Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20060 del 24/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/09/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 24/09/2020), n.20060

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 2981-2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale

dello Stato domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12.

– ricorrente –

contro

L.R.S. rappresentato e difeso dagli avv.ti Armando De

Bonis e Oreste Zottol elettivamente domiciliato presso lo studio del

primo in Roma via Tirso n. 101;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 1085/39/10 depositata il 13/12/2010;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 19/12/2019

dal Consigliere Dott. Pandolfi Catello;

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio-sezione di Latina n. 1085/39/10 depositata il 13 dicembre 2010.

La vicenda trae origine della notifica a L.R.S., titolare del ristorante La Fornacella, di due avvisi di accertamento relativi agli anni 2002 e 2003, con cui l’Amministrazione aveva contestato maggiori ricavi non dichiarati, valutati ai fini IRAP, IRPEF e IVA.

Il contribuente opponeva gli atti impositivi con esito favorevole in entrambi i gradi di merito. L’Ufficio impugnava la sentenza del giudice regionale ponendo a base del ricorso tre motivi.

Ha resistito il contribuente con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

In primo luogo è da ritenere infondata l’eccezione di tardività dell’impugnazione sollevata dal resistente.

Infatti, nel caso in esame, ai fini del computo del termine è da tener conto di quanto disposto dal D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, lett. c).

Tale norme disponeva, infatti, la sospensione dei termini pendenti per appellare o impugnare, dal 6 luglio 2011 al 30 giugno 2012.

Ora, la sentenza della CTR del Lazio-sezione di Latina, è stata depositata il 13 dicembre 2010.

Il termine per la sua impugnazione ha iniziato a decorrere dal 14 dicembre 2010 al 5 luglio 2011, pari a gg. 204, per poi essere sospeso dal 6 luglio 2011 al 30 giugno 2012.

Pertanto, decorsi i 31 giornoi del mese di luglio 2012, espunti gg. 46 per il periodo feriale, il termine ha ripreso a decorrere dopo il 15 settembre 2012; per cui alla data del 21/01/2013, data della spedizione del ricorso in esame, il periodo da considerare è pari a gg.128, da aggiungere a gg.235 già decorsi, per complessivi giorni 363.

Il termine di un anno per impugnare, vigente per i giudizi introdotti in data antecedente al 4 luglio 2009, è, quindi, rispettato.

Ciò chiarito, il ricorso nel merito è da ritenere fondato.

L’Ufficio lamenta carenza di motivazione in quanto il giudice regionale non avrebbe esaminato adeguatamente le circostanze dedotte in base alle quali riteneva che la capacità contributiva del resistente, esercente attività di ristorazione e di caffetteria, fosse per gli anni d’imposta 2002 e 2003, superiore a quella risultante da quanto dichiarato.

In particolare, dallo stralcio dell’appello riportato nel ricorso, le circostanze a cui l’amministrazione aveva attribuito una valenza sintomatica della sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati possono indicarsi:

a) nella inverosimile mancata indicazione di rimanenze di caffè, zucchero, the, olio, cioè, di prodotti oggettivamente primari ed essenziali per assicurare il servizio di ristorazione e caffetteria senza soluzione di continuità;

b) nella preminente destinazione di alcuni prodotti, quali il vino, non alla clientela, ma all’autoconsumo da parte dello stesso resistente, del suo nucleo familiare e dei suoi collaboratori, in misura tale da rendere marginale ed antieconomica la percentuale residua assorbita dall’attività commerciale;

c) nel fatto che le ricevute, prodotte dal contribuente, fossero redatte in modo tale da non consentire la determinazione del numero dei pasti somministrati;

d) nella ricostruzione in modo indiretto dei ricavi da parte dei verificatori.

Circostanze quelle dedotte dall’Amministrazione che rendevano palese come la contabilità del contribuente, per il 2002 e 2003, non apparisse ai funzionari, totalmente attendibile e che rendevano (quelle stesse circostanze) agevolmente desumibile che l’accertamento, di conseguenza, fosse di tipo analitico-induttivo.

