Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20071 del 30/09/2011

Cassazione civile sez. I, 30/09/2011, (ud. 28/06/2011, dep. 30/09/2011), n.20071

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.G., in qualità di titolare dell’impresa omonima,

elettivamente domiciliato in Roma, alla via Ezio n. 19, presso l’avv.

ALLIEGRO MICHELE unitamente al prof. avv. PIER FRANCESCO EOTITO, dal

quale è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI PRATO, in persona del Sindaco p.t., elettivamente

domiciliato in Roma, alla via Panama n. 12, presso l’avv. MOLINO

CLAUDIA, unitamente all’avv. ALESSANDRO CECCHI del foro di Firenze,

dal quale è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale in

calce alta copia notificata del controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze n. 254/05,

pubblicata il 28 gennaio 2005.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28

giugno 2011 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito l’avv. Bifulco per delega del difensore del ricorrente e l’avv.

Cocchi per il controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. PRATIS Pierfelice il quale ha concluso per il rigetto

del ricorso principale, con l’assorbimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. M.G., in qualità di titolare dell’omonima impresa, convenne in giudizio il Comune di Prato, chiedendone la condanna al pagamento degl’interessi moratori e della rivalutazione monetaria dovuti per il ritardo nel saldo del corrispettivo di lavori edili commissionatigli.

1.1. – Con sentenza del 21 febbraio 2003 il Tribunale di Prato, accertato che tra le parti non era mai stato stipulato un contratto, accolse la domanda, qualificandola come azione d’ingiustificato arricchimento.

2. L’impugnazione proposta dal Comune è stata accolta dalla Corte d’Appello di Firenze, che con sentenza del 28 gennaio 2005 ha rigettato la domanda.

Premesso che la sentenza impugnata non era stata censurata nella parte in cui aveva accertato l’insussistenza del contratto, la Corte ha ritenuto che la domanda proposta dall’attore avesse indiscutibilmente ad oggetto l’adempimento di un’obbligazione contrattuale, escludendo che essa potesse essere ricondotta all’art. 2041 cod. civ..

Per lo stesso motivo, ha escluso la possibilità di mantenere la condanna del Comune quale sanzione per l’inadempimento, rigettando anche la domanda di risarcimento dei danni proposta dall’attore, in quanto la stessa, oltre ad essere nuova, risultava fondata sulla violazione non già del principio neminem laedere, ma dell’obbligo, di natura contrattuale, di pagare tempestivamente i debiti.

3. Avverso la predetta sentenza il M. propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Il Comune resiste con controrieorso, proponendo ricorso incidentale, articolato in due motivi. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 2041 cod. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il giudice di primo grado fosse incorso in ultrapetizione, escludendo la possibilità di qualificare la domanda come azione d’ingiustificato arricchimento.

Sostiene infatti che, riconducendo la domanda all’art. 2041 cit. il Tribunale aveva esercitato il potere di qualificazione ad esso spettante, in quanto, nel chiedere la condanna del Comune al pagamento d’interessi e rivalutazione monetaria dovuti per il ritardo nel saldo dei lavori, egli aveva fatto valere l’assegnazione dei lavori e l’avvenuto riconoscimento dell’utilità dell’opera da parte del Comune, con la conseguenza che la domanda poteva essere qualificata tanto come azione di adempimento contrattuale quanto come azione d’ingiustificato arricchimento o di risarcimento per l’atto illecito, non essendo intervenuto alcun mutamento nel petitum o nella causa petendi.

In subordine, osserva che il giudizio era soggetto alla disciplina anteriore alla L. 26 novembre 1990, n. 353, affermando di aver modificato o integrato la domanda all’udienza di precisazione delle conclusioni o in comparsa conclusionale, senza che il Comune sollevasse alcuna contestazione.

1.1. Il motivo è inammissibile, in entrambe le sue articolazioni.

Il ricorrente si duole infatti che la sentenza impugnata, accogliendo il motivo di appello proposto al riguardo dal Comune, abbia ritenuto che il Giudice di primo grado fosse incorso in ultrapetizione, avendo erroneamente qualificato la domanda proposta con l’atto di citazione come azione di ingiustificato arricchimento, anzichè come domanda di pagamento di un debito contrattuale.

Il motivo investe pertanto l’interpretazione della domanda fornita dalla Corte d’Appello, alla quale il ricorrente contrappone quella emergente dalla sentenza di primo grado, evidenziando gli elementi posti a fondamento della domanda avanzata nell’atto di citazione, ma senza individuare specifici vizi di motivazione della sentenza d’appello, censurata esclusivamente per violazione di legge.

