Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20070 del 24/09/2020
Cassazione civile sez. trib., 24/09/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 24/09/2020), n.20070
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –
Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25026/2013 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con
domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato;
– ricorrente –
Contro
LA FORNACE COSTRUZIONI S.R.L., in persona del suo legale
rappresentante pro tempore rappresentata e difesa giusta delega in
atti dall’avv. Giuseppe Tricarico (PEC
giuseppe.tricarico.ordineavvocatimodena.it) ed elettivamente
domiciliata in Roma, in via di Priscilla n. 35 presso il Dott.
D.M.R.;
– controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale
dell’Emilia Romagna n. 28/20/13 depositata il 18/03/2013, non
notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del
26/02/2020 dal Consigliere Roberto Succio.
Fatto
RILEVATO
che:
– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello del contribuente e in riforma della sentenza di primo grado annullato l’avviso di accertamento impugnato, per IVA, IRAP e IRES 200&;
– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per Cassazione l’Amministrazione Finanziaria con atto affidato a tre motivi; resiste con controricorso la società contribuente.
Diritto
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 41 del 1995, art. 15, comma 1, convertito in L. n. 323 del 1996 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 39 (rectius n. 3), per avere la CTR ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento – quanto ad alcune delle operazioni di vendita di immobili oggetto di controllo stipulate prima del 4 luglio 2006 – in forza di erronea interpretazione della disposizione ridetta sia quanto alla portata applicativa sia quanto al vigore della disciplina nel tempo;
– il secondo motivo di ricorso denuncia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR ritenuto non utilizzabili ai fini della prova della sottrazione a imposizione gli elementi presuntivi dedotti dell’Erario a fondamento della prova della pretesa di maggior imposte;
– i motivi possono esaminarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione, e sono fondati;
– infatti, con riguardo al primo motivo questa Corte ha già statuito (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 23379 del 19/09/2019) che in tema di IVA, in caso di cessione di beni immobili, ai fini della determinazione della base imponibile, il D.L. n. 41 del 1995, art. 15, conv. in L. n. 85 del 1995 (applicabile “ratione temporis”) deve essere interpretato nel senso che qualora il corrispettivo indicato nell’atto di compravendita sia inferiore al valore catastale, può essere emesso avviso di rettifica sulla base di elementi di natura documentale ovvero se lo scostamento tra corrispettivo dichiarato e valore di mercato integra una presunzione grave, precisa e concordante, è altrettanto vero che, come si evince dall’inciso contenuto nella stessa disposizione di legge – “salvo che da un atto o un documento risultasse un corrispettivo di valore superiore a quello dichiarato dal contribuente” – è fatta salva comunque la possibilità per l’Ufficio di controllare la veridicità del corrispettivo dichiarato, avvalendosi dei mezzi istruttori dei quali esso è ordinariamente munito;
– pertanto, l’affermazione resa in sentenza secondo la quale il prezzo di cui al contratto stipulato anteriormente il 4 luglio 2006 sarebbe “non rettificabile per le ragioni richiamate in precedenza” costituisce errore di diritto; nel presente caso sono invero in atti, quali documenti come richiesto dalla disposizione sopra richiamata, i contratti di mutuo che almeno in un caso confortano la tesi dell’Erario;
– riguardo il secondo motivo, la giurisprudenza costante di questa Corte, sia pure negandone l’automaticità e decisività a fini probatoria, ha chiarito come le risultanze OMI e gli importi dei mutui connessi agli acquisti di immobili possano comunque costituire elementi presuntivi atti a fondare, in difetto di prova contraria da parte del contribuente, la pretesa tributaria;
– nel dettaglio, si è ritenuto ancora recentemente come (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2155 del 25/01/2019) nell’ipotesi di contestazione di maggiori ricavi derivanti dalla cessione di beni immobili, la reintroduzione, con effetto retroattivo, della presunzione semplice, ai sensi della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, (legge comunitaria 2008), che ha modificato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, sopprimendo la presunzione legale (relativa) di corrispondenza del prezzo della compravendita al valore normale del bene, introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, conv. in L. n. 248 del 2006, non impedisce al giudice tributario di fondare il proprio convincimento su di un unico elemento, purchè dotato dei requisiti di precisione e di gravità, elemento che non può, tuttavia, essere costituito dai soli valori OMI, che devono essere corroborati da ulteriori indizi, onde non incorrere nel divieto di “presumptio de presumpto”;
– e nel presente caso, le risultanze OMI e gli importi dei mutui risultavano confermativi della pretesa (sentenza impugnata ultima pagina, terza riga) pertanto tali elementi non potevano esser liquidati semplicemente ritenendoli “non sufficienti a giustificare la pretesa erariale” quantomeno con riguardo alle operazioni nelle quali l’importo del mutuo era superiore al prezzo dichiarato e il valore OMI indicava una incongruenza del prezzo stesso rispetto alle risultanze in parola;
– pertanto, il primo e il secondo motivo meritano accoglimento;
– il terzo mezzo di gravame che si incentra sull’omessa motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la CTR non valutato l’elemento della antieconomicità della gestione dell’impresa; alla luce della decisione sui motivi che precedono, il motivo in parola è assorbito;
– la sentenza quindi, in accoglimento del primo e secondo motivo di ricorso, è cassata con rinvio al giudice dell’appello per nuovo esame.
PQM
accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbito il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna in diversa composizione che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di Legittimità.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020