Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20075 del 23/09/2010

Cassazione civile sez. un., 23/09/2010, (ud. 22/06/2010, dep. 23/09/2010), n.20075

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente di sezione –

Dott. DI NANNI Luigi Francesc – Presidente di sezione –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

TRENITALIA S.P.A., in persona del Legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SESTO RUFO 23, presso lo

studio dell’avvocato MOSCARINI LUCIO VALERIO, che la rappresenta e

difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.E.M. ((OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato POZZA MASSIMO,

giusta delega a margine del ricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4648/2008 del TRIBUNALE di TORINO, depositata

il 02/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/06/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI AMOROSO;

uditi gli avvocati LUCIO V. MOSCARINI, Lorenzo DI BACCO, per delega

dell’avvocato Massimo POZZA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per l’inammissibilità,

in subordine accoglimento.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso al giudice del lavoro di Torino, T.E. M. esponeva di essere stato assunto in servizio dalle Ferrovie dello Stato il 29 luglio 2002 con contratto di formazione e lavoro per la durata di 24 mesi, con le mansioni di macchinista, tecnico qualificato, (OMISSIS) area. Deduceva che il rapporto si era trasformato in rapporto a tempo indeterminato e che il datore non aveva tenuto in considerazione detto periodo di torni azione e lavoro ai fini degli scatti di anzianità di servizio, in ragione dell’art. 17 del contratto collettivo nazionale del 2003 applicabile al rapporto.

Sosteneva la illegittimità e/o nullità di tale norma collettiva per contrasto con il D.L. n. 726 del 1984, art. 3, comma 5, come convertito nella L. n. 863 del 1984, che prescriveva, con disposizione inderogabile, la computabilità del periodo di contratto di formazione e lavoro nell’anzianità del lavoratore.

La Trenitalia S.p.A. si costituiva in giudizio contestando l’avversa richiesta e precisando che la rilevanza del periodo di formazione e lavoro, ai fini della decorrenza dell’anzianità retribuiva, rientrava tra le voci rimesse alla disponibilità delle parti e che dunque, correttamente, in sede di contrattazione, il periodo trascorso in formazione lavoro era computato solo ai fini degli istituti previsti dalla legge e per altri istituti specificamente previsti.

2. Sulla questione pregiudiziale della validità della menzionata norma contrattuale collettiva il Tribunale di Torino pronunciava sentenza non definitiva, ai sensi dell’art. 420 bis c.p.c., e dichiarava la nullità della clausola di cui all’art. 17 c.c.n.l.

Ferrovieri 2003 nella parte in cui escludeva il diritto del lavoratore di fruire degli aumenti periodici di anzianità previsti dall’art. 64 c.c.n.l. cit., anche con riguardo al periodo del contratto di formazione e lavoro.

3. Avverso tale sentenza la società ricorre per cassazione ex art. 420 bis.

Il lavoratore resiste con controricorso, deducendo preliminarmente l’improcedibilità del ricorso ex art. 369 c.p.c., n. 4, per non essere stata allegata copia integrale del contratto collettivo di riferimento, ma solo un estratto dello stesso.

4. A seguito di ordinanza del 17 marzo – 8 aprile 2010, n. 8332, della Sezione Lavoro di questa Corte, che ha denunciato un contrasto di giurisprudenza in ordine alla questione sollevata dalla difesa del lavoratore intimato con l’eccezione di improcedibilità del ricorso, quest’ultimo è stato assegnato alle Sezione Unite, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2.

Il controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La società ricorrente, con il ricorso articolato in tre motivi, censura la legittimità della sentenza del tribunale di Torino essenzialmente contestando la valutazione che il primo giudice ha fatto, in termini di invalidità, dell’art. 7, lett. c) dell’accordo nazionale 11 aprile 1995, riprodotto senza modifiche nel successivo art. 7, lett. c), dell’accordo nazionale 27 novembre 2000.

2. Va preliminarmente esaminata l’eccezione di improcedibilità del ricorso, sollevata dalla difesa del controricorrente, per aver la ricorrente depositato solo un estratti) e non già la copia integrale del contratto collettivo recante la normativa regolante la materia controversa e ritenuta invalida dal giudice di primo grado che ha pronunciato la sentenza impugnata.

L’eccezione è fondata.

3. L’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella formulazione novellata dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7 prescrive, a pena di improcedibilità, che, insieme col ricorso, debbono essere depositati, tra gli altri, “i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”: disposizione questa che trova applicazione in una portata più specifica ossia con riferimento a contratti o accordi collettivi di lavoro di livello nazionale – sia in generale, ove come motivo di ricorso venga allegata la violazione o falsa applicazione di norme di questi ultimi ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), sia in particolare nell’ipotesi del ricorso immediato per cassazione ex art. 420 bis c.p.c., comma 2, avverso la sentenza (del giudice di primo grado: Cass., sez. lav., 19 febbraio 2007, n. 3770, ed altre successive) che abbia risolto in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale.

