Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20070 del 23/09/2010

Cassazione civile sez. un., 23/09/2010, (ud. 08/06/2010, dep. 23/09/2010), n.20070

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. DE LUCA Michele – Presidente di sezione –

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente di sezione –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3643/2007 proposto da:

AZIENDA USL RM/(OMISSIS) ((OMISSIS)), in persona del Direttore

pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARTOSTO 3/9, presso

il SERVIZIO LEGALE dell’AZIENDA, rappresentata e difesa dall’avvocato

POSSI Enrica, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MERINVEST S.R.L., che gestisce la Casa di Cura Villa dei Pini in

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

quale

mandataria dei sigq.ri C.A., CH.BR., M.

S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GRAZIO 3, presso lo

studio dell’avvocato BELLINI VITO, che la rappresenta e difende, per

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3684/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/11/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

08/06/2010 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato Roberto FACCINI per delega dell’avvocato Vito

Bellini;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico, che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine

rigetto del ricorso.

 

Fatto

IN FATTO

Con sentenza resa in sede di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il giudice del lavoro presso il tribunale ordinario di Roma, ritenuta e dichiarata la propria competenza giurisdizionale a conoscere di una controversia restitutoria instaurata dalla AUSL Roma, odierna ricorrente, revocò il provvedimento monitorio ottenuto dalla Merinvest s.r.l., società opposta, condannando l’azienda sanitaria (della quale aveva accolto solo in parte l’opposizione) al pagamento, in favore della predetta Merinvest, della somma di oltre L. 35 milioni a titolo di rimborso per l’assistenza sanitaria indiretta fornita ai sigg. C., C. e M..

La sentenza fu impugnata dalla Ausl dinanzi alla corte di appello di Roma.

Il gravame fu rigettato.

La sentenza della corte territoriale è stata impugnata dall’appellante con ricorso per cassazione sorretto da 3 motivi di gravame.

Resiste con controricorso la Merinvest.

Diritto

IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Con il secondo motivo (del quale si impone un esame pregiudiziale, essendo stata posta, con esso, una questione di giurisdizione dinanzi a queste sezioni unite) si denuncia violazione del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33; erroneo accertamento della giurisdizione dell’AGO. Il motivo risulta – al di là dei non marginali profili di inammissibilità scaturenti dalla testuale formulazione del relativo quesito di diritto (“è vero che nella presente controversia sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo ed è, pertanto, erronea sul punto la sentenza di secondo grado”?) – del tutto infondato in diritto.

La corte territoriale ha, sul punto correttamente evidenziato come, oggetto della controversia essendo il diritto soggettivo, inviolabile, dell’assistito alla salute, il rilascio della preventiva autorizzazione all’accesso ad una struttura sanitaria non accreditata (vertendosi in tema di assistenza obbligatoria, della L. n. 833 del 1978, ex art. 63), comprovante il rapporto di necessità e strumentante diretta delle prestazioni erogate con la predetta situazione soggettiva “a copertura costituzionale”, abbia ipso facto comportato il radicamento della giurisdizione in capo al giudice ordinario, senza che, in contrario, potesse legittimamente soccorrere il disposto del pur evocato della L. n. 205 del 2000, art. 33, la cui portata innovativa è oggi definitivamente individuata e circoscritta all’esito dell’intervento del giudice delle leggi (Corte cost. 204/04 e, ancor prima, Cass. ss. u. 558/2000).

L’ampia e articolata motivazione del giudice capitolino, esente da vizi logico-giuridici, va, sul punto, integralmente confermata.

Con il primo motivo, si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. – Extrapetizione aggettiva.

Esso si conclude con la formulazione di un quesito di diritto c.d.

