Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20072 del 24/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 24/07/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 24/07/2019), n.20072

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24703/2017 R.G. proposto da

G.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Giovanni Zagarese,

con domicilio eletto in Roma, via S. Tommaso d’Aquino, n. 40, presso

lo studio dell’Avv. Gaetano Seminario;

– ricorrente –

contro

Allianz S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Michele Clemente,

con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Crescenzio,

n. 17/A;

– controricorrente –

e contro

Società Cattolica di Assicurazione coop. ar.l., rappresentata e

difesa dall’Avv. Pierfilippo Coletti e dall’Avv. Stefania Coletti,

con domicilio eletto presso lo studio degli stessi in Roma, Viale

delle Milizie, n. 38;

– controricorrente –

e nei confronti di:

C.M.L. e S.J.A.;

– intimati –

avverso la sentenza del tribunale di Castrovillari, n. 194/2017,

depositata il 1 aprile 2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 aprile 2019

dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che:

1. C.M.L. convenne in giudizio, avanti il Giudice di pace di Corigliano G.M. e la Milano assicurazioni S.p.A. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti dalla propria autovettura per essere stata investita, mentre era parcheggiata al margine della strada, dal G. alla guida del proprio ciclomotore.

Quest’ultimo, costituendosi, chiese e ottenne di chiamare in causa S.J.A. e la sua compagnia di assicurazioni Cattolica S.p.A., per esserne manlevato e risarcito dei danni a sua volta subiti; dedusse infatti l’esclusiva responsabilità del S. nella causazione del sinistro, sull’assunto che quest’ultimo, immettendosi da strada laterale sulla via da lui percorsa, con condotta imprudente e inosservante delle regole della circolazione imposte per quel tratto di strada, lo aveva investito e aveva determinato la perdita di controllo del mezzo da lui condotto.

Con sentenza dell’8/3/2010 il Giudice di pace, accertata l’esclusiva responsabilità del G., lo condannò, in solido con la propria compagnia di assicurazione, al risarcimento del danno cagionato all’attrice, liquidato in Euro 2.000.

2. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Castrovillari ha confermato tale decisione, compensando le spese del grado.

Avverso la sentenza d’appello G.M. propone ricorso per cassazione con due mezzi.

Allianz S.p.A e Cattolica Assicurazioni S.p.A depositano controricorso, la prima eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva (sull’assunto di non essere subentrata alla Milano assicurazioni S.p.A. nel rapporto assicurativo relativo al sinistro de quo).

Restano invece intimati C.M.L. e S.J.A..

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso G.M. denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “in relazione all’art. 116 c.p.c.”, “omesso esame fatto decisivo, sulla valutazione delle dichiarazioni testimoniali e apprezzamento corredo probatorio” (così testualmente la rubrica).

Lamenta che “le sentenze di merito, e segnatamente quella del grado di appello”, hanno omesso una doverosa valutazione organica e complessiva del corredo probatorio e non hanno nemmeno fornito adeguata motivazione in ordine ai criteri utilizzati nell’apprezzamento delle emergenze probatorie.

Lamenta in particolare l’apoditticità del giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni rese dai testi R. e M., a fronte invece della ritenuta assoluta attendibilità dei testi C.F. e C.A., poichè inficiata dalla mancata considerazione degli elementi complessivamente emergenti dalla escussione dei vari testi e manchevole dei caratteri di illogicità e incoerenza necessari.

Rileva al riguardo che nessuna menzione è stata fatta della circostanza che questi ultimi testimoni, come dagli stessi dichiarato, non godevano di una visuale completa della rotatoria ove si è verificato il sinistro; e che, quanto agli altri testimoni, ritenuti inattendibili, non è stata considerazione l’indicazione contenuta nel verbale redatto dai militari intervenuti sul luogo dell’incidente, convergente alla descrizione da essi fattane.

Censura ancora come illogico, contraddittorio e comunque non giustificabile il giudizio di irrilevanza del modulo Cai redatto dal S., nel quale questi riconosce la propria esclusiva responsabilità nella causazione del danno; assume che l’irrilevanza probatoria per esso affermata dai giudici d’appello vale esclusivamente nei confronti dell’assicuratore e non anche rispetto al danneggiato o allo stesso confitente, per il quale esso invece integra una confessione stragiudiziale con valore di piena prova a suo sfavore.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia poi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 c.c..