In proposito, va pertanto ribadito il principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui nel giudizio di legittimità occorre tenere distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, o la pronuncia su domanda non proposta, dal caso in cui si censuri l’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda stessa: solo nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il giudice di merito sia incorso in un error in procedendo, mentre qualora, come nella specie, venga in contestazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, la decisione è sindacabile in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della logicità e congruità della motivazione, trattandosi di attività che integrano un tipico accertamento di fatto, riservato al giudice di merito (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 3, 12 febbraio 2010, n. 3349; Cass., Sez. lav., 24 luglio 2008, n. 20373; Cass., Sez. 1. 30 novembre 2007. n. 25015).

1.2. Quanto all’avvenuta accettazione del contraddittorio da parte del convenuto in ordine alla nuova domanda proposta dall’attore nel corso dei giudizio, la relativa indagine, implicando la valutazione del grado di significatività e concludenza della condotta processuale della parte, si risolve anch’essa in una questione di fatto, che, oltre ad essere rimessa al giudice di merito, il cui apprezzamento è sindacabile anch’esso esclusivamente sotto il profilo della correttezza della motivazione, non può essere sollevata per la prima volta in questa sede, non risultando che sia stata prospettata nel precedente grado di giudizio (cfr. al riguardo, Cass., Sez. 2, 17 ottobre 1998, n. 10287: Cass., Sez. 3, 21 maggio 1998, n. 5085).

2. E’ invece infondato il secondo motivo, con cui il ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di adempimento proposta in via subordinata, senza considerare che il rapporto poteva essere ricondotto ad un contratto di appalto o ad un contratto atipico, in quanto la mancata stipulazione del contratto scritto era stata determinata da divergenze insorte con l’Amministrazione, la quale non aveva mai contestato l’avvenuta assegnazione ed esecuzione dei lavori e l’utilità dell’opera.

2.1. La Corte d’Appello ha infatti ritenuto che l’accoglimento della domanda di condanna del Comune alla corresponsione di una somma per inadempimento contrattuale fosse precluso dall’avvenuta formazione del giudicato in ordine alla indicata stipulazione di un contratto tra le parti, non essendo stato oggetto d’impugnazione il relativo accertamento, risultante dalla sentenza di primo grado.

Tale conclusione non è revocabile in dubbio, sotto il profilo logico- giuridico, non essendo configurabile, al di fuori delle ipotesi in cui l’obbligazione derivi direttamente dalla legge, una responsabilità per inadempimento in difetto di un valido rapporto contrattuale, la cui costituzione, ove una delle parti sia una Pubblica Amministrazione, presuppone necessariamente l’avvenuta stipulazione del contratto nella forma scritta richiesta inderogabilmente dal R.D. 8 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17 (richiamati, per i comuni e le province, dal R.D. 3 marzo 1934, n. 383, artt. 87 e 140 e successivamente dalla L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 56 e dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 192) a garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa; l’osservanza di tale requisito, prescritto a pena di nullità per tutti i contratti (ivi compresi quelli atipici), fatta eccezione soltanto per quelli conclusi con imprese commerciali, postula, com’è noto, la redazione di un documento, sottoscritto dall’organo legittimato a rappresentare l’ente pubblico nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere e al compenso da corrispondere, e che non è pertanto surrogabile da una manifestazione di volontà implicita o desunta da comportamenti meramente attuativi delle parti, nè dalla delibera con cui l’organo competente a formare la volontà dell’ente abbia, autorizzato la stipulazione del contratto, costituendo quest’ultima un atto meramente interno (cfr. ex plurimis, Cass.. Sez. 1. 26 marzo 2009. n. 7297; 26 gennaio 2007, n. 1752; 24 gennaio 2007. n. 1606). E’ pur vero che, ove la scelta del contraente abbia luogo mediante procedura ad evidenza pubblica, la forma scritta può essere integrata, in assenza di una contraria previsione del bando di gara, dal processo verbale di aggiudicazione definitiva il quale, ai sensi dell’art. 16 cit., comma 4 equivale per ogni effetto legale al contratto (cfr.

