Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20076 del 30/07/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 20076 Anno 2018
Presidente: ORICCHIO ANTONIO
Relatore: CORTESI FRANCESCO

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15264/2014 R.G. proposto da
SEGALLA ROMANO e SEGALLA DAVIDE, rappresentati e difesi dagli
Avv.ti Alessio PEZCOLLER e Silvia Maria CINQUEMANI,
elettivamente domiciliato presso la seconda a Roma, in via Varrone
n. 9
– ricorrenti contro
SEGALLA ISIDORO, CIGALOTTI BRUNA, SARTORI VALERIO,
SARTORI LUIGINO, PEVARELLO GERMANA e SILVESTRI IOLE
– intimatiavverso la sentenza della Corte d’Appello di Trento n. 40/2013,
depositata in data 6.2.2014, notificata il 3.4.2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28.3.2018 dal
Consigliere Relatore dott. Francesco CORTESI;

9

Data pubblicazione: 30/07/2018

FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
– il Tribunale di Rovereto, accogliendo la domanda formulata
da Isidoro Segalla nei confronti dei fratelli Romano e Davide
Segalla, nonché di Valerio e Luigino Sartori (anche quali eredi di
Elda Sartori), Bruna Cigalotti, Luciana e Iole Silvestri e Germana

il quale Elda, Valerio e Luigino Sartori avevano alienato a Romano e
Davide Segalla tre particelle facenti parte della particella edificabile
n. 241/2 del comune di Lenzumo;
– ritenne il tribunale che l’atto non fosse diretto all’alienazione
dei beni, ma all’eliminazione di un errore di intavolazione consistito
nell’attribuzione, diversamente dallo stato di fatto, della proprietà
degli stessi alla famiglia Sartori, quando in realtà essi
appartenevano a Sisto Segalla, dante causa dell’attore;
– la sentenza dispose inoltre lo scioglimento della comunione
fra le parti Isidoro, Romano e Davide Segalla, Bruna Cigalotti, Iole
Silvestri e Germana Pevarello, procedendo alla divisione sulla base
del progetto allegato;
– Romano e Davide Segalla proposero appello; si costituirono
Isidoro Segalla e Bruna Cigalotti chiedendone il rigetto, mentre i
restanti appellati rimasero contumaci;
– la Corte d’Appello di Trento rigettò il gravame, rilevando
che tutte le parti avevano dato atto dell’esistenza di una comunione
sui beni oggetto di vendita e perciò del carattere simulato
dell’accordo, finalizzato al rimedio di un errore di intavolazione; tale
ultima circostanza, poi, era stata confermata dal consulente tecnico
incaricato di esaminare gli atti di proprietà relativi ai beni;
– avverso detta sentenza Romano e Davide Segalla hanno
proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, illustrati da
successiva memoria; gli intimati non hanno svolto difese.

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Pevarello, dichiarò la simulazione del contratto del 31.12.1985 con

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:
– con il primo motivo i ricorrenti denunziano violazione degli
artt. 116, 228 e 229 cod. proc. civ. e 2729, 2730 ss. cod. civ.,
nonché “carenza/insufficienza di motivazione”, assumendo che la
sentenza impugnata avrebbe errato nell’attribuire valenza

difensore, in quanto sprovvisto di apposito mandato;
– a tal fine richiamano la consolidata giurisprudenza di questa
corte, secondo cui a tali dichiarazioni può essere al più attribuito un
valore indiziario, ed osservano che in ogni caso nei loro scritti
difensivi in grado d’appello essi si erano sempre opposti all’avversa
domanda principale di annullamento del contratto, contestando
altresì la circostanza dell’esistenza sostanziale di una comunione
fra le parti sui beni oggetto della compravendita simulata;
– la censura è priva di pregio; premesso, infatti, che la
doglianza inerente alla motivazione, per come formulata, non tiene
conto dell’intervenuta modifica dell’art. 360, n. 5) cod. proc. civ.,
non rappresentando il fatto controverso e decisivo per il giudizio del
quale la sentenza impugnata avrebbe omesso l’esame, per il resto
va osservato che il rilievo da cui prende le mosse la sentenza
impugnata non concerne la prova dei fatti oggetto di causa (cui
afferiscono le considerazioni dei ricorrenti in tema di confessione),
bensì il diverso piano delle allegazioni in fatto;
– tali allegazioni, infatti, la corte d’appello ha ritenuto comuni
a tutte le parti in causa quanto all’esistenza di una comunione sui
beni ed al fatto che la compravendita fosse finalizzata a porre
rimedio ad un errore di intavolazione; e tale fondamentale rilievo
non viene scalfito dalla censura;

