Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20064 del 22/09/2010

Cassazione civile sez. I, 22/09/2010, (ud. 01/06/2010, dep. 22/09/2010), n.20064

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 30733/2007 proposto da:

F.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO

EMILIO 71, presso lo studio dell’avvocato MARCHETTI Alessandro, che

lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

sul ricorso 1329/2008 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrente incidentale –

contro

F.C.;

– intimato –

avverso il decreto n. 55/06 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO del

10.10.06, depositato il 31/10/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’1/06/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

udito per il ricorrente l’Avvocato Alessandro Marchetti che si

riporta agli scritti.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO che

ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo di ricorso, rigetto del

2^ e per l’inammissibilità del ricorso incidentale.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p.1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è del seguente tenore: “1.- Con decreto in data 31.10.2006 la Corte di appello di Campobasso ha parzialmente accolto la domanda di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 proposta da F.C. in relazione alla lamentata irragionevole durata della procedura fallimentare aperta dal Tribunale di Sulmona nei suoi confronti dal 21.2.1989, ancora pendente, e ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento in favore della parte ricorrente della somma di Euro 3.583,00, pari a Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, ritenuto irragionevole limitatamente al periodo dal giugno 1996 – epoca di cessazione dell’esercizio provvisorio – fino al gennaio 2000, data del sollecito del g.d. al curatore, seguito da intensa attività di rendicontazione.

Ha osservato, tra l’altro, la Corte di merito che l’iter della procedura era stato “caratterizzato da scansioni di ininterrotta pregnanza ai fini di assicurare la ricomposizione della massa attiva e l’individuazione della massa passiva del fallimento, nonchè dalla concessione al fallito dell’esercizio provvisorio dell’impresa, con congrua remunerazione del fallito medesimo”; la procedura era stata altresì caratterizzata, a tal fine, dal promovimento di contenziosi civile della cui durata non poteva farsi carico agli organi fallimentari. Tuttavia, si era verificata un’ingiustificata stasi della procedura, compresa tra il periodo (giugno 1996, quasi coincidente con la cessazione dell’esercizio provvisorio) nel quale a mezzo transazione era stata definita la vertenza civile più onerosa concernente causa di sfratto, e il primo sollecito di chiusura del fallimento, trasmesso dal Giudice Delegato al Curatore nei primi giorni dell’anno 2000, di nuovo seguito da intensa attività di rendicontazione.

Contro il predetto decreto il F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Resiste con controricorso il Ministero intimato il quale ha proposto, altresì, ricorso incidentale affidato a quattro motivi.

Osserva:

2. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 91 c.p.c. nonchè relativo vizio di motivazione in ordine alla limitazione della durata irragionevole al periodo compreso tra il 1996 e il 2000 su una procedura pendente da 17 anni, senza considerare l’inerzia degli organi della procedura dal 2000 al 2007. Inoltre, lamenta l’ingiustificata compensazione delle spese nonostante il rigetto di tutte le eccezioni formulate dall’Amministrazione.

Con il secondo motivo denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1 e 3, e dell’art. 41 CEDU e relativo vizio di motivazione in ordine alla determinazione dell’indennizzo – di cui lamenta l’esiguità – senza tenere conto delle incapacità del fallito e degli standard europei (1.000,00-1.500,00 Euro per anno di ritardo).

3.- Con il primo motivo del ricorso incidentale l’Amministrazione ricorrente denuncia violazione di legge deducendo che gli effetti negativi della dichiarazione di fallimento si producono per effetto della disciplina fallimentare e non sono ricollegabili alla durata della procedura, protraendosi anche oltre la chiusura del fallimento.

Con il secondo, il terzo e il quarto motivo denuncia vizio di motivazione.

