Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20071 del 14/07/2021

Cassazione civile sez. II, 14/07/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 14/07/2021), n.20071

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11449-2016 proposto da:

L.R., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE n.

199, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO FALZETTI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA n.

48, presso lo studio dell’avvocato AMILCARE BUCETI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato OSVALDO MOSSINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4106/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/02/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. Barzagli Angelo evocava in giudizio L.R. innanzi il Tribunale di Monza, per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 70.000 a titolo di restituzione di un mutuo concesso dall’attore alla convenuta nell’agosto 2010.

Si costituiva la convenuta resistendo alla domanda.

Con ordinanza del 20.1.2015 il Tribunale condannava la L. al pagamento della somma di Euro 70.000 ed alle spese del grado.

Interponeva appello la L. e si costituiva in giudizio il Barzagli, resistendo al gravame.

Con la sentenza impugnata, n. 4106/2015, la Corte di Appello di Milano dichiarava inammissibile l’impugnazione, condannando l’appellante alle spese del grado.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione L.R., affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso B.A., il quale ha depositato anche memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 359,339 e ss. e 702 quater c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ravvisato la tardività del gravame, decretandone l’inammissibilità, senza avvedersi che, per effetto del rinvio operato dall’art. 359 c.p.c. alle norme relative al giudizio di primo grado, sarebbero applicabili al procedimento di appello anche le disposizioni relative al cd. Rito sommario, ed in particolare l’art. 702 quater c.p.c., che ammette la proponibilità dell’impugnazione con ricorso.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 702 quater c.p.c. e art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte milanese avrebbe erroneamente ritenuto tardivo il gravame, che invece era tempestivo, in quanto proposto con ricorso depositato il 20.2.2015 e notificato il 30.3.2015, a fronte di ordinanza resa in prime cure ai sensi dell’art. 702 ter c.p.c. e comunicata in data 27.1.2015. Ad avviso della ricorrente, infatti, l’art. 702 quater c.p.c. prevedrebbe un doppio termine di trenta giorni, decorrente, rispettivamente, dalla comunicazione o dalla notificazione del provvedimento conclusivo del giudizio celebrato con il cd. rito sommario di primo grado; poiché nella specie l’ordinanza non sarebbe stata notificata, ma soltanto comunicata, il secondo termine non sarebbe decorso.

Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 359,702 quater c.p.c. e art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché l’incertezza sullo strumento con il quale si debba introdurre l’appello avverso il provvedimento conclusivo del cd. rito sommario di primo grado si rifletterebbe in una lesione del diritto di azione e difesa in giudizio, nonché in una potenziale compromissione del diritto ad un processo equo, come definito dall’art. 6 della Convenzione E.D.U.

Le tre censure, che sono suscettibili di esame congiunto, sono infondate.

La Corte di Appello ha dato atto che l’ordinanza conclusiva del giudizio di prima istanza, svoltosi nelle forme di cui agli artt. 702 bis e ss. c.p.c., era stata comunicata alle parti in data 27.1.2015 ed ha ritenuto che l’appello avrebbe dovuto essere proposto con atto notificato al ricorrente entro il 26.2.2015; poiché nel caso di specie la notifica era pacificamente avvenuta, presso il domicilio eletto dal B. in prima istanza, soltanto in data 2.4.2015, ha dichiarato inammissibile il gravame perché tardivo.

La soluzione adottata dal giudice di merito è pienamente condivisibile, e conforme al consolidato orientamento di questa Corte – formatosi in tema di impugnazione avverso sentenze in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, pronunciate ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23 in giudizi iniziati prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150 – secondo cui l’appello, “… ove erroneamente introdotto con ricorso anziché con citazione, è suscettibile di sanatoria, a condizione che nel termine previsto dalla legge l’atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice, ma anche notificato alla controparte, non trovando applicazione il diverso principio, non suscettibile di applicazione al di fuori dello specifico ambito, affermato con riguardo alla sanatoria delle impugnazioni delle deliberazioni di assemblea di condominio spiegate mediante ricorso, e senza che sia possibile rimettere in termini l’appellante, non ricorrendo i presupposti della pregressa esistenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale poi disatteso da un successivo pronunciamento” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 2907 del 10/02/2014, Rv. 629584; conf. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 5295 del 01/03/2017, Rv. 643182).