Cass., Sez. 1. 27 marzo 2007, n. 7481; 21 giugno 2000. n. 8420):

nella specie, tuttavia, l’eventuale stipulazione del contratto all’esito di una siffatta procedura avrebbe dovuto essere dedotta nel giudizio di merito, mediante l’impugnazione della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva escluso la sussistenza del contratto, onde a relativa deduzione deve ritenersi coperta dal giudicato formatosi in ordine al relativo accertamento.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ., censurando la sentenza impugnata nella parie in cui ha rigettato anche la domanda subordinata di risarcimento per fatto illecito, senza considerare che l’Amministrazione gli aveva arrecato un danno ingiusto, violando le norme pubblicistiche in materia di contratti di appalto.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Come riconosce lo stesso ricorrente, infatti, la sentenza impugnata, nella parte concernente il rigetto della predetta domanda, si fonda su una duplice ratto decidendo rappresentata dalla novità della domanda stessa e dalla natura contrattuale dell’obbligo di cui era stata dedotta la violazione. La mancata contestazione della prima affermazione, autonoma rispetto alla seconda e di per sè idonea a sorreggere la decisione, preclude l’esame delle critiche mosse alla seconda, in ossequio al principio, costantemente ribadito da questa Corte, secondo cui, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, l’omessa impugnazione di alcune di esse rende inammissibili le censure relative a quelle esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle ragioni non impugnate, all’annullamento della decisione stessa (cfr. Cass., Sez. 3, 20 novembre 2009, n. 24540: 11 gennaio 2007. n. 389; Cass., Sez. 1, 8 febbraio 2006, n. 2811).

4. E’parimenti inammissibile il primo motivo dei ricorso incidentale, con cui, subordinatamente all’accoglimento de primo motivo del ricorso principale, il controricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 2041 e 2697 cod. civ., sostenendo che il Tribunale ha errato nel far decorrere gl’interessi e la rivalutazione dalla data della prima richiesta di pagamento avanzata dall’attore, essendo l’azione di arricchimento subordinata al riconoscimento dell’utilità della prestazione, che non aveva avuto luogo con il collaudo, ma con la deliberazione di approvazione del relativo certificato, ovvero con la redazione del certificato di regolare esecuzione dei lavori.

4.1. – La parte vittoriosa nel giudizio di secondo grado è infatti carente d’interesse a riproporre in sede di legittimità, sia pure nella forma del ricorso incidentale condizionato, le questioni, domande o eccezioni, rilevanti ai fini della decisione, da essa prospettate e non decise, neppure implicitamente, nel giudizio di appello, in quanto ritenute assorbite da quelle accolte, non essendo configurabile una soccombenza della medesima parte rispetto a tali questioni, domande o eccezioni, ed essendo le stesse riproponibili nel giudizio di rinvio, in caso di accoglimento del ricorso principale (cfr. Cass., Sez. 1, 14 novembre 2003, n. 17199; Cass. Sez. 2, 12 settembre 2003, n. 13428; 30 marzo 2000, n. 3908).

5. E’ altresì inammissibile il secondo motivo del ricorso incidentale, con cui il controricorrente denuncia la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., nonchè l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, tonsurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato integralmente compensate tra le parti le spese dei due gradi di giudizio, in considerazione de ritardo con cui era stato effettuato il saldo del corrispettivo, riconosciuto come dovuto, senza considerare che la regolarizzazione del rapporto aveva richiesto una complessa procedura, e senza indicare la data in cui sarebbe avvenuto il riconoscimento del debito.

5.1. Ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ. nel testo (applicabile ratione temporis) anteriore alla sostituzione disposta dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a) la valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale delle spese processuali, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca sia in quella della ricorrenza di giusti motivi, rientra infatti nei poteri discrezionali del giudice di merito e non richiede una specifica motivazione, restando perciò incensurabile in sede di legittimità, salvo che risulti violato il principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa ovvero che, a fondamento della compensazione, siano addotte ragioni palesemente illogiche e tali da inficiare, per la loro inconsistenza o evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale. Tale ipotesi non ricorre nel caso in esame, avendo la Corte d’Appello chiaramente indicato le ragioni della compensazione nella vicenda da cui ha tratto origine la controversia, e non essendo pertanto censurabile la decisione sotto il profilo dell’insufficienza della motivazione, peraltro inconcepibile a fronte della legittimità di una omissione totale, ma solo sotto il profilo della contraddittorietà, nella specie non dedotto (cfr. Cass.. Sez. 1, 2 luglio 2007, n. 14964: Cass., Sez. 3, 11 gennaio 2006, n. 264).

6. I ricorsi vanno pertanto rigettali, e la reciproca soccombenza giustifica la dichiarazione dell’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti.

P.Q.M.

fa Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, e dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 28 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA