Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20068 del 24/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/09/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 24/09/2020), n.20068

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10435/2013 R.G. proposto da:

DARYKA s.r.l. in persona del suo legale rappresentante pro tempore

rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv. Paolandrea

Monticelli (PEC paolandrea.monticelli.pec.it) elettivamente

domiciliata in Roma alla via G.G. Porro n. 8 presso lo studio

dell’avv. Giancarlo Pizzoli;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania n. 70/17/12 depositata il 02/03/2012, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

26/02/2020 dal Consigliere Roberto Succio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha respinto l’appello della società contribuente e confermato la sentenza di primo grado che aveva confermato la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato, per IVA, IRAP e IRES 2005;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per Cassazione la società contribuente con ricorso affidato a cinque motivi e deposita memoria, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si censura la gravata sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, della L. n. 241 del 1990, art. 3, della L. n. 212 del 2000, art. 7, per avere la CTR ritenuto motivato l’atto impugnato e per omessa pronuncia non avendo la CTR pronunciato sul vizio di motivazione dell’atto impositivo;

– il motivo è sia inammissibile, sia infondato;

– invero, dalla sua concreta articolazione, si evince come esso sia diretto a colpire direttamente l’avviso di accertamento, e non la ratio decidendi della sentenza di seconde cure, che risulta quindi immune dalle censure;

– in ogni caso, il motivo non ha fondamento, poichè al punto 2, terzo capoverso, della sentenza gravata, si evince con sufficiente chiarezza che la CTR ha esaminato il profilo motivazionale dell’avviso di accertamento, ritenendo adeguato il richiamo, tra l’altro, alla condotta antieconomica del contribuente determinata dall’applicazione ingiustificata di un ricarico sui prodotti venduti manifestamente lontano da quello del settore merceologico di appartenenza e la vendita di una parte dei prodotti a prezzi inferiori al loro costo di acquisto, come ulteriormente nel prosieguo della sentenza precisa ancora la CTR;

– il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 148 del 1998, art. 10, comma 3 bis ed omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia per non essersi la CTR espressa in relazione alla mancanza di invito al contraddittorio e violazione dell’art. 24 Cost., per difetto di motivazione dell’avviso di accertamento sulle ragioni giustificative fornite dal contribuente;

– il motivo è inammissibile in quanto privo di collegamento con la ratio decidendi;

– infatti, dalla lettura della pronuncia impugnata si evince come l’avviso di accertamento fosse fondato non sulla applicazione dei c.d. “studi di settore”, ai quali trova applicazione la procedura di contraddittorio tra Ufficio e contribuente, ma ben diversamente sui meccanismi presuntivi di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), trattandosi quindi non di un accertamento da “studi di settore” ma di un accertamento di tipo “analitico-presuntivo”;

– pertanto, il motivo è fuori bersaglio rispetto alla ratio decidendi, e va dichiarato inammissibile;

– comunque, lo stesso è anche infondato, poichè (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 31814 del 05/12/2019) nel caso di accertamento basato esclusivamente sugli studi di settore, l’Amministrazione finanziaria è obbligata ad instaurare il contraddittorio preventivo con il contribuente ai sensi della L. n. 146 del 1998, art. 10, mentre detto obbligo non opera qualora l’accertamento si fondi anche su altri elementi giustificativi, quali riscontrate irregolarità contabili o antieconomiche gestioni aziendali;

– il terzo motivo di ricorso censura la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del d.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, in combinato disposto con l’art. 2729 c.c. per avere la CTR ritenuto legittimo il ricorso all’accertamento presuntivo sebbene in mancanza dei relativi presupposti e per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; secondo la prospettazione del ricorrente, in sintesi, la CTR avrebbe genericamente affermato l’antieconomicità della condotta del contribuente, senza far riferimento alla specifica realità dell’impresa sottoposta a controllo;

– il motivo è infondato;

– è orientamento costante di questa Corte ritenere che (tra le più recenti, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9084 del 07/04/2017; conforme proprio con riguardo al ricarico anche Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14370 del 09/06/2017) la tenuta della contabilità in maniera formalmente regolare non è di ostacolo alla rettifica delle dichiarazioni fiscali e, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento su base presuntiva, ed il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie;

– il quarto motivo si incentra sul vizio di motivazione della sentenza impugnata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per la mancata ammissione di un mezzo istruttorio e/o la svalutazione del suo valore probatorio e conseguente vizio del ragionamento posto a base della decisione che risulta incompleto, illogico e contraddittorio per non avere – in sintesi la CTR ritenuto sussistenti e provate le ragioni e le prove dedotte dal contribuente per dar conto delle giustificazioni in forza delle quali ha operato vendite sottocosto;

– il motivo è inammissibile;

– come già statuito da questo Corte (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 19547 del 04/08/2017) la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione;

– nel presente caso, il ricorrente si limita a richiedere una nuova valutazione delle prove in senso a sè favorevole; il che non è ammesso di fronte a questa Corte;

– il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, nonchè insufficiente motivazione per avere la CTR determinato il maggior volume di affari sulla base di una presunta percentuale media di settore errata e per contraddittoria applicazione della percentuale di ricarico; in sintesi il contribuente si duole della inattendibilità – stante la particolare attività da questi esercitata – delle risultanze della percentuale di ricarico applicata dall’Ufficio (20%) a fronte di quella dichiaratamente applicata dal contribuente;

– il motivo è infondato;

– sul punto questa Corte ha premesso come (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32129 del 12/12/2018) in tema di accertamento dei redditi di impresa, l’Ufficio può procedere a quello analitico-induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, anche in presenza di scritture formalmente regolari, ove la contabilità risulti complessivamente inattendibile sulla base di elementi indiziari gravi e precisi, come il sensibile scostamento delle percentuali di ricarico anche in relazione allo stesso periodo di imposta oggetto dell’accertamento;

– e nel dettaglio, con riguardo proprio alla rilevanza della percentuale di ricarico, si è anche precisato come (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 27552 del 30/10/2018) in tema di accertamento, l’Amministrazione finanziaria può determinare il reddito del contribuente in via induttiva, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, ove quest’ultima sia intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, che può desumersi anche da un unico elemento presuntivo, purchè preciso e grave, quale l’abnormità della percentuale di ricarico;

– nel presente caso, lo spropositato divario tra la percentuale in parola indicata dal contribuente (3.3%) e quella applicata dall’Ufficio (20%), alla luce di quanto sopra esposto, risulta elemento sufficiente a fondare l’accertamento e fungere da elemento di base idoneo per la rideterminazione del reddito;

– di fronte a ciò, la CTR ha nel merito accertato la insussistenza di elementi probatori di segno contrario addotti dal contribuente, di guisa che la pretesa di maggiori imposte risulta anche sotto questo profilo fondata;

– conclusivamente, il ricorso è rigettato;

– la soccombenza regola le spese del giudizio; va dato infine atto della sussistenza dei presupposti processuali per il c.d. “raddoppio” del contributo unificato per atti giudiziari.

PQM

rigetta il ricorso; liquida le spese in Euro 4.100,00 oltre a spese prenotate a debito che pone a carico di parte soccombente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020

 

 

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