La norma risultante in questa portata più specifica si raccorda poi all’ulteriore prescrizione posta dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 6), che richiede, a pena di inammissibilità, che il ricorso contenga l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano i motivi di ricorso secondo quanto previsto dall’art. 366 bis c.p.c., e quindi nei casi contemplati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), nonchè l’indicazione dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda.

Il contrasto di giurisprudenza di cui queste Sezioni Unite sono state investite dalla Sezione Lavoro con ordinanza del 17 marzo – 8 aprile 2010, n. 8332, riguarda il quesito di diritto se sia necessario, a pena di improcedibilità, che il deposito ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, abbia ad oggetto il contratto o l’accordo collettivo nazionale di lavoro nella sua integralità ovvero sia sufficiente che la parte ricorrente depositi l’estratto di questi recante anche solo le norme sulle quali si tonda il ricorso.

Nella specie la società ricorrente ha depositato il fascicolo della fase di merito che contiene come è pacifico tra le parti – solo uno stralcio del menzionato contratto collettivo, ma non anche il testo integrale dello stesso.

4. Innanzi tutto deve considerarsi rituale la modalità di deposito dell’atto mediante produzione del fascicolo della fase di merito.

In generale questa Corte (Cass., sez. un., 25 marzo 2010, n. 7161) ha affermato in proposito che l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso.

5. Sulla questione controversa la giurisprudenza di questa Corte è stata oscillante.

Con una prima pronuncia (Cass., sez. lav., 24 settembre 2007, n. 19695) questa Corte ha affermato che l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si t’onda – imposto a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 – va riferito alle norme della cui violazione il ricorrente si duole, dovendo la Corte scrutinare il vizio allegato sulla scorta dei canoni di interpretazione contrattuale ed in primo luogo ai sensi dell’art. 1362 cod. civ.; ove, tuttavia, la denunciata violazione si fondi su una lettura sistematica dell’atto o di norme-parametro, l’onere del prescritto deposito si estende anche a tali disposizioni contrattuali.

Ha osservato la Corte in questa pronuncia che, ancorchè l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella formulazione recentemente novellata abbia introdotto la possibilità di dedurre la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, queste ultime, nel caso della contrattazione collettiva di diritto privato, rimangono pur sempre atti negoziali per i quali non opera i principio jura novit curia. Ciò rende ragione dell’onere documentale posto a carico della parte. Tale onere documentale riguarda – come prescrive l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, con una formulazione ampia – “i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”; formulazione questa che deve ritenersi riferita innanzi tutto alle singole disposizioni contrattuali della cui violazione il ricorrente si duole. Il mancato deposito del testo contrattuale in parte qua comporta l’improcedibilità del ricorso perchè all’evidenza la Corte non sarebbe posta in condizione di scrutinare l’allegato vizio di violazione o falsa applicazione delle medesime norme contrattuali.

Ha rilevato in particolare la corte che la possibilità di dedurre con ricorso per cassazione anche la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro non altera la natura dell’interpretazione di queste ultime che rimane negoziale. Soccorrono quindi i canoni dell’interpretazione contrattuale (artt. 1362 c.c. e segg.) e non già quelli dell’interpretazione legale; e trova applicazione anche il canone dell’art. 1363 c.c. secondo cui le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto.

Secondo la citata pronuncia ciò rileva anche ai fini dell’interpretazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nel senso che se la violazione o falsa applicazione delle norme contrattuali dedotte deriva, secondo la prospettazione difensiva del ricorrente.

da una lettura sistematica delle norme – parametro nel raffronto con altre disposizioni contrattuali, l’onere prescritto dall’art. 369 cit. si estende anche a tali disposizioni contrattuali che parimenti devono essere depositate, non essendo esse altrimenti deducibili.

Il controricorrente a sua volta può, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 3. depositare, unitamente al controricorso, i “documenti”, che, dopo la novella di cui al cit. D.Lgs. n. 40 del 2006, sono da intendersi comprensivi dei “contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

6. Con questa prima pronuncia risulta essere in contrasto un secondo intervento della Sezione Lavoro (Cass., sez. lav., 26 febbraio 2008, n. 5050) che ha all’opposto affermato che nel procedimento di accertamento pregiudiziale della validità, efficacia ed interpretazione dei contratti ed accordi collettivi nazionali di cui all’art. 420 bis cod. proc. civ., la parte ha l’onere di depositare, a pena di improcedibilità del ricorso, il testo integrale del contratto collettivo al quale la domanda si riferisce, non essendo sufficiente il deposito di un estratto del contratto contenente alcuni articoli (nemmeno se siano i soli sui quali si sia svolto il contraddittorio o che vengano invocati nel ricorso per cassazione), in quanto l’indicato adempimento ha carattere strumentale rispetto al pieno esercizio della funzione nomofilattica da parte della Corte di Cassazione.

Ad avviso della Corte l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, impone a carico del ricorrente un onere di produzione che ha per oggetto il contratto nel suo testo integrale e non già nella sola parte su cui si è svolto il contraddittorio o che viene invocata nel ricorso per cassazione.

