Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2007 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. I, 28/01/2021, (ud. 09/12/2020, dep. 28/01/2021), n.2007

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 9735-2019 r.g. proposto da:

M.H., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Massimo

Gilardoni, con cui elettivamente domicilia in Roma, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso, ex

lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in

Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia, depositata in

data 7.9.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

9/12/2020 dal Consigliere Dott. Amatore Roberto.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Brescia ha rigettato l’appello proposto da M.H., cittadino del Bangladesh, nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Brescia, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.

La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: 1) di essere nato in Bangladesh, nella città di Gabtoli, ubicata nella regione di Dhaka e di appartenere all’etnia Bihari; 2) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese perchè minacciato dai suoi creditori.

La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, il D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile (in relazione al dedotto pericolo di danno, derivante dalle minacce dei creditori per un debito contratto molti anni prima, allorquando il richiedente aveva verosimilmente solo 13 anni) e perchè comunque il pericolo di persecuzione allegato (per essere appartenete alla etnia Bihari) doveva considerarsi fatto nuovo non dedotto nel precedente grado di merito e peraltro neanche suscettibile di credibilità e comunque non compatibile con le informazioni estraibili dalle fonti di conoscenza consultate; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al Bangladesh, paese di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, perchè il ricorrente non aveva dimostrato un saldo radicamento nel contesto sociale italiano nè una condizione di personale vulnerabilità e neanche poteva ritenersi coinvolto in una catastrofe umanitaria e naturale.

2. La sentenza, pubblicata il 7.9.2018, è stata impugnata da M.H. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,7 e 14, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 degli artt. 2 e 3 Cedu, in relazione al mancato riconoscimento della reclamata protezione sussidiaria senza la valutazione della situazione generale del paese di provenienza del richiedente e con l’ulteriore violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; denuncia altresì, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame della sua condizione di vulnerabilità personale discendente sempre dalla condizione di insicurezza interna del paese di provenienza e del paese di transito.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, in relazione al diniego del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

3. Il ricorso è inammissibile.

3.1 I primo motivo è inammissibile.

In realtà, la censura – confusamente proposta in relazione alle due richieste di protezione internazionale previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14 (senza alcuna distinzione tra i diversi presupposti applicativi che presiedono alle diverse forme di protezione previste dalla normativa sopra richiamata) – non coglie in alcun modo le rationes decidendi del diniego del richiesto rifugio e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b. Ed invero, la corte territoriale ha fondato la motivazione di rigetto delle richieste tutele, evidenziando, da un lato, la non credibilità del racconto in ragione della evidente genericità e plausibilità dello stesso (anche in relazione alla -appartenenza del ricorrente alla etnia Bihari) e comunque l’inammissibilità della censura collegata all’asserita persecuzione etnica per la novità della questione dedotta. Orbene, il ricorrente non censura le ragioni di questa motivazione, incentrando le doglianze su generiche osservazioni svolte in fatto che, peraltro, sembrano riguardare vicenda personale diversa da quella allegata nel ricorso introduttivo ed esaminata dalla corte di merito, facendo riferimento la censura ad una non comprensibile “irruzione dei militanti del partito islamico e l’interruzione delle operazioni di voto alle quali seguì la rissa con feriti”.

2. Ma anche la seconda censura è inammissibile per le medesime ragioni già sopra evidenziate, essendo le doglianze del tutto decentrate rispetto alle ragioni del rigetto del diniego della reclamata protezione umanitaria, ragioni che riposano sulla valutazione della riscontrata mancanza di una condizione di vulnerabilità collegata peraltro anche alla mancata dimostrazione di un serio radicamento del richiedente nella realtà socio-lavorativa italiana e sulla mancanza di una emergenza umanitaria in Bangladesh.

A fronte di questa chiara motivazione il ricorrente contrappone infatti solo generiche deduzioni fondate sul richiamo agli istituti regolanti la materia della protezione internazionale, non spiegando quali sarebbero stati i fatti decisivi di cui la corte di merito avrebbe omesso l’esame in relazione allo scrutinio del presupposto della soggettiva vulnerabilità del richiedente.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660/2019.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

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