Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20064 del 06/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 06/10/2016, (ud. 20/07/2016, dep. 06/10/2016), n.20064

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1443/2014 proposto da:

V.A.S., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FLAMINIA 109, presso lo studio dell’Avv. FONTANA GIUSEPPE,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIO RUSCONI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326 presso lo studio degli avvocati

RENATO SCOGNAMIGLIO e CLAUDIO SCOGNAMIGLIO, che la rappresentano e

difendono giusta procura speciale notarile in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 350/2013 della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE,

depositata il 15/07/2013 r.g.n. 937/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/07/2016 dal Consigliere Dott. BALESTRIERI FEDERICO;

Udito l’Avvocato PORCELLI VINCENZO per delega Avvocato SCOGNAMIGLIO

RENATO;

Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 645/12 il Tribunale di Firenze respinse il ricorso proposto dal V., con cui venne impugnato il licenziamento disciplinare intimatogli dalla Banca Nazionale del lavoro s.p.a. in data (OMISSIS).

Il lavoratore aveva lamentato la durata eccessiva del procedimento disciplinare, iniziato con contestazione del 9.12.09 e quindi con successiva del 13.12.10, in violazione dell’obbligo di correttezza e buona fede.

Si doleva altresì il lavoratore della violazione del diritto di difesa che ere stato, a suo dire, violato che il datore di lavoro gli aveva in ogni modo precluso, nonostante la corposità della seconda contestazione disciplinare, non solo di acquisire copia della relativa documentazione, ma anche di prenderne visione. Il Tribunale respingeva il ricorso ritenendo ragionevole il tempo intercorso tra la prima contestazione ed il licenziamento, stante la complessità delle operazioni addebitate, escludendo il diritto alla copia degli atti, ritenendo sufficiente la consultazione dei medesimi, assicurata al lavoratore.

Avverso tale sentenza proponeva appello il V.. Resisteva la Banca.

Con sentenza depositata il 15 luglio 2013, la Corte d’appello di Firenze respingeva il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il V., affidato a tre motivi. Resiste la Banca con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione ai passaggi della sentenza che asseriscono, infondatamente, che il ricorrente non avrebbe contestato la relazione ispettiva della Banca ed in relazione agli ulteriori passaggi della sentenza che fondano su tale relazione elementi di prova a carico del ricorrente, dolendosi comunque della accertata tempestività della procedura disciplinare.

Lamenta che la sentenza impugnata, alla pag. 3, riferisce di presunte indagini, che la banca avrebbe condotto, durante il lungo periodo successivo alla prima contestazione con sospensione cautelativa (del (OMISSIS)), fondando argomenti sul “rapporto della funzione di BNL allegato da parte della banca”. Contesta altresì l’affermazione secondo cui questa documentazione non è mai stata specificamente contestata nel suo contenuto dalla difesa nè può ritenersi inaffidabile perchè redatta dalla stessa parte processuale che se ne è intesa avvalere”…. Lamenta ancora che, secondo la sentenza impugnata: “La relazione dà contezza delle posizioni studiate…. Delle verifiche compiute e dei relativi tempi di svolgimento”, ed inoltre che: “gli accertamenti compiuti dalla banca, e che sfociarono nella seconda contestazione, sono stati, come evincibile dal doc. 11 di BNL, sostanziosi e, nello stesso tempo, l’articolazione strutturale della stessa (contestazione) non avrebbe consentito verifiche informali, magari più sbrigative”.

In sostanza, deduce il ricorrente, la sentenza si basa sulla non veritiera circostanza della mancata contestazione degli addebiti da parte del lavoratore e sulla, parimenti erronea, tempestività del procedimento disciplinare.

Il motivo è inammissibile.

Deve infatti considerarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicchè quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053), coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi ricorrente nel caso in esame) Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione (rimessi all’apprezzamento del giudice di merito: quanto alla proporzionalità della sanzione cfr. Cass. n. 8293/12, Cass. n. 144/08, Cass. n. 21965/07, Cass. n. 24349/06; quanto alla gravità dell’inadempimento, cfr. Cass n. 1788/11, Cass. n. 7948/11) ineriscono ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, ivi compresa la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c., vizio limitato al generale controllo motivazionale (quanto alle sentenze impugnate depositate prima dell’11.9.12) e successivamente all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Deve allora rimarcarsi che “…Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881). Il ricorso non rispetta il dettato di cui al novellato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa, ampiamente valutate dalla Corte di merito, ivi compresa la solo,generica contestazione degli addebiti.

2. – Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2702 e 2697 c.c. “in relazione ai passaggi della sentenza che fondano sulla relazione ispettiva della stessa banca elementi di prova a favore della stessa circa la non intempestività della procedura disciplinare”.

3. – Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2119, 1175 e 1375 c.c., L. n. 300 del 1970, art. 7, e 40 CCNL credito applicato al rapporto “in relazione ai passaggi della sentenza che negano che la procedura disciplinare, aperta con la contestazione del (OMISSIS) e conclusa con il licenziamento per giusta causa del 14.6.2011, sia viziata per intempestività e violazione, da parte della datrice di lavoro, dei canoni di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto”.

4. – I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, presentano evidenti profili di inammissibilità, in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risolvendosi nella richiesta di una diversa ricostruzione dei fatti da parte di questa Corte, e risultano, per il resto, infondati.

La sentenza impugnata ha infatti chiarito, quanto alla relazione ispettiva, che trattavasi di rapporto ufficiale redatto dai funzionari addetti all’unità supporto frodi, in epoca precedente la lite giudiziaria e dunque non di atto meramente formato dalla Banca resistente ai fini della difesa; che tale rapporto non risultava essere stato, se non genericamente, adeguatamente e specificamente, contestato dal V..

Quanto alla tempestività della procedura disciplinare deve rilevarsi che la sentenza impugnata ha decisivamente osservato, oltre alla pacifica relatività del concetto di immediatezza (da valutarsi con riferimento alla complessità delle indagini e dei fatti contestati -nella specie ammessa dallo stesso lavoratore che al riguardo si era lamentato della mancata messa a disposizione della copiosa documentazione inerente gli addebiti mossigli, pagg. 3 – 4 sentenza impugnata – nonchè della struttura organizzativa della datrice di lavoro) che nella specie il V. era stato, pressochè immediatamente, sospeso cautelativamente dal servizio dopo la prima contestazione disciplinare del dicembre 2009, rimanendo sospeso sino alla definizione dell’intero procedimento disciplinare, sicchè non poteva ritenersi in ogni caso il comportamento della Banca inerte e tale da indurre (cfr., ex aliis, Cass. n. 15649/10) il lavoratore a ritenere che il datore di lavoro avesse rinunciato alla reazione disciplinare.

Non risulta infine ammissibile la doglianza inerente la durata della sospensione cautelare, ex art. 40 del c.c.n.l. di categoria, nulla risultando al riguardo dalla sentenza impugnata e non deducendo, nè documentando, il ricorrente l’avvenuta rituale proposizione in sede di merito della questione.

Nè meritevole di accoglimento risulta l’ultima doglianza con cui il lavoratore lamenta che la sentenza impugnata ritenne legittimo non mettere a disposizione dell’incolpato l’intera documentazione in possesso della Banca, inerenti i fatti contestati.

La sentenza impugnata si è infatti attenuta ai principi affermati in materia da questa S.C. e cioè che nel procedimento disciplinare la L. 25 maggio 1970, n. 300, art. 7, non prevede un obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore, nei cui confronti sia stata elevata una contestazione, la documentazione su cui essa si basa, essendo tuttavia tenuto, in base ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, ad offrire in consultazione i documenti aziendali all’incolpato che ne faccia richiesta, laddove l’esame degli stessi sia necessario per predisporre un’adeguata difesa (cfr. da ultimo Cass. n. 6337 /13), gravando evidentemente sul lavoratore la prova, che nella specie non risulta essere stata fornita, della necessità di tale documentazione, indicando a tal fine gli specifici documenti allo scopo necessari (cfr., ex aliis, Cass. n. 23304/10).

Nella specie la sentenza impugnata ha evidenziato che il ricorrente si era limitato a dolersi genericamente della mancata esibizione o messa a disposizione della documentazione inerente il procedimento disciplinare, escludendo così correttamente la fondatezza della censura.

5. – Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 luglio 2016.ù

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2016

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