Nella citata pronuncia la Corte osserva che l’interpretazione accolta è più coerente con le finalità che la riforma introdotta col D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha inteso perseguire con l’introduzione del meccanismo di accertamento pregiudiziale dell’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti ed accordi collettivi disciplinato dall’art. 420 bis c.p.c., tenuto conto del fatto che l’adempimento previsto dall’art. 369 c.p.c. comma 2, n. 4, ha carattere strumentale rispetto al giudizio di cassazione previsto dal citato art. 420 bis c.p.c..

In particolare la Corte sottolinea che l’imposizione dell’onere di produzione del lesto integrale (e non già di un estratto) del contratto collettivo contenente le norme della cui interpretazione si controverte appare pienamente coerente con l’esercizio della suddetta funzione nomofilattica. Solo così, infatti, è consentita alla Corte un’interpretazione almeno tendenzialmente “oggettiva” della norma contrattuale che tenga cioè conto, ove ritenuto necessario, dell’intero contesto normativo nel quale tale norma si colloca e non sia condizionata alla scelta della normativa contrattuale ritenuta rilevante dalle parti ovvero dal giudice a quo.

7. Su tale questione, in ordine alla quale quindi era già insorto un contrasto di giurisprudenza, si sono pronunciate queste Sezioni Unite (Cass., sez. un., 18 giugno 2008. n. 16540), che, tenendo conto di entrambe le pronunce suddette, hanno prestato adesione al primo orientamento affermando che “l’onere di depositare il contratto collettivo su cui il ricorso si fonda – imposto a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, e valevole anche per il ricorso contenente una denuncia di conflitto di giurisdizione – può dirsi assolto, nella specie, mediante il deposito di un estratto del suddetto contratto contenente le norme della cui violazione il ricorrente si duole, non essendo invece invocata una lettura sistematica dell’atto o l’esame di norme – parametro”.

8. La successiva giurisprudenza della Sezione Lavoro ha dapprima dato continuità all’orientamento confermato dalla pronuncia delle Sezioni Unite.

In particolare Cass., sez. lav., 4 agosto 2008, n. 21080, ha ribadito che l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda – imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 – va riferito sia alle norme collettive della cui violazione il ricorrente si duole attraverso le censure mosse alla sentenza impugnata, sia ad ogni altra norma collettiva utile per l’interpretazione delle prime sempre che essa appartenga alla causa per essere stata dedotta e prodotta nei precedenti gradi di merito.

Ha ulteriormente osservato la Corte che la prescrizione dettata dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), che obbliga il ricorrente ad indicare i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, e quella dettata dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, che obbliga il ricorrente a depositare, a pena di improcedibilità, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, si saldano in un unicum e stanno a significare che è onere del ricorrente tracciare il perimetro delle norme contrattuali che egli allega a sostegno del denunciato vizio della sentenza impugnata sia indicandole nel ricorso, sia allegandole documentalmente.

il rispetto del principio dispositivo che in generale conforma il processo civile (art. 112 c.p.c.) impone poi che queste norme, che la parte ricorrente deve indicare nel ricorso e documentare con il prescritto deposito, devono già appartenere al processo. Quindi ha osservato la corte – le norme contrattuali che devono necessariamente essere indicate nel ricorso e che devono essere documentalmente depositate unitamente al ricorso sono quelle sulle quali il ricorso si fonda; ossia: a) quelle della cui violazione o falsa applicazione il ricorrente si duole come motivo di ricorso (nella specie l’art. 82, comma 1, e art. 73, comma 1, c.c.n.l. 1998) e che costituiscono innanzi tutto oggetto dell’interpretazione testuale secondo il “senso letterale delle parole” (art. 1362 c.c., comma 1); b) quelle ulteriori che già appartengano alla causa e quindi al contraddittorio ritualmente sviluppatosi tra le parti (nella specie, quelle ulteriori infra cit.) e che consentono l’interpretazione sistematica delle prime o “complessiva” (art. 1363 c.c.), contestualizzata all’interno di un plesso normativo contrattuale di riferimento.

9. Successivamente però con quest’ultimo orientamento è risultata in contrasto dapprima una pronuncia della Sezione Lavoro (Cass., sez. lav., 6 ottobre 2008, n. 22 giugno 2010 n. 24654), la quale ha affermato che nel procedimento di accertamento pregiudiziale della validità, efficacia ed interpretazione dei contratti ed accordi collettivi nazionali di cui all’art. 420 bis cod. proc. civ., la Corte, pur adottando i canoni di ermeneutica negoziale indicati dal codice civile, si muove secondo una metodica peculiare in ragione della portata che assume la sua decisione, destinata a provocare una pronuncia che tende a fare stato in una pluralità di controversie c.d. “seriali”, non essendo, quindi, vincolata dall’opzione ermeneutica adottata dal giudice di merito, pur se congruamente e logicamente motivata, giacchè può autonomamente pervenire, anche tramite la libera ricerca all’interno del contratto collettivo di qualunque clausola ritenuta utile all’interpretazione, ad una diversa decisione sia per quanto attiene alla validità ed efficacia di detto contratto, sia in relazione ad una diversa valutazione del suo contenuto normativo e ciò in quanto la funzione nomofilattica che essa esercita presuppone la certezza e la stabilità delle statuizioni, per cui non è possibile avere sulla medesima disposizione contrattuale interpretazioni contrastanti. Ne consegue che la parte ha l’onere, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di depositare tempestivamente, a pena di improcedibilità del ricorso, il testo integrale del contratto collettivo al quale la domanda si riferisce.

