Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20071 del 11/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 11/08/2017, (ud. 12/07/2017, dep.11/08/2017),  n. 20071

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13081/2016 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO SOMALIA

67, presso lo studio dell’avvocato RITA GRADARA, rappresentata e

difesa dall’avvocato OLIMPIA AUREGGI ARIATTA;

– ricorrente –

contro

AN.GI., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE DELLE

BELLE ARTI 3 SCALA A, presso lo studio dell’avvocato STEFANO TRALDI,

rappresentata e difesa dall’avvocato PIETRO PORCIANI;

– controricorrente –

e contro

B.E., P.C., M.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1831/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/07/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

A.M. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 1831/2015 del 28 aprile 2015.

Resiste con controricorso An.Gi..

Rimangono intimati, senza svolgere attività difensive, B.E., P.C. e M.C..

La sentenza impugnata, correggendo un errore nel dispositivo della pronuncia di primo grado, ha per il resto rigettato l’appello di A.M. contro la sentenza n. 77/2009 del Tribunale di Sondrio, sezione distaccata di Morbegno.

La Corte d’Appello ha confermato l’inammissibilità per carenza di interesse dell’impugnazione della Delib. Condominiale 20 luglio 2007, spiegata dalla A., essendo stata la stessa già revocata il 28 settembre 2007, ed avendo l’attrice notificato il ricorso ed il Decreto il 3 ottobre 2007, quando ormai la Delib. era priva di effetti. Circa le precedenti Delib. 1 dicembre 2006 e Delib. 12 gennaio 2007 (in ordine alle quali il Tribunale aveva per la prima rigettato l’impugnazione e per la seconda dichiarato la nullità dei soli artt. 1, 2, 3, 4, 9 e 15 dell’approvato regolamento, nonchè del punto 5), la Corte di Milano ribadiva quanto accertato in primo grado, e cioè che le stesse erano state approvate col voto unanime dei presenti, costituenti la metà del valore dell’edificio, stimate le rispettive quote alla luce dell’espletata CTU. In ordine alla nomina dell’amministratore e all’adozione del regolamento di condominio, la Corte d’Appello di Milano, essendo i condomini in numero inferiore a quattro, reputava applicabili, ai sensi dell’art. 1139 c.c., le norme sulla comunione, ovvero gli artt. 1105 e 1106 c.c., sicchè comunque valide apparivano le relative Delib. approvate dalla maggioranza dei comproprietari.

Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

La ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2.

1. Il primo motivo del ricorso di A.M. denuncia la violazione degli artt. 1137 e 2907 c.c. e l’omesso esame di fatto decisivo, quanto alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione della Delib. 20 luglio 2007, non avendo la Corte di merito tenuto conto che il ricorso era stato depositato il 18 agosto 2007 e l’udienza fissata con Decreto del 21 agosto 2007, mentre la revoca della Delib. impugnata era poi avvenuta soltanto il 28 settembre 2007.

Questa censura è del tutto priva di fondamento, giacchè non tiene conto dell’orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui, in tema di impugnazione delle Delib. condominiali, la sostituzione della Delib. impugnata con altra adottata dall’assemblea in conformità della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere, analogamente a quanto disposto dall’art. 2377 c.c., comma 8, dettato in tema di società di capitali (Cass. Sez. 2, 10/02/2010, n. 2999; Cass. Sez. 2, 28/06/2004, n. 11961), rimanendo affidata soltanto la pronuncia finale sulle spese (a differenza, peraltro, di quel che espressamente statuisce dell’art. 2377 c.c., medesimo comma 8, nel testo successivo al D.Lgs. n. 6 del 2003) ad una valutazione di soccombenza virtuale.

Non è rilevante quanto lamenta la ricorrente, e cioè se la Delib. impugnata fosse stata revocata prima o dopo il deposito del ricorso o la notificazione dello stesso (avendo la A. impropriamente, seppur validamente, adoperato appunto la forma impugnatoria del ricorso, anzichè quella corretta della citazione, in fattispecie regolata ratione temporis dalla formulazione dell’art. 1137 c.c., antecedente alla L. n. 220 del 2012, e perciò da trattare alla stregua del principio dettato da Cass. Sez. U., 14/04/2011, n. 8491).

La cessazione della materia contendere conseguente alla revoca assembleare della Delib. impugnata dà luogo all’inammissibilità, perciò, dell’impugnazione ex art. 1137 c.c., per sopravvenuto difetto di interesse, in quanto la sussistenza dell’interesse ad agire deve valutarsi non solo nel momento in cui è proposta l’azione, ma anche al momento della decisione.

2. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 1137 e 1118 c.c. e l’omesso esame di fatto decisivo, assumendo che le Delib. impugnate fanno riferimento ad una tabella millesimale inveritiera, in quanto contrastante anche con una pregressa sentenza passata in giudicato.

La censura evidenzia palesi difetti dei necessari caratteri di tassatività, specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, risolvendosi in una critica generica della sentenza della Corte d’Appello di Milano, neppure collocabile nell’ambito di alcuna delle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., in quanto consistente in una sollecitazione a rivalutare le risultanze probatorie ed ad operare una diversa ricostruzione della concreta fattispecie.

Il secondo motivo è, in ogni caso, del tutto infondato.