peraltro, e per mera completezza, si osserva che la

sentenza impugnata ha comunque ritenuto di dover corroborare le
comuni allegazioni in fatto con le risultanze della consulenza
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confessoria alle dichiarazioni rese negli atti di causa dal loro

tecnica esperita, dalla quale ha tratto un più fermo convincimento
della verità dei fatti;
– con il secondo motivo, deducendo violazione degli artt. 116
cod. proc. civ. e 2729 cod. civ., nonché insufficiente motivazione, i
ricorrenti assumono che la corte d’appello avrebbe ritenuto provata
l’erronea intavolazione sulla base della consulenza tecnica esperita,
che in realtà non riportava alcuna indicazione in tal senso;

più sopra esposto in ordine al vizio di motivazione, giacché neppure
in questo caso i ricorrenti indicano il fatto non esaminato, esso è
infatti volto a contestare le valutazioni della corte d’appello in
ordine alle risultanze della consulenza tecnica, e perciò a sollecitare
la revisione di un apprezzamento riservato al giudice del merito e
non sindacabile in questa sede;
– con il terzo motivo- denunziando violazione degli artt. 116
cod. proc. civ., 2729, 2730 e 2733 cod. civ. e vizio di motivazionei ricorrenti assumono che la corte d’appello avrebbe erroneamente
valutato il comportamento tenuto da Romano Segalla nel corso
delle operazioni peritali, attribuendovi valore di ammissione
dell’esistenza di un’effettiva comproprietà sulle particelle oggetto di
compravendita, e traendo da tanto argomenti di prova;
sostengono, in particolare, che dalla partecipazione alle operazioni
peritali non è consentito trarre argomenti di prova e che, in ogni
caso, il Segalla si era limitato a prospettare una propria ipotesi
divisionale, senza con ciò riconoscere la natura simulata della
compravendita;
– anche detto motivo è inammissibile; premesso, infatti, che le
deduzioni difensive svolte dalla parte nel corso delle operazioni
peritali possono essere ascritte alla nozione di “comportamento
processuale” rilevante ex art. 116 cod. proc. civ. (cfr. Cass.
4.4.1987, n. 3262), il potere discrezionale di trarne o meno
argomenti di prova costituisce apprezzamento di merito
incensurabile nella presente sede (cfr. fra le altre Cass. 5.12.2011,
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– il motivo è inammissibile per come formulato; fermo quanto

n. 26088; Cass. 26.6.2007, n. 14748); sfugge dunque al sindacato
proposto la valutazione della corte d’appello che, nel prendere atto
dell’intervenuta proposizione di progetti divisionali da parte del
Segalla nel corso delle operazioni, ne ha tratto il convincimento- di
grado indiziario- che costui avesse riconosciuto la sostanziale
esistenza di una comproprietà sulle particelle oggetto del negozio
dispositivo;

meritevole di rigetto; che non occorra provvedere sulle spese, in
assenza di attività difensiva da parte degli intimati; che sussistano
inoltre i presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002

P.Q.M.

rigetta il ricorso; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del
2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del
comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione II
Civile della Corte di Cassazione il 28.3.2018.
Il Presidente

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Roma,

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30 LUG. 2018′

– ritenuto pertanto che il ricorso sia complessivamente

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