10. Questo opposto orientamento è progressivamente divenuto prevalente nella Sezione Lavoro, Cass., sez. lav., 30 dicembre 2009, n. 27876, ha precisato che l’onere di depositare il testo integrale dei contratti collettivi di diritto privato, previsto a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non è limitato al procedimento di accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di cui all’art. 420 bis cod. proc. civ., ma si estende al ricorso ordinario ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avuto riguardo alla necessità che la corte sia messa in condizione di valutare la portala delle singole clausole contrattuali alla luce della complessiva pattuizione, e dovendosi ritenere pregiudicata la funzione nomofilattica della corte ove l’interpretazione delle norme collettive dovesse essere limitata alle sole clausole contrattuali esaminate nei gradi di merito.

Cass., sez. lav. 16 luglio 2009, n. 16619, ha ribadito che nel procedimento di accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di cui all’art. 420 bis cod. proc. civ., la parte ha l’onere di depositare, a pena di improcedibilità del ricorso ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il testo integrale del contratto o accordo sul quale il ricorso si fonda, atteso il carattere strumentale dell’indicato adempimento rispetto all’adeguato esercizio della funzione nomofilattica da parte della Corte; nè la declaratoria di improcedibilità è impedita dal deposito ex art. 372 cod. proc. civ., stante l’incompatibilità di tale deposito con le finalità sottese alla normativa legale sull’accertamento pregiudiziale.

Parimenti Cass.. sez. lav., 2 luglio 2009, n. 15495, ha precisato in particolare che l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda non può dirsi soddisfatto con la trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui violazione il ricorrente si duole attraverso le censure alla sentenza impugnata, dovendosi ritenere che la produzione parziale di un documento sia non solamente incompatibile con i principi generali dell’ordinamento e con i criteri di fondo dell’intervento legislativo di cui al citato D.Lgs. n. 40 del 2006, intesi a potenziare la funzione nomofilattica della Corte, ma anche contrasti con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dagli artt. 1362 cod. civ. e seguenti e segnatamente con la regola prevista dall’art. 1363 cod. civ., atteso che la mancanza del testo integrate del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva della questione che interessa.

Altresì Cass., sez. lav., 5 febbraio 2009, n. 2855, ha puntualizzato che l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda non può dirsi soddisfatto con il deposito, oltre il termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, dei fascicoli di parte di primo e secondo grado, contenenti il contratto, per estratto, in allegato al ricorso di primo grado, a nulla rilevando che il contratto sia stato depositato, a sua volta, dal ricorrente incidentale, atteso che, ove venisse ammessa tale equipollenza nella produzione, verrebbe disattesa la lettera del citato art. 369, che sancisce l’improcedibilità, senza eccezioni.

11. Non di meno l’orientamento opposto riaffiora ancora in una ulteriore pronuncia più recente.

Cass., sez. lav., 30 giugno 2009, n. 15322, ha affermato che nel procedimento di accertamento pregiudiziale della validità, efficacia ed interpretazione dei contratti ed accordi collettivi nazionali di cui all’art. 420 bis cod. proc. civ. non è applicabile il disposto di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, – che pone a carico del ricorrente l’onere del deposito dei contratti collettivi sui quali il ricorso si fonda, sanzionandone l’omissione con l’improcedibilità del ricorso stesso – ove le stesse parti abbiano concordemente indicato le clausole contrattuali costituenti il perimetro delle disposizioni rilevanti ai fini dell’esame e dell’interpretazione delle pattuizioni di cui si lamenta la violazione o la falsa applicazione, dovendosi ritenere che una diversa soluzione, oltre ad essere improntata ad un eccessivo formalismo, finirebbe per contraddire il perseguimento delle finalità di certezza e nomofilachia sottese alla speciale procedura.

12. Da ultimo poi – come già detto – la Sezione Lavoro, con la cit.

ordinanza del 17 marzo – 8 aprile 2010, n. 8332, ha investito della questione le Sezioni Unite, stante anche ormai il novellato contesto processuale in cui trova applicazione l’art. 374 c.p.c. (sostituito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 8) che, al comma 3, riserva alle Sezioni Unite il revirement sulla propria giurisprudenza.

13. Parallelamente – può aggiungersi – un ulteriore contrasto si è manifestato, riguardante la necessità, o meno, di depositare, nel testo integrale, i contratti o accordi collettivi nel lavoro pubblico contrattualizzato.

