Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20073 del 30/07/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 20073 Anno 2018
Presidente: D’ASCOLA PASQUALE
Relatore: TEDESCO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18593/2015 R.G. proposto da
BRU-NELLO S.r.l., rappresentata e difesa, in forza di procura
speciale in calce al ricorso, dall’avv. Gabriele Bordoni, con domicilio
eletto in Roma, via dei Due Macelli 60, presso lo studio del difensore;
-ricorrente contro
COMUNE DI BOLOGNA, in persona del sindaco

pro tempore,

rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del
controricorso, dagli avv. Giulia Carestia e Antonella Trentini e dall’avv.
Giorgio Stella Richter, presso il cui studio è elettivamente domiciliato
in Roma, via Orti della Farnesina 126;
-controricorrenteavverso la sentenza Tribunale di Bologna n. 1046 depositata il 26
marzo 2015, non notificata.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
15 marzo 2018 dal Consigliere Giuseppe Tedesco.

Data pubblicazione: 30/07/2018

Ritenuto in fatto:
La Bru-Nello S.r.l. proponeva opposizione contro ordinanze
ingiunzione emesse dal Comune di Bologna che contestavano tutte la
violazione delle prescrizioni contenute nell’ordinanza comunale n.
228958 del 28 settembre 2012, limitatrice dell’orario di chiusura

L’opposizione era rigettata dal giudice di pace, con sentenza
confermata in grado d’appello dal Tribunale di Bologna.
Per la cassazione della sentenza la società ha proposto ricorso,
affidato a due motivi, illustrati con memoria.
Il Comune di Bologna ha resistito con controricorso.
Considerato in diritto:
Il primo motivo denuncia errata e illogica interpretazione della
legge (art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.).
La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui
questa ha riconosciuto le sanzioni legittimamente irrogate sulla base di
ordinanza sindacale emessa ai sensi dell’art. 50 del d.lgs. 267 del 2000.
La società sostiene che tale norma di carattere generale non
accorda al sindaco il potere di imporre limitazione agli orari di apertura
dei locali.
Siffatta possibilità è invero prevista dall’art. 13 del Regolamento
comunale di Polizia Urbana, subordinatamente alla mancata adesione
degli interessati rispetto alla richiesta di assunzione di precisi impegni
di cui al terzo comma della norma stessa: tale presupposto nella specie
mancava.
Il motivo è infondato.
Le amministrazioni comunali possono regolare l’attività degli
esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, a
termini dell’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000 (nel testo
applicabile ratione temporis),

graduando, in funzione della tutela

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notturno degli esercizi ubicati in un tratto della locale via Petroni.

dell’interesse pubblico prevalente, gli orari di apertura e chiusura al
pubblico.
Tale potere è stato ridimensionato nei suoi contenuti
dall’art. 31 del d.l. n. 201 del 2011, convertito nella L. n. 214 del
2011 (c.d. decreto “salva Italia”), che ha riformato l’ art. 3 del D.L. n.

dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e
bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni … (quali) il
rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura
domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura
infrasettimanale dell’esercizio”.
Tuttavia «la circostanza che il regime di liberalizzazione degli orari
sia applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di
somministrazione, non preclude all’amministrazione comunale la
possibilità di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività, per
comprovate esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica,
nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica» (Cons.
Stato, 30 giugno 2014, n. 3271).
Il secondo motivo denuncia mancato esame di aspetto decisivo del
giudizio (art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c.).
La ricorrente evidenzia che le esigenze sottese all’ordinanza
sindacale, costituente il presupposto delle sanzioni irrogatele,
ricorrevano pure per altre zone del centro universitario di Bologna,
tanto è vero che con ulteriore provvedimento, emesso dopo la
definizione della causa in grado d’appello, il Sindaco aveva esteso ad
esse il medesimo regime adottato per via Petroni.
Il tribunale non avrebbe considerato che, in forza dei documenti
prodotti, quella condizione era già in essere all’atto della emanazione
di quella stessa ordinanza, conseguendone un vizio di legittimità tale
da giustificare la disapplicazione del provvedimento amministrativo.
Il motivo è infondato.
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223 del 2006 statuendo, che “le attività commerciali, come individuate

Tale aspetto è stato considerato dal giudice di merito, per cui il
ricorrente censura in effetti la logicità e la sufficienza della motivazione
con la quale il rilievo è stato superato.
Il vizio di motivazione, però, non è più censurabile in cassazione ai
sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c. nel nuovo testo

Nell’ambito del motivo in esame la ricorrente rimprovera al
tribunale di avere considerato in modo parziale la circostanza della
contemporanea pendenza del giudizio amministrativo promosso per
l’annullamento dell’ordinanza sindacale.
Esso, infatti, aveva posto l’accento, a discapito della ricorrente, sul
fatto che il giudice amministrativo aveva negato la sospensione del
provvedimento, mentre avrebbe dovuto disporre la sospensione del
giudizio civile in attesa della decisione di merito.
La censura è infondata: nella specie non ricorreva una ipotesi di
sospensione necessaria del processo.
«La pregiudiziale amministrativa (da ritenersi configurabile anche
in presenza del nuovo testo dell’art. 295 c.p.c., che pure non ne reca
più l’esplicita menzione) può astrattamente sussistere solo nel caso in
cui il giudice amministrativo sia chiamato a definire questioni di diritto
soggettivo nell’ambito di attribuzioni giurisdizionali esclusive, ma non
nel caso di controversia avente ad oggetto l’impugnazione di
provvedimenti a tutela di interessi legittimi, potendo il giudice ordinario
disapplicare tali provvedimenti, a tutela dei diritti soggettivi influenzati
dagli effetti degli stessi» (Cass. n. 1607/2018; conf. 12901/2013,
richiamata dagli stessi ricorrenti).
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio
2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi
dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228
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applicabile ratione temporis (Cass., S.U., n. 8053/2014).

(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stat o – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater
all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto

P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore
del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida
in C 1.300,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie
nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in C 200,00, ed agli
accessori di legge;

dichiara ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012 la
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
Sezione civile, il 15 marzo 2018.
Il Presidente

ario Giudiziario
‘a NERI

Il

i i:POSITATO IN

Roma,

cANCELLER1A

30 LUO. 2018

per la stessa impugnazione.

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