Non è, pertanto, condivisibile quanto sostenuto dalla CTR, secondo cui, a riprova dell’insufficiente motivazione dell’avviso di accertamento, l’inattendibilità della contabilità e l’indicazione della metodologia della verifica fossero state affermate, per la prima volta, in appello.

Nè è significativa la notazione della CTR secondo cui “la contabilità controllata non ha fatto emergere irregolarità e/o infrazioni a norma di legge”, posto che il ricorso all’accertamento analitico-induttivo non è escluso pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette (ex multis Cass. Sez. 5, 30/10/2018, n. 27552).

In definitiva, ai fatti-indice dedotti dall’Ufficio, il Giudice regionale non ha dedicato alcuna valutazione, anche solo per confutarne la valenza, malgrado tali singolarità fossero richiamate nella parte narrativa della stessa sentenza al fine riassumere i motivi dell’appello, ma poi ignorate in motivazione.

Considerata l’oggettiva elevata potenzialità indiziaria delle suddette circostanze, il totale silenzio sulle stesse determina un deficit motivazionale della pronuncia, censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione vigente ratione tempiris. Giungendo, la Commissione regionale, a ritenere “…non condivisibili le motivazioni addotte a sostegno degli atti di appello da parte dell’Ufficio” senza aver esplicitato le ragioni per le quali quelle motivazioni non costituissero presunzioni gravi, precise e concordanti.

Al riguardo, questa Corte ha più volte affermato che: “In tema di accertamento tributario….. le false indicazioni…. possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare,

singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti

dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 c.c. e s.s. e art. 2697 c.c., comma 2″ (Sez. 6 – 5, 07/06/2017, n. 14237).

Il giudice regionale non si è, invece, attenuto al principio di dover valutare gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione e di dare atto in motivazione del risultato del proprio giudizio.

Il primo motivo di ricorso è, pertanto, fondato.

Con il secondo motivo, l’Ufficio confuta la motivazione della decisione impugnata nella parte in cui ha dato risalto, per trarne motivi di illegittimità dell’atto impositivo, ai mancati rilievi, da parte dei verificatori, di irregolarità della contabilità controllata, alle tardive deduzioni sulla inattendibilità delle scritture e alle, anch’esse tardive, precisazioni sulla tipologia dell’accertamento espletato. Il motivo può ritersi assorbito dal primo, per essere stati, con il suo esame, i suddetti aspetti già criticamente valutati.

Con il terzo motivo, la ricorrente contesta l’affermazione di nullità dell’accertamento ravvisata dalla Commissione regionale nella mancata indicazione, nell’avviso, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma.

Il motivo è fondato in quanto l’omessa indicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma, non ha impedito al contribuente di desumere dall’atto gli elementi essenziali per inquadrare i termini e la causale della pretesa impositiva. Nè sono stati dedotti, dalla lamentata omissione, altri profili ritenuti pregiudizievoli all’esercizio del diritto di difesa.

Inoltre, nel caso di specie, il contribuente, dall’esame del p.v.c inglobato nell’avviso di accertamento e anche dal contatto diretto con l’Ufficio, conseguente al contraddittorio instauratosi nel corso del tentativo (ancorchè infruttuoso) di accertamento con adesione, ha potuto avere, ancor più, piena cognizione della tipologia di verifica espletata dall’Amministrazione, anche desumendola dalla ricostruzione indiretta dei ricavi.

Pertanto, il primo e il terzo motivo di ricorso sono da ritenere fondati, assorbito il secondo. La sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio-sezione di Latina, in diversa composizione, per il riesame della causa nei termini indicati in motivazione, oltre che per la definizione delle spese.

PQM

Accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale del Lazio-sezione di Latina, in diversa composizione, per il riesame, nei termini indicati in motivazione, oltre che per la definizione sulle spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 24 settembre 2020

 

 

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