Da una parte la Sezione Lavoro (Cass., sez. lav., 6 luglio 2009, n. 15815) ha affermato che l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda – imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 – non può ritenersi limitato ai contratti collettivi del settore privato, ma deve intendersi riferito, per la portata letterale della disposizione citata e per le finalità perseguite dall’intervento normativo in cui la stessa è inserita, al complesso della contrattazione collettiva, ivi compresa quella del settore pubblico.

Invece queste Sezioni Unite (Cass., sez. un., 12 ottobre 2009, n. 21568) hanno ritenuto, al contrario, che la prescrizione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. sia applicabile solo ai contratti collettivi di diritto comune e non invece ai contratti di diritto pubblico, che presentano una peculiare specialità in ragione della dettagliata regolamentazione della legittimazione contrattuale e del loro procedimento formativo, della verifica da parte della Corte dei conti della compatibilità economica e finanziaria dei relativi costi, nonchè della prescritta loro pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8). Successivamente in senso conforme v. Cass., sez. un.. 4 novembre 2009, 23329.

14. Questo essendo il panorama un pò frammentato della giurisprudenza sul tema, può considerarsi, tornando al lavoro privato, che il denunciato, e perdurante, contrasto interpretativo sull’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, rispecchia un’ambiguità di fondo insita nella scelta del legislatore delegato del 2006 di elevare alcune norme contrattuali collettive quelle di livello nazionale – a parametro del sindacato di legittimità della pronuncia ricorribile per cassazione, pur trattandosi di norme espresse dall’autonomia contrattuale collettiva, che in realtà non si inseriscono nel sistema delle fonti del diritto. Ciò che invece potrebbe predicarsi – come normativa subprimaria – per le norme contrattuali di livello nazionale nel settore del lavoro pubblico contrattualizzato ove adottate nel rispetto del procedimento di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8 e la cui violazione o falsa applicazione può essere dedotta come motivo di ricorso per cassazione dello stesso D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 63, comma 5, che ha preceduto la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per effetto della riforma del 2006, tant’è che per queste – come sopra rilevato l’orientamento di queste Sezioni Unite è nel senso della non necessità della produzione del testo contrattuale (e quindi il passo è breve per affermare che, per essi, jura novi curia).

Con la modifica (ad opera del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2) dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (che ha introdotto in generale la possibilità di dedurre come vizio della sentenza impugnata con ricorso per cassazione la violazione o falsa applicazione delle norme della contrattazione collettiva di livello nazionale, estendendo analoga previsione contemplata per il lavoro pubblico contrattualizzato dal cit. D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 5), e con l’innesto (ad opera del medesimo D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 18) dell’art. 420 bis c.p.c. (che ha contemplato la ricorribilità diretta per cassazione della sentenza che risolva in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, anche in tal caso estendendo analogo modulo processuale già previsto, per il lavoro pubblico contrattualizzato, dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 64) questa Corte è stata investita di un sindacato di legittimità esteso a norme contrattuali collettive nell’evidente intento di uniformare la loro interpretazione ad immagine della funzione nomofilattica che riguarda segnatamente le norme di diritto.

Si fronteggiano quindi due esigenze contrapposte: da una parte, quella del rispetto del principio dispositivo del processo – operante anche nel rito del lavoro, seppur con i temperamenti connessi ad i poteri officiosi del giudice del lavoro (Cass., sez. un., 17 giugno 2004, n. 11353) – che vuole che siano le parti a delimitare il perimetro del thema decidendum e che il giudice debba decidere iuxta alligata et probata; d’altra parte, quella di consentire a questa corte di svolgere una funzione paranomofilattica nell’interpretazione delle norme di contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro.

La prima esigenza indurrebbe a ritenere sufficiente il deposito di quelle norme del contratto collettivo in riferimento alle quali c’è stato il contraddittorio tra le parti ed è stata resa la pronuncia del giudice, poi impugnata con ricorso per cassazione. Questa corte si troverebbe quindi a verificare si direttamente l’esattezza dell’interpretazione di lati clausole (e non già soltanto dopo la riforma di cui al D.Lgs. 40 del 2006 cit. – la corretta applicazione dei canoni legali dell’interpretazione degli atti negoziali), ma avendo disponibile- in quanto depositato ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – un materiale di documenti non eccedente quello che le parti abbiano versato nel processo o che sia stato acquisito per iniziativa del giudice di merito; il quale ex art. 425 c.p.c. può chiedere, se lo ritiene necessario, alle associazioni sindacali il testo integrale del contratto, nonchè informazioni o osservazioni orali o scritte. Ma, ove il testo integrale del contratto collettivo non sia stato depositato dalle parti nel giudizio di merito, nè richiesto d’ufficio dal giudice, si ha evidentemente che in quella causa ne il giudice nè le parti hanno ritenuto che ciò fosse necessario per la corretta interpretazione delle specifiche clausole contrattuali, oggetto del dibattito processuale.