4.- Il primo motivo del ricorso principale sembra manifestamente fondato alla luce della più recente giurisprudenza della S.C. secondo la quale (Sez. 1^, 3.6.2009) i criteri ed il parametro elaborati per i giudizi ordinari di cognizione, ovvero per il processo di esecuzione singolare, non sono meccanicamente estensibili alla procedura fallimentare. Secondo il più recente orientamento di questa Corte, occorre infatti tenere conto che questa è caratterizzata, di regola, da una peculiare complessità in considerazione sia della presenza – nella maggioranza dei casi – di una pluralità di creditori, sia della necessità di un numero di adempimenti non semplici (relativi all’accertamento dei crediti, alla individuazione e definizione dei rapporti in corso, al recupero dei crediti, alla ricostruzione dell’attivo, alla liquidazione), stabiliti proprio al fine e nel tentativo di realizzare al meglio i diritti dei creditori (Cass. n. 2195 del 2009; n. 8497 del 2008).

Dunque, la ragionevolezza impone che, nell’interesse anzitutto dei creditori, una siffatta complessa attività possa e debba essere svolta senza il rischio che un incongruo termine giustifichi e legittimi valutazioni giuridiche superficiali, sino a far privilegiare le soluzioni più rapide, eventualmente anche in danno della massa dei creditori.

Nel fissare il termine di ragionevole durata, nella valutazione della complessità della vicenda processuale, deve quindi tenersi conto delle fasi strumentali alla definizione dei rapporti e della liquidazione dei beni, rilevanti in quanto incidenti sulla complessità del caso, ferma restando la necessità di estendere il sindacato anche alla durata di dette cause, ed alle ragioni delle medesime, avuto riguardo alla loro obiettiva difficoltà ed alla mole dei necessari incombenti (Cass. n. 10074 del 2008; n. 20040 del 2006;

n. 29285 del 2005; n. 20275 del 2005), restando escluso che siano ascrivibili a disfunzioni dell’apparato giudiziario tutti i tempi occorsi per l’espletamento delle attività processuali correlate a valutazioni e determinazioni assunte dal giudice nella conduzione di detta procedura, non sindacabili nel giudizio di equa riparazione (Cass. n. 2248 del 2007).

Pertanto, la durata ragionevole del fallimento, all’evidenza, non è suscettibile di essere predeterminata ricorrendo allo stesso standard previsto per il processo ordinario, in quanto ciò è impedito dalla constatazione che il fallimento “è, esso stesso, un contenitore di processi”, con la conseguenza che la durata ragionevole stimata in tre anni può essere tenuta ferma solo nel caso di fallimento con unico creditore, o comunque con ceto creditorio limitato, senza profili contenziosi traducentisi in processi autonomi (Cass. n. 2195 del 2009).

Nel fissare il termine di ragionevole durata, occorre avere riguardo alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, considerando che detto giudice privilegia una valutazione “caso per caso”, che non rende agevole individuare un termine fisso (in relazione al giudizio civile ordinario è, quindi, possibile desumere soltanto in linea tendenziale che il termine di ragionevole durata è di tre anni).

Relativamente alle procedure fallimentari, il giudice europeo ha, quindi, ritenuto vulnerato detto termine in casi nei quali la violazione eccedeva in larga misura il limite di tre anni (in particolare, la durata era stata di: 15 anni, Seconda Sezione, sentenza del 10/6/2009, ricorso 6480/03; 19 anni, Seconda Sezione, sentenza dell’8/6/2009, ricorso 24824/03; 16 anni, Seconda Sezione, sentenza dell’8/6/2009, ricorso 13606/04; venti anni e sette mesi, sentenza del 18/12/2007, Seconda Sezione, ricorso 14448/03; ventitrè anni e tre mesi, sentenza del 3/07/2007, Seconda Sezione, ricorso 10347/02; 14 anni ed otto mesi, sentenza del 17/07/2003, Prima Sezione, ricorso 56298/00), nondimeno ha anche avuto cura di ribadire che occorre trovare un corretto equilibrio tra i differenti interessi in conflitto, affermando, in riferimento al soggetto sottoposto a procedura concorsuale, sia pure a fini in parte diversi, che talune limitazioni che lo riguardano non possono comunque eccedere i cinque anni (sentenza del 23/10/2007, Seconda Sezione, ricorso 4733/04;

sentenza del 20/09/2007, Seconda Sezione, ricorso 39638/04).