La soluzione, del resto, è perfettamente coerente con quella adottata per l’ipotesi opposta, allorquando un giudizio che la legge prescriva doversi introdurre con ricorso venga, invece, introdotto con citazione: in tale eventualità, infatti, “… l’atto produce gli effetti del ricorso solo se depositata nel rispetto del termine indicato, non essendo sufficiente la mera notificazione entro la medesima data” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10643 del 15/05/2014, Rv. 630775, in tema di opposizione agli atti esecutivi, che a norma del testo dell’art. 617 c.p.c. vigente antecedentemente alle modifiche recate dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in L. 14 maggio 2005, n. 80, doveva proporsi con ricorso da depositare entro cinque giorni dal compimento dell’atto che si intendeva impugnare).

In ambedue le ipotesi, dunque, il criterio logico è il medesimo: rileva il momento in cui viene compiuta la formalità alla quale l’ordinamento ricollega l’esercizio dell’azione. Pertanto, quando la norma prescriva che un determinato giudizio vada introdotto con ricorso, ov’esso sia proposto con citazione quel che conta è che nel termine perentorio previsto dalla legge sia assicurato il deposito dell’atto in cancelleria; quando invece, come nel caso di specie, la norma prevede che il giudizio vada proposto con citazione, ov’esso sia instaurato con ricorso, quel che rileva, ai fini della valutazione di tempestività, è la data in cui l’atto venga notificato alla controparte. Poiché, nel caso di specie, la notifica è pacificamente avvenuta oltre il termine di 30 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza conclusiva del giudizio di prima istanza, il gravame è stato proposto tardivamente.

Ne’ ha alcun pregio la tesi, prospettata dalla ricorrente nel secondo motivo di ricorso, secondo cui l’art. 702 quater prescriverebbe un doppio termine di trenta giorni, rispettivamente dalla comunicazione e dalla notificazione del provvedimento conclusivo del giudizio di prima istanza. La previsione normativa è infatti chiarissima nel fissare, in ogni caso, un termine unico di 30 giorni, decorrente, rispettivamente dalla comunicazione dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., nei confronti della parte costituita in prime cure, ovvero dalla sua notificazione, nel caso inverso. Va infatti ribadito che “L’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione può essere appellata, dalla parte contumace, nel termine breve di cui all’art. 702 quater c.p.c., decorrente dalla notificazione della stessa, in difetto della quale trova applicazione il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. che opera per tutti i provvedimenti a carattere decisorio e definitivo” (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 16893 del 27/06/2018, Rv. 649509). Ed infatti mentre il termine breve decorre, secondo la regola generale (art. 326 c.p.c., comma 1), da uno specifico impulso di controparte, ovvero dalla notifica del provvedimento impugnabile, il rito sommario costituisce uno strumento che il legislatore ritiene diretto alla celerità, oltre che alla semplificazione, del giudizio. Pertanto l’applicabilità del termine breve non è affidata solo al potere dispositivo della parte interessata a stabilizzare gli effetti del provvedimento di prime cure, bensì – per l’evidente interesse pubblico che ormai viene riscontrato pure nel processo civile – anche all’attività dell’ufficio che quell’ordinanza ha pronunciato. E dunque, mentre la giurisprudenza di legittimità da sempre rimarca che il termine breve decorre solo dalla notifica effettuata a istanza di parte, essendo invece allo scopo irrilevante la comunicazione dell’ordinanza pronunciata fuori udienza (in termini, cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 5615 del 08/06/1998, Rv. 516173), nel caso dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 6, la decorrenza ha inizio “dalla sua comunicazione o notificazione”. Se quindi l’ordinanza è emessa in udienza e la parte interessata ad appellarla è costituita, ma non è presente, non vi sarà comunicazione, perché ai sensi dell’art. 176 c.p.c., comma 2, l’ordinanza si ritiene conosciuta. Nel caso invece in cui l’ordinanza è emessa fuori udienza e la parte interessata ad appellarla non è contumace, a quest’ultima la cancelleria effettuerà la comunicazione (che deve essere integrale quanto a motivazione e dispositivo: cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7401 del 23/03/2017, Rv. 643833), onde la parte vittoriosa sposta il suo concreto interesse alla notifica nella ipotesi in cui intenda avvalersi dell’esecutorietà del provvedimento, notificandolo, se del caso, unitamente al precetto. Nel caso, infine, in cui l’ordinanza è emessa in udienza o fuori udienza e la parte interessata ad appellarla è contumace, si rientra nello schema classico: o la parte vittoriosa attiva la decorrenza del termine breve mediante la notifica dell’ordinanza, o viene applicato il termine lungo ex art. 327 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 32961 del 13/12/2019, Rv. 656499).

Poiché nel caso di specie le parti erano entrambe costituite in prime cure, il termine era quello di trenta giorni dalla comunicazione, che pacificamente la ricorrente non ha rispettato.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2021

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