Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20074 del 24/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 24/07/2019, (ud. 18/04/2019, dep. 24/07/2019), n.20074

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1844-2018 proposto da:

T.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARQUINIO

PRISCO 12, presso lo studio dell’avvocato ROCCO TAVERNA,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO ARRICALE;

– ricorrente –

contro

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DEI CASTELLI ROMANI E DEL TUSCOLO SOC.

COOP., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA APPENNINI 46, presso lo

studio dell’avvocato LUCA LEONE, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

D.A., elettivamente domiciliata in ROMA, in Via Gioacchino

Gesmundo n. 6, presso lo Studio dell’avvocato CONSOLINO ARINIELLO

che la rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 3961/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CHIARA

GRAZIOSI.

La Corte

Fatto

RILEVATO

che:

Avendo Banca di Credito Cooperativo del Tuscolo-Rocca Priora Società cooperativa convenuto davanti al Tribunale di Velletri D.A. e T.V. perchè in forza di un credito verso D.A. fosse dichiarata inefficace nei confronti di lei, ai sensi dell’art. 2901 c.c., una compravendita stipulata il 28 maggio 2010 tra la D. – alienante – e il T. – acquirente avente ad oggetto un immobile, ed essendo i convenuti rimasti dapprima entrambi contumaci, costituendosi peraltro successivamente, il 22 ottobre 2013, il T. – il quale poi depositava documenti all’udienza del 4 novembre 2014, che il giudice riteneva inammissibili -, il Tribunale accoglieva la domanda con sentenza n. 109/2016.

Il T. proponeva appello; le controparti si costituivano e la D. chiedeva la riforma del capo della sentenza che l’aveva condannata alle spese di lite. La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 13 giugno 2017, rigettava.

Il T. ha proposto ricorso articolato in cinque motivi; la D. si è difesa con controricorso in cui ha versato pure ricorso incidentale basato su un unico motivo. Si è difesa con controricorso la banca, ora Banca di Credito Cooperativo dei Castelli Romani e del Tuscolo.

Diritto

RITENUTO

che:

In primis deve essere esaminato il ricorso principale proposto dal T..

1. Il primo motivo denuncia omesso esame di fatto discusso e decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5

La Corte d’appello avrebbe accolto il primo motivo del gravame, ritenendo perciò ammissibili i documenti depositati dall’appellante all’udienza del 4 novembre 2014. Nonostante questo, non avrebbe rilevato quanto riportato in uno di essi, per cui le cessioni sarebbero derivate dalla necessità della D. e di un altro soggetto, B.L., di finanziarsi per acquistare l’azienda del T., il quale pertanto fin dalla comparsa di costituzione avrebbe dichiarato di essere consapevole che la compravendita immobiliare rientrava in un più ampio rapporto, e di essere parimenti consapevole che, accettando l’immobile come forma di pagamento, aveva favorito la D., onde la cessione “revocata” sarebbe il pagamento per un debito scaduto, cui dovrebbe applicarsi quindi l’art. 2901 c.c., comma 3. Al riguardo la corte territoriale avrebbe fornito una motivazione omessa o comunque insufficiente.

Il motivo ripropone una prospettazione – nel senso che la compravendita immobiliare si inserisse in un più ampio rapporto tra le parti – che era già stata posta nel primo motivo d’appello, unitamente alla censura della inammissibilità del deposito di documentazione. Su questa tematica non vi è stato omesso esame, dato che il giudice d’appello ha tenuto conto anche di tale asserto (si veda in particolare a pagina 8 della sentenza impugnata). Pertanto l’effettivo scopo della presente doglianza è da qualificare come una valutazione alternativa fattuale da parte del giudice di legittimità, così conducendo alla inammissibilità motivo.

2. Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 232 e 292 c.p.c.in combinato disposto con gli artt. 152 ss. c.p.c.

La corte territoriale non avrebbe condiviso l’assunto dell’appellante della inapplicabilità dell’art. 232 c.p.c., per avergli la banca notificato l’ordinanza del giudice istruttore dopo la scadenza del termine previsto nel provvedimento, non trattandosi di un termine perentorio ed essendo stato comunque di poco superato (il termine scadeva il 23 maggio, e il provvedimento fu notificato il 30 maggio per interrogatorio da espletarsi il 16 ottobre).

Riprende questo motivo quanto al riguardo era stato addotto dal T. nella comparsa conclusionale di primo grado e nell’atto d’appello, e sostiene che i termini ordinatori, se decorsi senza presentazione dell’istanza di proroga, ai sensi dell’art. 154 c.p.c., produrrebbero gli stessi effetti preclusivi della scadenza del termine perentorio. Adduce altresì l’assenza di riscontri obiettivi “tra i capitoli” dell’interrogatorio formale richiesto dalla banca, e inoltre considera il merito di essi per giungere ad affermare di aver interesse a escludere che siano stati ammessi ai sensi dell’art. 232 c.p.c.