L’altra esigenza invece (quella della nomofilachia estesa alla contrattazione collettiva di livello nazionale) predica un maggiore spazio di indagine di questa Corte che – ad immagine del principio jura novit curia, che la facoltizza a trovare nel sistema delle fonti del diritto la norma, primaria o subprimaria, applicabile al caso controverso – può parimenti ricercare, in modo autonomo e d’ufficio, in altre norme contrattuali elementi utili al fine di verificare la correttezza, o meno, dell’interpretazione accolta nella sentenza impugnata. Sicchè si giustificherebbe in questa prospettiva l’onere posto a carico della parte ricorrente di documentare anche il contesto normativo contrattuale in cui si collocano le singole disposizioni contrattuali indicate a parametro del sindacato di legittimità della sentenza impugnata.

I due orientamenti giurisprudenziali, il cui contrasto è stato denunciato dall’ordinanza che ne ha rimesso la composizione a queste Sezioni Unite e che si sono manifestati fin dall’inizio, rispecchiano appunto queste esigenze contrapposte e una diversa concezione del ruolo della Corte nell’operare il sindacato sulle norme dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro.

15. Orbene, al fine di comporre il denunciato contrasto di giurisprudenza, deve innanzi tutto considerarsi che l’interpretazione letterale dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non è risolutiva.

Fissa infatti prevede il deposito, a pena di improcedibilità, dei “contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” con prescrizione di portata generale e non soltanto riferita ai “contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro la cui violazione o falsa applicazione può costituire parametro del sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Quindi riguarda anche contratti o accordi collettivi che, per non essere di livello nazionale, sono conoscibili da questa corte non già direttamente, ma per il tramite degli usuali canoni legali di interpretazione degli atti negoziali.

In riferimento a tale normativa collettiva (non di livello nazionale) questa corte – come in passato prima del D.Lgs. n. 40 del 2006 – non è investita di alcuna funzione nomofilattica e quindi non vi è alcuna ragione per richiedere al ricorrente di depositare anche il testo di norme contrattuali di cui le parti non hanno mai dibattuto e che non sono state prese in considerazione dalla sentenza impugnata.

L’art. 369 cit. infatti fa riferimento ad atti della normativa collettiva “sui quali il ricorso si fonda”; ossia occorre pur sempre che vi sia un nesso tra documento del cui deposito la parte ricorrente è onerata e la censura mossa alla sentenza impugnata;

nesso che giustifica tale onere processuale e legittima la radicale sanzione dell’improcedibilità del ricorso in caso di sua inosservanza. Se quindi il ricorso si fonda su alcune norme del contratto o accordo collettivo di livello non nazionale, è sufficiente che queste siano documentate mediante il deposito di un estratto dell’atto collettivo che le contiene. Laddove la sanzione dell’improcedibilità sarebbe ingiustificata – nel senso che non sarebbe proporzionata e quindi risulterebbe verosimilmente irragionevole (ex art. 3 Cost.) – in riferimento alla mancata documentazione di norme contrattuali sulle quali il ricorso non si fonda e che non siano state prese in considerazione dalla sentenza impugnata.

Ove però il ricorso denunci la violazione di un contratto o accordo collettivo di lavoro di livello nazionale, sia con ricorso ordinario ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sia con ricorso immediato ex art. 420 bis c.p.c., si da ingresso ad un sindacato di legittimità di nuovo conio, che può incidere – ed in realtà incide, come si viene ora ad argomentare – anche sulla portata dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la cui interpretazione letterale è suscettibile, in parte qua (ossia con riferimento alla contrattazione collettiva di livello nazionale), di essere superata da un’interpretazione sistematica.

16. In questa prospettiva – che vede l’introduzione della deducibilità come motivo di ricorso per cassazione della violazione delle norme dei contratti o accordi collettivi di livello nazionale – rileva innanzi tutto la particolare disciplina dell’art. 420 bis non solo perchè, nel giudizio di merito cui si riferisce il ricorso in esame, la sentenza impugnata è stata resa dal giudice (di primo grado) proprio in applicazione di tale disposizione, ma anche perchè, più in generale, essa è marcatamente significativa della portata del sindacato che questa Corte è chiamata ad operare nell’interpretazione dei contratti ed accordi collettivi di livello nazionale.

Sotto questo profilo viene in rilievo in particolare l’art. 146 bis disp. att. c.p.c. che prevede che nel caso di cui all’art. 420 bis c.p.c. si applica, in quanto compatibile, il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 64, commi 4, 6, 7 e 8.

Quindi, con riferimento in particolare ai commi 6 e 7, si ha che: a) in pendenza del giudizio davanti alla Corte di cassazione, possono essere sospesi i processi la cui definizione dipende dalla risoluzione della medesima questione sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi fino alla decisione della corte, intervenuta la quale il giudice fissa, anche d’ufficio, l’udienza per la prosecuzione del processo; b) quando per la definizione di altri processi è necessario risolvere una questione di cui all’art. 64, comma 1 (ossia una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale) sulla quale è già intervenuta una pronuncia di questa Corte e il giudice non ritiene di uniformarvisi, si applica il disposto del comma 3 della medesima disposizione; ossia il giudice decide con sentenza sulla sola questione di cui al comma 1, impartendo distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa. In tal caso la sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per cassazione, proposto nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza.

Da questo meccanismo processuale – già previsto per la violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi di livello nazionale nel settore del lavoro pubblico contrattualizzato ed esteso, dall’art. 420 bis, a tutto il lavoro dipendente – deriva un qualche “vincolo” per gli altri giudici di merito; un vincolo solo processuale, non già di merito, perchè il giudice non è tenuto ad uniformarsi alla pronuncia di questa Corte, e, se non la condivide, ben può pronunciarsi in senso difforme; ma deve farlo con sentenza emessa ai sensi dell’art. 420 bis c.p.c. in modo da consentire alle parti il ricorso immediato per cassazione e la verifica, da parte di questa Corte, della correttezza della diversa opzione interpretativa di quel giudice di merito.

Insomma non c’è una regola di stare decisis, che forse sarebbe difficilmente compatibile con il dettato costituzionale che vuole il giudice soggetto solo alla legge, ma vi è la prescrizione di un circuito virtuoso per accelerare la formazione della giurisprudenza sulle norme dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro e quindi per promuovere una nomofilachia anticipata e più rapida (un vincolo parimenti di tipo processuale per l’attività interpretativa del giudice è previsto ora dal cit. art. 374 c.p.c., comma 3).

Sotto questo aspetto la pronuncia che la Corte è chiamata a rendere ha una portata che, seppur in misura limitata, è idonea altresì a trascendere il caso di specie nel senso che ha una qualche incidenza anche in altri giudizi che pongono la medesima questione interpretativa della normativa collettiva di livello nazionale.

Questa proiezione esterna, per così dire, costituisce il chiaro segno di un’assegnazione di una funzione nomofilattica a questa Corte anche nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale. Il giudice di legittimità, chiamato a svolgere questo nuovo ruolo nell’interpretazione diretta della contrattazione collettiva di livello nazionale, esercita un sindacato che tendenzialmente è modellato ad immagine del sindacato sulle norme di legge. Come quest’ultimo facoltizza questa Corte a tener conto di qualsiasi norma primaria o subprimaria nella gerarchia delle fonti – anche se non indicata dalla parte ricorrente a parametro delle sue censure di violazione di legge mosse alla sentenza impugnata, pur sempre nel rispetto del contenuto oggettivo del ricorso che è fissato dalla parte ricorrente, analogamente il sindacato che abbia come parametro la contrattazione collettiva di livello nazionale facoltizza questa Corte all’interpretazione complessiva delle clausole contrattuali ex art. 1363 c.c. che in generale prescrive che le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto.

Ed allora questa Corte deve essere posta in condizione di esercitare tale “nuova” funzione nomofilattica conoscendo il quadro della normativa collettiva (tendenzialmente) complessivo; funzione questa che poi accomuna il ricorso immediato ex art. 420 bis c.p.c. ed il ricorso ordinario ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non potendo differenziarsi le due ipotesi in quanto riconducibili all’unica matrice del ricorso per cassazione.

Occorre quindi, in conclusione, accedere ad un’interpretazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), che sia funzionale al compito di nomofilachia nell’interpretazione diretta della contrattazione collettiva di livello nazionale, compito assegnato dal legislatore delegato del 2006 (D.Lgs. n. 40 del 2006 artt. 2 e 18) a questa Corte: e quindi ritenere che la parte ricorrente debba, a pena di improcedibilità, depositare, nel testo integrale, il contratto o accordo collettivo di livello nazionale cui appartengono le nome indicate dalla parte stessa a fondamento della sua censura formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Le altre nome – quelle sulle quali il ricorso non si fonda – costituiscono le condizioni al contorno di quelle specificamente indicate dalla parte ricorrente a parametro dell’invocato sindacato della corte e consentono a quest’ultima di operare, anche d’ufficio, l’interpretazione sistematica ex art. 1363 c.c..

17. Peraltro occorre avvertire che questa completezza del quadro di riferimento della normativa collettiva è solo tendenziale perchè nell’interpretazione delle nome su cui si fonda il ricorso potrebbero incidere, piuttosto che le altre norme del medesimo contratto o accordo collettivo (che spaziano anche su istituti del tutto diversi ed irrilevanti al fine del decidere), le eventuali norme omologhe della contrattazione collettiva precedente o successiva. Ma se la parte ricorrente non prospetta, a fondamento del ricorso, questa proiezione diacronica, non c’è neppure l’onere di depositare i precedenti o successivi contratti o accordi collettivi di livello nazionale.

Analoga considerazione vale per l’eventuale contrattazione collettiva di livello più elevato quale può essere (come peraltro è proprio nel caso in esame) la contrattazione interconfederale.

Pur con questi limiti però Part. 369, secondo comma, n. 4, interpretato nel senso che la parte ricorrente è onerata di produrre il testo integrale del contratto o accordo collettivo di livello nazionale (e non solo l’estratto delle norme su cui si fonda la censura), assicura a questa Corte la possibilità dell’interpretazione complessiva ex art. 1363 c.c..

