Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2007 del 04/02/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2007 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: BLASUTTO DANIELA

ORDINANZA
sul ricorso 20708-2012 proposto da:
RICCI ALESSANDRO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
COLA DI RIENZO 180, presso lo studio dell’avvocato FRANCO
BOUCHE’, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del
ricorso;

– ricorrente contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE in persona del Direttore Centrale Risorse Umane,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29,
presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,
rappresentato e difeso dagli avvocati ELISABETTA LANZETTA,
CHERUBINA CIRIELLO, giusta mandato speciale in calce al ricorso
notificato;

Data pubblicazione: 04/02/2015

- resistente avverso la sentenza n. 1129/2012 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 15.2.2012, depositata il 19/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
dell’11/12/2014 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA

udito per il ricorrente l’Avvocato Franco Bouché che ha chiesto il
rinvio del ricorso alla pubblica udienza o alle sezioni unite;
udito per il resistente l’Avvocato Cherubina Ciriello che ha chiesto il
rigetto del ricorso.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO
La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. a seguito di
relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio, letta la
memoria di parte ricorrente.
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Roma, confermando
la sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta da Ricci
Alessandro contro l’Inps di cui era stato dipendente fino al dicembre
2005, per ottenere le differenze sulla pensione integrativa. Assumeva
infatti il ricorrente che questa doveva essere liquidata sulla base
dell’ultima retribuzione di dirigente, che gli era stata riconosciuta per lo
svolgimento di mansioni superiori per i periodi dal 12 maggio 1999 al 9
ottobre 2000 e dal 10 gennaio 2004 al 31 maggio 2004.
Avverso detta sentenza ricorre il soccombente con due articolati
motivi.
L’Inps è rimasto intimato.
In limine, deve rilevarsi la manifesta infondatezza del ricorso ex art. 375,
primo comma, n. 5 cod. proc. civ., per essere stata proposta alla Corte
una questione di diritto identica ad altra già da essa reiteratamente

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BLASUTTO;

esaminata e decisa, con costante orientamento. Pertanto, la causa può
essere trattata in camera di consiglio ex art. 380 bis, primo comma,
cod. proc. civ..
Infatti, quanto al calcolo della pensione integrativa dei dipendenti
degli enti pubblici, si è affermato (Cass. n. 19296 del 14/07/2008) che

il trattamento di previdenza e quiescenza del personale impiegatizio
dell’INPS – che costituisce atto di normazione secondaria ed è pertanto
interpretabile direttamente dalla Cassazione – prevede che le pensioni a
carico del Fondo in corso di godimento siano riliquidate, assumendo
come base la nuova retribuzione prevista per la qualifica e la posizione
in cui l’impiegato si trovava all’atto della cessazione dal servizio, le
maggiori competenze spettanti in seguito allo svolgimento di fatto di
mansioni superiori (in quanto emolumenti non fissi ne’ continuativi)
non possono essere considerate utili e, di conseguenza, non vanno
assoggettati a contribuzione”.
Questo orientamento è stato confermato successivamente da
moltissime altre successive conformi: Cass. ord. nn. 712/2012,
719/2012, 3823/2012, 8301/2012, 20257/2012, 21103/2012, nonché
16506/2013 e 25950/2014).
Non vi è dubbio che la pensione integrativa Inps sia comprensiva
degli elementi fissi e continuativi, essendosi da ultimo deciso a
composizione di un contrasto di giurisprudenza dalle SU di questa
Corte (Sez. U, Sentenza n. 7154 del 25/03/2010) che “In tema di base
di calcolo della pensione integrativa dei dipendenti dell’INPS, ai sensi
dell’art. 5 del Regolamento per il trattamento di previdenza e
quiescenza dell’ente, adottato con Delib. 12 giugno 1970 e
successivamente modificato con Delib. 30 aprile 1982, ai fini della
computabilità nella pensione integrativa già erogata dal fondo istituito
Ric. 2012 n. 20708 sez. ML – ud. 11-12-2014
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“In tema di previdenza integrativa aziendale, benché il regolamento per

dall’ente (e ancora transitoriamente prevista a favore dei soggetti già
iscritti al fondo, nei limiti dettati dalla L. 17 maggio 1999, n. 144, art.
64) è sufficiente che le voci retributive siano fisse e continuative,
dovendosi escludere la necessità di una apposita deliberazione che ne
disponga l’espressa inclusione. Non osta che l’elemento retributivo sia