Ai fini della verifica della sussistenza dei quorum occorrenti per la validità delle impugnate deliberazioni, la Corte d’Appello ha affermato che le stesse erano state adottate con il voto favorevole di partecipanti che rappresentavano la metà del valore dell’edificio, sulla base della consistenza delle singole quote condominiali determinata mediante CTU. Ciò costituisce accertamento di fatto non sovvertibile in sede di legittimità, se non nei limiti del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. D’altro canto, l’art. 68 disp. att. c.c., dispone che, per gli effetti indicati dagli artt. 1123, 1124, 1126 e 1136 del codice, il regolamento di condominio deve precisare i valori proporzionali di ciascuna porzione di proprietà esclusiva, ragguagliati a quello dell’intero edificio ed espressi in millesimi in apposita tabella allegata. Per determinare l’ammontare della quota di ciascun partecipante al condominio, l’art. 1118 c.c., fa riferimento al valore dell’unità immobiliare che gli appartiene, di tal che siffatta determinazione, in quanto approvazione del risultato di un’operazione tecnica di calcolo, non implica alcuna attività negoziale. Ne consegue che non spiegano rilievo le doglianze della ricorrente sull’erroneità della tabella millesimale, in quanto, come visto, il Tribunale ha accertato le quote millesimali con l’ausilio di un CTU. Nemmeno la mancanza di una tabella valida e vincolante per tutti i condomini esonera il giudice dallo statuire sulla regolarità della costituzione e della deliberazione dell’assemblea, dovendo determinare egli stesso il valore delle quote espresso in millesimi (arg. da Cass. Sez. 2, 09/02/1985, n. 1057; Cass. Sez. 2, 30/07/1992, n. 9107; Cass. Sez. 2, 26/04/2013, n. 10081). Mentre, ove delle tabelle millesimali esistono, avendo esse, come già detto, natura valutativa e non attributiva della proprietà, la costituzione dell’assemblea e la validità delle deliberazioni possono essere riscontrate dal giudice sulla base di dette tabelle, finchè non siano state modificate, senza essere tenuto ad esaminare i titoli di acquisto dei singoli condomini ed a valutarli, di sua iniziativa, come (eventualmente) difformi dalle tabelle; se il condomino intenda, non di meno, denunciare la violazione dell’art. 1118 c.c., è tenuto ad impugnare le tabelle, chiedendone la modifica giudiziale, e non le deliberazioni assembleari adottate in base alle tabelle medesime (cfr. Cass. Sez. 2, 18/08/2005, n. 16982).

3. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’arti. 1139 c.c., in relazione agli artt. 1129 e 1138 c.c., non potendo farsi ricorso alle due norme in tema di nomina dell’amministratore e di regolamento di condominio ove manchino i presupposti numerici indicati dalle citate norme. Si lamenta inoltre la mancata informazione ai condomini sull’oggetto della deliberazione, ma tale ultima questione è inammissibile perchè nuova, in quanto non vi è cenno di essa nella sentenza impugnata, nè la ricorrente indica, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, quando la stessa era stata dedotta innanzi al giudice di merito.

Per il resto, la decisione della Corte d’Appello di Milano va confermata, pur dovendosene correggere la motivazione.

Instaurandosi il condominio sul fondamento della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, tale situazione si riscontra anche nel caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti (o ancor più da quattro, come nel caso in esame), rimanendo pertanto applicabile, sia per l’organizzazione interna dell’assemblea, sia per le situazioni soggettive dei partecipanti, la disciplina di cui agli artt. 1117 c.c. e segg. e non quella della comunione ordinaria, sulla base del rinvio ex art. 1139 c.c., come ha sostenuto la Corte d’Appello (cfr. Cass. Sez. U, 31/01/2006, n. 2046).

Non è allora censurabile la volontà della maggioranza dei quattro condomini di (OMISSIS), di nominare un amministratore e di approvare un regolamento, in quanto la norma di cui all’art. 1129 c.c., la quale dispone che, quando i condomini sono più di quattro (nella formulazione, qui applicabile ratione temporis, antecedente alla modifica di cui alla L. 11 dicembre 2012, n. 220, che ha elevato il numero a “più di otto”), l’assemblea nomini un amministratore, come anche la norma di cui all’art. 1138 c.c., per la quale deve essere formato un regolamento quando il numero dei condomini è superiore a dieci, non escludono la facoltà di nomina di un amministratore quando i condomini siano quattro o meno di quattro, o di approvazione di un regolamento se i condomini siano meno di dieci (arg. da Cass. Sez. 2, 03/01/1966, n. 24).

4. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 92 c.p.c., essendo stata la ricorrente condannata alle spese del giudizio di appello, per la sua prevalente soccombenza, in una “somma enorme – Euro 10.250,00 – sproporzionata alle tariffe”.

Tale censura è inammissibile.

In sede di ricorso per cassazione, la determinazione del giudice di merito, relativa alla liquidazione del compenso ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 3,può essere censurata solo attraverso la specificazione dei parametri in ordine ai quali lo stesso giudice sarebbe incorso in errore, nonchè delle differenze tra gli importi in concreto liquidati dal giudice e i valori medi indicati dalle tabelle allegate al medesimo D.M. e non certo, come fatto dalla ricorrente, genericamente adducendo l’enormità della somma attribuita e invocando la violazione dell’art. 92 c.p.c., essendo l’inosservanza delle regole di legge sulla condanna alle spese configurabile, piuttosto, ove le stesse vengano poste, in tutto o in parte, a carico della parte totalmente vittoriosa.

5. Il ricorso va perciò rigettato e la ricorrente va condanna a rimborsare alla controricorrente An.Gi. le spese del giudizio di cassazione, mentre non occorre provvedere al riguardo per gli altri intimati B.E., P.C. e M.C., i quali non hanno svolto attività difensive.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 12 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2017

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