Questo più ampio onere di deposito del testo integrale del contratto o accordo collettivo di livello nazionale, pur rappresentando un aggravio per la parte ricorrente anche perchè sanzionato, in caso di mancato assolvimento dell’onere, dall’improcedibilità del ricorso, appare comunque proporzionato – e quindi giustificato sul piano della ragionevolezza (ex art. 3 Cost.) – se lo si correla appunto a questa nuova funzione di nomofilachia riferita a tale normativa collettiva, assegnata a questa corte dalla riforma del 2006.

18. La possibilità per questa corte di procedere ad un’interpretazione complessiva delle clausole contrattuali, prendendo in esame anche disposizioni non considerate dalle parti nè dalla sentenza impugnata, non significa però anche un allargamento del thema disputandum che rimane pur sempre quello risultante dal contraddittorio delle parti; ciò a garanzia anche della parte intimata al cui eventuale controricorso peraltro non si applica – è vero – il disposto dell’art. 369 c.p.c. (in quanto non richiamato, a differenza degli artt. 365 e 366, dall’art. 370 c.p.c., comma 2), ma opera comunque la specifica disposizione dettata dall’art. 370 c.p.c., comma 3 successivo che onera il controricorrente genericamente di depositare “gli atti e i documenti”: quelli deve intendersi – sui quali il controricorso si fonda.

Se però la parte controricorrente propone ricorso incidentale fondato sulla censura di violazione o falsa applicazione di disposizioni della normativa collettiva di livello nazionale, è essa parimenti onerata del deposito del testo integrale del contratto o accordo collettivo che le contiene (ex art. 371 c.p.c., comma 3, che, a differenza dell’art. 370 c.p.c., comma 2, richiama in tal caso – e rende applicabile – anche l’art. 369 e quindi anche, specificamente, il n. 4 del suo comma 2).

19. Questa esigenza di rispetto del contraddittorio tra le parti richiede un corollario della conclusione in diritto appena raggiunta.

Il fatto che la Corte possa spaziare su tutto il contratto o accordo collettivo nazionale che contiene le singole disposizioni la cui violazione o falsa applicazione sia dedotta dalla parte ricorrente principale o incidentale (parafrasando, si ha che, sotto questo aspetto, pacta novit curia) comporta poi, sempre a garanzia dell’effettività del contraddittorio, che se la Corte d’ufficio, percorrendo così una “terza via”, rinvenga nel testi) contrattuale disposizioni rilevanti al fine di valutare la censura proposta, ma che non siano state indicate dalla parte ricorrente e non appartengano al processo, e ritenga percorribile un’interpretazione complessiva ex art. 1363 c.c. non riconducibile a quanto dibattuto tra le parti, trova allora applicazione l’art. 384 c.p.c., comma 3, che prescrive che, la Corte, se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio, riserva la decisione, assegnando con ordinanza al pubblico ministero e alle parti un termine (non inferiore a venti e non superiore a sessanta giorni dalla comunicazione) per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla medesima questione.

20. In conclusione – per tutto quanto sopra argomentato – il denunciato contrasto di giurisprudenza può comporsi affermando il seguente principio di diritto:

“L’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella parte in cui onera il ricorrente (principale o incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, deve interpretarsi nel senso che, allorchè il ricorrente impugni, con ricorso immediato per cassazione ai sensi dell’art. 420 bis c.p.c., comma 2 (disposizione inserita nel codice di rito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 18), la sentenza che abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 cit.), il deposito suddetto deve avere ad oggetto, a pena di improcedibilità, non già solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive su cui il ricorso si fonda, ma anche il testo integrale del contratto o accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni.

Ove poi la corte ritenga di porre a fondamento della sua decisione una disposizione del contratto o accordo collettivo di livello nazionale depositato dal ricorrente, diversa da quelle sulle quali si fonda il ricorso, procedendo d’ufficio ad un’interpretazione complessiva ex art. 1363 c.c. non riconducibile a quanto dibattuto tra le parti, trova applicazione l’art. 384 c.p.c., comma 3, (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 12 cit.) per cui la corte riserva la decisione, assegnando con ordinanza al pubblico ministero e alle parti un termine non inferiore a venti e non superiore a sessanta giorni dalla comunicazione per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla medesima questione”.

21. Il ricorso va quindi dichiarato improcedibile per omesso deposito del contratto collettivo di livello nazionale recante le disposizioni contrattuali sulle quali il ricorso stesso si fonda non essendo sufficiente a tal fine i deposito solo di uno stralcio di tale contratto.

Sussistono giustificati motivi (in considerazione dell’evoluzione giurisprudenziale sulle questioni dibattute che hanno visto insorgere il contrasto di giurisprudenza ora così composto) per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

PQM

La Corte, a Sezioni Unite, dichiara improcedibile il ricorso.

Compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2010

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