mansioni, anche se queste, e la relativa indennità, possano in futuro
venire meno, mentre non può ritenersi fisso e continuativo un
compenso la cui erogazione sia collegata ad eventi specifici di durata
predeterminata oppure sia condizionata al raggiungimento di taluni
risultati e quindi sia intrinsecamente incerto”.
Tale non è però la differenza per lo svolgimento di mansioni superiori
ancorché riconosciute con atto formale, come il ricorrente sottolinea.
Tali differenze non possono integrare la nozione di “retribuzione
spettante” prevista per la pensione integrativa, trattandosi di mero
riconoscimento di differenze retributive, che erano fisiologicamente
destinate a venir meno, perché solo temporaneo può essere lo
svolgimento di fatto di mansioni superiori nel pubblico impiego ed
infatti queste, nella specie, sono venute meno dal 10 giugno 2004 al
pensionamento del 10 dicembre 2005.
Come osservato da Cass. n. 16506/2013, con argomentazione che si
condivide, con la locuzione “retribuzione spettante” 4può intendersi
tanto quella propria della qualifica da ultimo legittimamente rivestita
quanto quella corrispondente alle mansioni superiori da ultimo
assegnate seppur temporaneamente, nel senso che anche questa spetta
al lavoratore, sebbene solo se e nella misura in cui permanga
l’assegnazione temporanea. La prospettiva muta se la “spettanza” viene
vista in rapporto alla qualifica di appartenenza, poiché ad essa il
lavoratore ha indubbiamente diritto, mentre non ha diritto al
Ric. 2012 n. 20708 sez. ML – ud. 11-12-2014
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attribuito in relazione allo svolgimento di determinate funzioni o

mantenimento di superiori mansioni che, quantunque autorizzate, al di
fuori del meccanismo di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 non
danno automaticamente titolo alla qualifica superiore, ma
semplicemente diritto al relativo trattamento economico finché
permane l’assegnazione alle mansioni medesime” (sent. cit.). “Inoltre, il

dell’indennità di buonuscita alla retribuzione da ultimo percepita in
forza delle mansioni dirigenziali espletate in via di reggenza
temporanea (…), anziché alla retribuzione dell’ultima qualifica rivestita,
è una soluzione che si traduce in un sostanziale aggiramento del
disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, di fatto realizzando lo
stesso effetto che si sarebbe verificato se il dipendente avesse
regolarmente conseguito il superiore inquadramento nelle forme
previste dalla citata normativa. Per di più, darebbe luogo a risultati
iniqui e incoerenti con il sistema: ad esempio, la mera attribuzione di
mansioni superiori protrattasi per un certo tempo, ma poi non
ulteriormente mantenuta nel corso del rapporto di impiego, resterebbe
ininfluente ai fini del futuro calcolo della pensione diretta integrativa e
dell’indennità di buonuscita; analoga attribuzione di mansioni superiori
risulterebbe, invece, rilevante ai predetti fini se effettuata prima del
collocamento in quiescenza e conservata sino a tale momento, anche
se – in ipotesi – protrattasi per un periodo più breve” (sent. n.
16506/2013 cit.).
Sulla questione dello svolgimento delle mansioni dirigenziali dt
reggenza e l’incidenza ai fini dell’indennità di buonuscita, sono
intervenute, da ultimo, anche le Sezioni Unite di questa Corte che, con
la recente sentenza n. 10413 del 14 maggio 2014, hanno ribadito il
principio secondo cui nel regime dell’indennità di buonuscita spettante
ai sensi degli artt. 3 e 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, al
Ric. 2012 n. 20708 sez. ML – ud. 11-12-2014
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rapportare la liquidazione della pensione diretta integrativa e

pubblico dipendente, che non abbia conseguito la qualifica di dirigente
e che sia cessato dal servizio nell’esercizio di mansioni superiori in
ragione dell’affidamento di un incarico dirigenziale temporaneo di
reggenza ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nella base
di calcolo dell’indennità va considerato lo stipendio relativo alla

esercizio delle superiori mansioni di dirigente (tra le successive
conformi, Cass. ord. nn. 17512 e 25950 del 2014).
In considerazione di quanto sopra esposto, va disattesa la richiesta
di parte ricorrente di rimettere la questione alle Sezioni Unite o
comunque alla pubblica udienza, atteso che il riferito orientamento
interpretativo è stato ribadito anche con recenti pronunce di questa
Corte e che non vi è alcun contrasto giurisprudenziale da dirimere.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Le spese sono liquidate
nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi
professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del
compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10
marzo 2014, n. 55.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, che liquida in € 3.500,00 per compensi e €
100,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso forfettario delle
spese nella misura del 15%.
Così deciso nella Camera di consiglio del orno 11.12.14

qualifica di appartenenza e non quello corrisposto per il temporaneo

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