Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20077 del 24/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 24/07/2019, (ud. 18/04/2019, dep. 24/07/2019), n.20077

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5225-2018 proposto da:

R.A.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DELLA

CROCE ROSSA 2/B, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO TROIANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO IOLITA;

– ricorrente –

Contro

B.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI

1, presso lo studio dell’avvocato DANIELE MANCA BITTI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

G.P.E.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1484/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 21/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/04/2(119 dal Consigliere Relatore Dott.ssa CHIARA

GRAZIOSI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte rilevato che:

Con atto di citazione notificato il 19 aprile 2010 B.D. si opponeva davanti al Tribunale di Brescia a decreto ingiuntivo del pagamento di Euro 210.000, oltre interessi e spese, ad R.A.M. quale corrispettivo di prestazioni professionali che sarebbero state compiute a favore dell’opponente da G.P.E. – che l’opponente pure conveniva, proponendo domanda nei suoi confronti -: credito che, nella prospettazione del R., a quest’ultimo sarebbe stato ceduto pro soluto. Il R. si costituiva insistendo nella sua pretesa, mentre il G. restava contumace. Con sentenza del 5 novembre 2015 il Tribunale rigettava l’opposizione e la domanda proposta dal B. nei confronti del G..

Il B. proponeva appello, cui resisteva il R., il G. rimanendo contumace.

La Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 21 novembre 2017, accoglieva l’appello, revocando il decreto ingiuntivo e condannando il R. a rifondere all’appellante le spese di entrambi i gradi.

Il R. ha proposto ricorso basato su due motivi, da cui si difende con controricorso il B..

ritenuto che: Il primo motivo del ricorso, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia violazione dell’art. 1362 ss., artt. 1388e 1705 c.c., falsa applicazione del principio di diritto per cui l’interpretazione del contratto deve seguire il senso letterale delle parole e delle espressioni, nonchè violazione dei principi di ermeneutica contrattuale e violazione del principio regolatore della rappresentanza in ambito societario.

Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto discusso e decisivo, che consisterebbe nel comportamento complessivo anche di una sola parte.

A prescindere da ogni altro profilo, è ictu oculi evidente che nei due motivi – vagliabili congiuntamente – il ricorso persegue, in via diretta, una alternativa valutazione fattuale del contenuto della volontà delle parti contrattuali, e non adduce, in effetti, censure rientranti nella giurisdizione di legittimità, in particolare non giungendo a denunciare la violazione dei canoni ermeneutici da parte del giudice di merito nel senso che quest’ultimo abbia proceduto alla sua ricostruzione fattuale discostandosi dal dettato normativo (cfr. da ultimo, Cass. 7794/2018 e la giurisprudenza ivi richiamata sull’attribuzione al giudice di merito della ricostruzione della volontà delle parti e sui limiti, appena sintetizzati, del sindacato del giudice di legittimità).

Deve pertanto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del grado – liquidate come da dispositivo – alla controricorrente; sussistono altresì D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del dell’art. cit., comma 1 bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 5600, oltre a Euro 200 per gli esborsi e al 15% per spese generali, nonchè agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2019

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