id est, quelli pervenuti per successione ereditaria di G.B. – fossero assegnati secondo le norme della successione legittima.

Con sentenza dell’8.2.2005 la Corte capitolina rigettava “la domanda di scioglimento della comunione ereditaria e divisione giudiziale come in atti proposta da P.G.” e compensava interamente le spese del grado d’appello.

In motivazione il giudice d’appello affermava di ritenere fondate le censure mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado, atteso che lo stesso Tribunale aveva dato atto che le vicende storiche del catasto e lo stato dei luoghi non avevano consentito un’analitica individuazione delle singole particelle componenti i terreni, nè avevano reso possibile stabilire se dell’asse ereditario di P. O. facessero parte altri beni non considerati nella scrittura del 12.3.1949; e che a nulla erano valse le due successive c.t.u.

espletate a tal fine. Ciò posto, osservava, però, che tale impossibilità di individuare esattamente i beni ostava non solo alla dichiarazione di usucapione della relativa proprietà, ma anche alla stessa domanda di divisione, che pertanto andava respinta.

Per la cassazione di detta sentenza ricorre P.G., con due motivi di annullamento.

Resistono con controricorso L., F., R., Ad., Lu. e P.M., quali eredi di P.A., Pa.Ma., quale erede di P.D., B. e C.L., quali eredi di P.A., nonchè A. e S.T., quali eredi di P.M..

P.S. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullità, ai sensi dell’art. 156, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, della sentenza impugnata, per contrasto fra motivazione e dispositivo.

Sostiene al riguardo, che la Corte capitolina, dopo aver anticipato in motivazione di voler riformare la sentenza di primo grado, ha finito poi per rigettare la stessa domanda di divisione, mentre l’unico esito possibile al dichiarato accoglimento dell’appello doveva consistere nella dichiarazione che sui beni della de cuis G.B. e su quelli non compresi nella denuncia di successione di P.O. si procedesse applicando le norme della successione legittima.

2. – Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in quanto la Corte d’appello, ove avesse inteso giudicare come non individuabili i beni dell’eredità di G.B. e quelli non inclusi nella dichiarazione di successione di P.O., avrebbe dovuto ritenere di nessuna rilevanza sia la copiosa documentazione inerente a tali beni, sia la circostanza che lo stesso Tribunale aveva rimesso la causa sul ruolo per la necessità non solo di individuare con precisione i beni appartenuti a G.B., ma anche quali tra quelli indicati nella scrittura del 12.3.1949 appartenessero ai singoli genitori. La Corte, in altre parole, avrebbe dovuto almeno motivare circa la presunta incompletezza e/o assenza di prove da parte dell’appellante, altrimenti, visto il rigetto della domanda di usucapione, avrebbe dovuto dichiarare aperta la successione legittima almeno sui beni di G.B., così come individuati dai certificati catastali e dalla denuncia di successione.

3. – I due motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

La non corrispondenza tra motivazione e dispositivo può generare tre diverse situazioni, ossia l’invalidità dell’atto, la composizione del contrasto mediante l’integrazione delle due parti della sentenza ovvero l’omessa pronuncia.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte vi è contraddittorietà insanabile tra motivazione e dispositivo allorquando non è possibile individuare la statuizione del giudice attraverso una valutazione di prevalenza di una delle contrastanti affermazioni contenute nella decisione, situazione questa, che non può essere eliminata con il rimedio della correzione degli errori materiali e che determina, pertanto, la nullità della pronuncia ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2 , c.p.c. (v. tra le tante, Cass. n. 29490/08).

A sua volta, il principio costantemente affermato da questa Corte che la portata precettiva di una pronunzia giurisdizionale va individuata tenendo conto non soltanto del dispositivo, ma anche della motivazione, trova applicazione soltanto quando il dispositivo contenga comunque una pronuncia di accertamento o di condanna e, in quanto di contenuto precettivo indeterminato o incompleto, si presti ad integrazione, ma non quando il dispositivo manchi del tutto, giacchè in tal caso ricorre un irrimediabile vizio di omessa pronuncia su una domanda o un capo di domanda denunciarle ai sensi dell’art. 112 c.p.c., non potendo la relativa decisione, con il conseguente giudicato, desumersi da affermazioni contenute nella sola parte motiva (cfr. Cass. nn. 16152/10, 12084/07, 16579/02 e 4451/93).

L’assenza del dispositivo deve essere valutata, in ipotesi di processo cumulativo, in relazione a ciascuna domanda, potendo l’omissione riguardare una o più soltanto tra le varie domande sub indice. Ne deriva che non vi può essere nè nullità della sentenza per contrasto tra motivazione e dispositivo, nè integrazione tra l’una e l’altro allorchè la o le statuizioni contenute nel dispositivo riguardino soltanto alcune delle domande esaminate nella parte motiva della sentenza.

3.1. – Nella specie, si è verificata quest’ultima situazione.

La sentenza impugnata non presenta alcun contrasto, tecnicamente inteso, tra motivazione e dispositivo, perchè quest’ultimo corrisponde perfettamente alla parte della motivazione in cui si afferma che l’impossibilità di identificare con esattezza i beni oggetto della divisione osta non solo alla domanda di accertamento dell’usucapione (della proprietà) dei beni stessi, ma anche alla stessa domanda di scioglimento della comunione e di divisione, imponendone, il rigetto “in toto”. Ciò che manca del tutto, invece, è il dispositivo di rigetto della domanda di usucapione, che non può ricavarsi altrimenti per i sopra richiamati limiti posti al principio di integrazione.

Dunque, la sentenza impugnata non ha statuito alcunchè in ordine alla domanda di usucapione, oggetto dell’impugnazione principale proposta da P.G., sicchè il ricorrente avrebbe dovuto censurare la sentenza impugnata per farne valere la nullità non già per contrasto fra motivazione e dispositivo, ma per omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Non avendolo fatto, il ricorso non può che essere respinto.

4. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali di studio, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2011

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