Peraltro, difformemente dalla decisione del 3.6.2009, innanzi richiamata, correggendo un’evidente errore materiale in essa contenuto (che indica in cinque anni lo standard di durata della procedura fallimentare), va conclusivamente affermato che alla luce dell’orientamento sopra riportato e degli elementi dianzi sintetizzati concernenti la procedura fallimentare, qualora non emergano elementi a conforto della particolare semplicità della medesima, può quindi identificarsi, in linea tendenziale, in anni sette il termine di ragionevole durata, entro il quale essa dovrebbe essere definita. Ciò tenuto conto della ragionevole durata per tre gradi di giudizio (sei anni) dei procedimenti incidentali nascenti dal fallimento nonchè dell’ulteriore termine necessario per il riparto dell’attivo (un anno).

Nella concreta fattispecie la motivazione del provvedimento impugnato non si sottrae a censura nella parte in cui omette di spiegare perchè l'”intensa attività di rendicontazione”, iniziata dal gennaio 2000, si è ragionevolmente protratta senza determinare la chiusura del fallimento, ancora pendente al momento della proposizione della domanda di equa riparazione.

Appare, invece, manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso alla luce della più recente giurisprudenza della S.C. secondo la quale, relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va osservato che, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di farne apprezzare la peculiare rilevanza, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce di quelle operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, impone di stabilirla, di regola, nell’importo non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n 16086 del 2009, i cui principi vanno confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno.

Nel resto la censura fa riferimento agli effetti negativi della dichiarazione di fallimento sul debitore che, secondo la giurisprudenza della Corte europea, violano (con riferimento alle procedure iniziate prima della riforma) i diritti di cui all’art. 8 CEDU ed esulano dalla disciplina di cui alla L. n. 89 del 2001.

5.- Quanto al ricorso incidentale, sembra manifestamente infondata la prima censura perchè da sempre la Corte europea considera la circostanza per cui gli “effetti negativi della dichiarazione di fallimento si producono per effetto della disciplina fallimentare e non sono ricollegabili alla durata della procedura, protraendosi anche oltre la chiusura del fallimento” come idonea giustificare una più sollecita trattazione delle procedure concorsuali e non certo per escludere il fallimento dall’ambito di operatività dell’art. 6 CEDU. Tutte le altre censure, attinenti a vizi di motivazione, appaiono inammissibili per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., mancando la chiara sintesi del fatto controverso richiesta da tale ultima norma”.

p.2.- Il Collegio condivide e fa proprie le conclusioni della relazione e le argomentazioni che la sorreggono e che conducono al parziale accoglimento del ricorso e al rigetto del ricorso incidentale.

Cassato il decreto impugnato, poichè alla data della presentazione della domanda di equa riparazione erano trascorsi oltre 17 anni dall’apertura del fallimento, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte può decidere nel merito ex art. 384 c.p.c. e liquidare al ricorrente – conformemente ai criteri accolti dalla giurisprudenza di legittimità e della CEDU – la somma di Euro 9.250,00 a titolo di equa riparazione per danno non patrimoniale per la durata irragionevole pari a dieci anni circa.

Le spese del giudizio di merito e di quello di legittimità – liquidate in dispositivo – vanno poste a carico dell’Amministrazione soccombente.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il secondo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale. Accoglie il primo motivo del ricorso principale, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., condanna l’Amministrazione resistente al pagamento in favore del ricorrente della complessiva somma di Euro 9.250,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti e euro 490,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario; e per il giudizio di legittimità in Euro 965,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 1 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2010

 

 

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