“multiplo”, essendo sottoposta alla Corte la duplice questione se:

a) sia vero “che sussiste il vizio di extrapetizione perchè la corte di appello non solo ha totalmente omesso di esaminare il secondo motivo di impugnazione articolato dalla ASL, ma altresì ha omesso di considerare che la sentenza di primo grado era passata in giudicato nella parte in cui ha accertato l’applicabilità alla fattispecie del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 septies, essendo i ricoveri avvenuti nell’anno 2000”;

b) sia vero “che la corte d’appello era tenuta ad accertare che il rimborso, nei casi di assistenza indiretta, dovesse essere determinato con provvedimenti regionali discrezionali entro il limite massimo del 50% delle tariffe per l’assistenza indiretta essendo escluso dalla richiamata norma che il rimborso potesse essere commisurato alle medesime tariffe previste per l’assistenza diretta”.

Il motivo, così come sintetizzato nei quesiti che precedono, è del tutto inammissibile. Sotto un triplice, concorrente profilo.

Il primo di essi ha riguardo alla errata formulazione, da parte della ricorrente, dell’istanza di enunciazione della regula iuris da parte della Cassazione, erroneità che sì sostanzia in forma di duplice, disomogeneo (sul piano tanto genetico quanto funzionale) quesito di diritto, in attuazione di una modalità esplicativa della (delle) quaestio (quaestiones) iuris sottoposte all’esame del collegio che viola i principi più volte enunciati da questa corte di legittimità (ex aliis, Cass. 1906/08; in senso non dissimile, Cass. 5471/08), a mente dei quali è inammissibile il quesito formulato in termini tali da richiedere una previa attività interpretativa della Corte, come accade nell’ipotesi in cui sia proposto un quesito multiplo, la cui formulazione imponga alla Corte di sostituirsi al ricorrente mediante una preventiva opera di semplificazione, per poi procedere alle singole risposte che potrebbero essere tra loro diversificate.

Il secondo ha riferimento alla violazione del principio di autosufficienza del ricorso, nella parte in cui la ricorrente evoca – senza, peraltro, riportarlo quantomeno in parte qua nel corpo del motivo di ricorso – il contenuto dell’atto di appello nella parte in cui, con esso, sarebbe stata contestata la ritenuta automaticità del rimborso nella misura del 50%.

Il terzo è conseguenza della ulteriore violazione di principi ripetutamente affermati da questa corte regolatrice in tema di risposte al quesito imposto dall’art. 366 bis c.p.c., principi a mente dei quali (Cass. 7197/09) il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.

Alla luce di tali principi, emerge la patente inammissibilità dei quesiti così come sopra riportati.

Con il terzo motivo, si denuncia, infine, violazione e falsa applicazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 septies); contraddittorietà della motivazione.

Il motivo non ha giuridico fondamento.

Anche in ordine all’evocata questione della misura del rimborso dovuto dall’azienda sanitaria, difatti, la motivazione della corte territoriale, in punto di interpretazione della portata applicativa della norma oggi censurata, appare – specie con riferimento all’evocato principio di ragionevolezza (“che postula che le stesse terapie e gli stessi servizi richiesti per la cura di una medesima malattia debbano essere rimborsati al privato utilizzatore, se non direttamente erogate, con gli stessi costi affrontati direttamente dalla regione presso le strutture del S.S.N.”) ed all’analisi valutativa del significato dell’autorizzazione all’assistenza indiretta (correttamente interpretata come “una valutazione amministrativa di equivalenza dei servizi erogati da pagare”) – del tutto scevra da vizi logico-giuridici, e come tale sottratta ad ulteriori valutazioni di merito da parte dì questa corte regolatrice.

Le ampie e articolale argomentazioni svolte dal giudice capitolino, corrette tout court in punto diritto (oltre che funzionali all’unico approdo interpretativo della norma idoneo a sottrarla ad irredimibili dubbi di costituzionalità) sono, in definitiva, interamente condivise da questo collegio.

Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese segue, giusta il principio della soccombenza, come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 1700,00 di cui Euro 200,00 per spese generali.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2010

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