Il motivo in esame pretermette che la corte territoriale, a tacer d’altro, a pagina 9 della sentenza impugnata, ha rilevato anche che il T. non aveva “dedotto un suo specifico interesse all’osservanza” del termine; e al riguardo il motivo non gode autosufficienza, perchè anche nella premessa del ricorso (precisamente, nella sua pagina 6) rimane a un livello troppo generico su questa tematica. Inammissibile risulta pertanto lei censura su questo, che è il suo contenuto a ben guardare precipuo; parimenti inammissibile risulta pure quanto alla valutazione del contenuto dei capitoli dell’interrogatorio e al diniego della presenza di riscontri obiettivi, perchè ciò appartiene alla cognizione di merito.

3. Il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. in riferimento agli artt. 2697 e 2729 c.c.

Il motivo si dispiega nell’esame di dati fattuali, per concludere nel senso che in ordine alla consapevolezza del T. vi sarebbe stata soltanto presunzione, in assenza di qualunque prova concreta. Si tratta quindi di una censura palesemente fattuale, ergo inammissibile.

4. Il quarto motivo denuncia omessa pronuncia su motivo d’appello e violazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4

Mediante il secondo motivo d’appello l’attuale ricorrente avrebbe denunciato che la sentenza di primo grado sarebbe stata nulla per violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la banca avrebbe chiesto la revoca dell’atto mentre il Tribunale ne avrebbe dichiarato l’inefficacia, e anche perchè il Tribunale avrebbe disposto la trascrizione della sentenza da parte del Conservatore competente per territorio, laddove la banca aveva chiesto che la trascrizione fosse ordinata al Conservatore di Terni. La corte territoriale avrebbe liquidato come inconsistente la differenza tra revoca e revocatoria e non avrebbe risposto in ordine alla seconda ultrapetizione.

L’argomentazione che sostiene il motivo non tiene conto, anzitutto, del fatto che il giudice d’appello ha in realtà rilevato come inconsistente la differenza tra revoca e revocatoria (si veda a pagina 8 della sentenza: “Premessa l’inconsistenza dell’assunto secondo il quale usando il termine “revoca” la Banca attrice non avrebbe esercitato l’azione di cui all’art. 2901 c.c….”). Quanto poi all’individuazione del Conservatore competente, a tacer d’altro, deve rilevarsi che la doglianza non adduce in che cosa sarebbe consistito l’errore del Tribunale, nè quale interesse avrebbe avuto lo stesso T. per proporre il relativo motivo d’appello; è evidente peraltro che vi sarebbe stato semmai un errore materiale alla cui correzione – si ripete – il motivo non indica quale interesse avrebbe avuto proprio l’attuale ricorrente.

La censura risulta quindi inconsistente.

5. Il quinto motivo denuncia motivazione apparente, violazione e/o falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 5, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La sua illustrazione affianca alla denuncia di una pretesa assenza di motivazione questioni relative al contenuto della decisione, per cui si appalesa come censura inammissibilmente malformata. Ad abundantiam, si osserva che non giunge ad indicare specificamente quale liquidazione i giudici di merito avrebbero dovuto effettuare delle spese di lite in luogo di quella compiuta.

In conclusione, il ricorso principale merita rigetto.

6. Il ricorso incidentale, infine, presenta un’unica censura: la Corte d’appello avrebbe confermato la condanna solidale di D.A. e T.V. a rifondere a controparte le spese di primo grado senza motivare al riguardo, e non avrebbe però confermato questo nel dispositivo, incorrendo pertanto in “mancata pronuncia di condanna”.

In effetti, se vi fosse l’addotta mancata pronuncia di condanna, non vi sarebbe interesse della D. a far valere ciò, perchè sarebbe stata non condannata. La valutazione di solidarietà ex art. 97 c.p.c., poi, avrebbe dovuto essere oggetto di suo appello incidentale, che la ricorrente stessa afferma di non aver proposto (pagg.6-7 del ricorso). Tutto il motivo, pertanto, è privo di consistenza.

Anche questo ricorso deve quindi essere rigettato.

In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere rigettati, con conseguente compensazione delle spese del grado tra i ricorrenti per reciproca soccombenza e loro condanna – in solido per il comune interesse processuale nei suoi confronti – alla rifusione delle spese – liquidate come da dispositivo – alla controricorrente Banca di Credito Cooperativo dei Castelli Romani e del Tuscolo; sussistono altresì D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il rispettivo ricorso, a norma dell’art. cit., comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta entrambi i ricorsi, compensando tra i ricorrenti le spese del grado e condannandoli in solido a rifonderle alla controricorrente Banca di Credito Cooperativo dei Castelli Romani e del Tuscolo, liquidate in complessivi Euro 2500, oltre a Euro 200 per gli esborsi e al 15% per spese generali, nonchè agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il rispettivo ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2019

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