Rileva che il superamento della presunzione di colpa concorrente prevista da detta norma è affermata in sentenza solo in conseguenza del malgoverno dei principi che presiedono alla valutazione del compendio probatorio, per le ragioni dedotte con il primo motivo.

3. Giova muovere dalla costatazione che con il secondo motivo il ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, delle fattispecie astratte recate dalle norme di legge richiamate – allega un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171). E ciò – come emerge da questi precedenti – già nel vigore del vecchio n. 5 dell’art. 360 c.p.c

Al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del secondo motivo, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam della censura si concentra esclusivamente nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, con ciò sostanzialmente sovrapponendosi al primo motivo (cui del resto lo stesso ricorrente si richiama, quale premessa e unico contenuto giustificativo della censura di violazione di legge).

Ciò posto, i motivi d’impugnazione possono essere congiuntamente esaminati e devono ritenersi inammissibili: il secondo perchè, come detto, non è consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892); il primo sia, e in via assorbente, perchè noè soddisfatto l’onere di specifica indicazione degli atti su cui si fonda ex art. 366 n. c.p.c., sia perchè non possono ritenersi soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi e controversi tra le parti.

Occorre al riguardo rammentare che, secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, la doglianza del ricorrente deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede.

4. Allo stesso modo, sotto il profilo della pure dedotta violazione dell’art. 116 c.p.c., è appena il caso di rilevare come, in tema di ricorso per cassazione, la violazione di detta norma (la quale sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598; Cass. 10/06/2016, n. 11892).

Un tale vizio non è certamente riscontrabile nella specie, nemmeno con riferimento alla rilevanza probatoria attribuibile al c.d. modulo di constatazione amichevole di incidente.

Al riguardo invero il tribunale si è correttamente conformato al principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo il quale nei giudizi proposti ai sensi del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 144, gli stessi fatti che determinano la responsabilità e la condanna del danneggiante costituiscono la fonte dell’obbligazione risarcitoria dell’assicuratore, comportando una situazione di litisconsorzio necessario tra entrambi tali soggetti e il terzo danneggiato ed impedendo che si pervenga a decisioni differenziate in ordine ai rapporti tra responsabile e danneggiato, da un lato, e danneggiato ed assicuratore, dall’altro. Ne consegue che la dichiarazione confessoria, contenuta nel modulo di constatazione amichevole di incidente, resa dal responsabile del danno proprietario del veicolo assicurato, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all’art. 2733 c.c., comma 3, secondo la quale, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è, per l’appunto, liberamente apprezzata dal giudice (Cass. Sez. U. 05/05/2006, n. 10311; Cass. 13/02/2013, n. 3567; 25/01/2008 n. 1680).

Ciò posto, ed escluso pertanto che il giudizio di irrilevanza del predetto modulo obliteri un inesistente valore legale di confessione allo stesso attribuibile, occorre per il resto rammentare che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo nemmeno inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che, come detto, attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio).

5. L’esposta valutazione di inammissibilità o manifesta infondatezza dei motivi di ricorso rende ultroneo il rilievo della mancata prova del perfezionamento della notifica nei confronti dell’intimata C.M.L. e altrettanto superflua ogni valutazione in ordine alla preliminare eccezione di difetto di legittimazione passiva di Allianz S.p.A. (la quale dovrebbe condurre, per conseguenza, al rilievo di un difetto di integrità del contraddittorio nei confronti della compagnia succedute nel rapporto assicurativo, litisconsorte necessaria; v. Cass. 16/07/2003, n. 11150; v. anche Cass. n. 15603 del 2005; n. 8952 del 2000).

Il principio della ragionevole durata del processo impone infatti, come noto, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso o qualora questo sia prima facie infondato, di definire comunque con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e non essendovi, in concreto, esigenze di tutela del contraddittorio, delle garanzie di difesa e del diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (v. Cass. Sez. U. 22/03/2010, n. 6826; Cass. 10/05/2018, n. 11287; 17/06/2013, n. 15106).

6. Il ricorso va pertanto dichiara inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuna di esse, in Euro 2.300 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2019

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