Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20060 del 02/09/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 20060 Anno 2013
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: CARLUCCIO GIUSEPPA

SENTENZA

sul ricorso 29261-2007 proposto da:
SESIR S.R.L. IN LIQUIDAZIONE 05502261001 in persona
del legale rappresentante liquidatore Rag. AUGUSTO
OLIVIERI, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
MAGNAGRECIA 13, presso lo studio dell’avvocato DI
LASCIO SEBASTIANO, che la rappresenta e difende
giusta delega in atti;
– ricorrente contro

AZZARI

ROBERTO

ZZRRRT67D01H501T,

elettivamente

domiciliato in ROMA, LARGO BRINDISI 11, presso lo

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Data pubblicazione: 02/09/2013

studio dell’avvocato BOCCUCCIA ANTONIO,

che lo

rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 10426/2007 del TRIBUNALE di
ROMA, depositata il 23/05/2007, R.G.N. 50221/2005;

udienza del 20/06/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA
CARLUCCIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso
per l’inammissibilità in subordine per il rigetto del
ricorso;

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udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.11 Giudice di pace di Roma ingiunse a Roberto Azzari di pagare euro
1.682,75 alla società Sesir srl, in forza di un contratto di iscrizione del
figlio ad una scuola di cui era proprietaria la società.
L’opposizione – proposta da Azzari (con atto notificato il 6 aprile 2004),
nella quale era stata avanzata domanda riconvenzionale per euro
260,00 – fu dichiarata dal Giudice di pace inammissibile per tardività.

l’opposizione a decreto ingiuntivo e, decidendo nel merito, revocò il
decreto ingiuntivo; in accoglimento della riconvenzionale, condannò la
società al pagamento di euro 260,00 in favore di Azzari (sentenza del 23
maggio 2007).
2. Avverso la suddetta sentenza, la società creditrice ricorre per
cassazione con quattro motivi.
Azzari resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminare è il profilo in ordine alla tempestività dell’opposizione a
decreto ingiuntivo.
Il Tribunale, riformando la decisione del giudice di pace, ha ritenuto
l’opposizione tempestiva.
Ha ritenuto la nullità della notificazione a mezzo posta del decreto
ingiuntivo, sanata dall’avvenuta opposizione, ma con l’effetto di
impedire di ritenere tardiva l’opposizione.
Ha individuato tale nullità della notifica del decreto ingiuntivo nella
circostanza che dall’a.r. relativo alla notificazione mezzo posta non
risultano i motivi per i quali l’atto notificando sarebbe stato depositato
all’ufficio postale – ove la notifica si sarebbe perfezionata per compiuta
giacenza il 10° giorno successivo al deposito – invece di essere
consegnato al destinatario o alle persone indicate nell’art. 7 I. n. 890 del
1982.
Secondo il giudice, la suddetta nullità rende irrilevante che la compiuta
giacenza si sia verificata al 10° giorno dal deposito (il 14 febbraio 2004),
con restituzione il 25 successivo del solo avviso di ricevimento all’ufficio
postale di spedizione, e non del plico rimasto presso l’ufficio postale,
dove veniva ritirato dal destinatario il 27 febbraio 2004, unitamente alla

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Il Tribunale di Roma, adito dal debitore opponente, ritenne ammissibile

seconda raccomandata di comunicazione del deposito del plico non
ritirato (sentenza del 23 maggio 2007).
2. La società ricorrente impugna tale parte della decisione con i primi tre
motivi di ricorso.
Con il primo deduce la violazione degli artt. 641 e 156 cod. proc. civ.
unitamente a vizi motivazionali. Si conclude con il seguente
quesito:«se la notifica di un d.i. eseguita a mezzo posta è affetta da

giunge regolarmente a conoscenza del destinatario, raggiungendo il suo
scopo, può la data di notifica che, ex art. 8 c. IV I. n. 890 del 1982
(deve coincidere col 10 0 giorno dalla data di deposito del plico) ritenersi
prorogata ad una data posteriore e restituire validità ad una opposizione
inammissibile perché presentata oltre il 40° giorno?».
Con il secondo motivo, si deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.,
per aver il giudice motivato l’accoglimento dell’appello in ordine alla
tempestività dell’opposizione a decreto ingiuntivo con argomentazioni
diverse da quelle dell’appellante.
Con il terzo si deduce errata interpretazione degli artt. 7 e 8 della legge
n. 890 del 1992 (recte 1982). Con il quesito di diritto si chiede se, nel
caso di mancata consegna al destinatario del plico postale, per essere
valida la notifica, nella cartolina che l’ufficio postale restituisce al
mittente per compiuta giacenza devono essere indicati i motivi per i
quali l’atto sarebbe stato depositato presso l’ufficio postale.
2.1. Tutti i motivi sono inammissibili.
In generale, deve rilevarsi la violazione del 366 n. 6 cod. proc. civ.;
manca nel ricorso l’esatta indicazione dei documenti relativi alla notifica
rispetto alla loro collocazione negli atti processuali; né gli stessi
documenti sono riprodotti nel ricorso.
In particolare, quanto al primo motivo, il quesito che lo conclude, si
sostanzia in un interrogativo generico alla Corte, non correlato ai fatti,
come accertati dal giudice del merito, nel senso della nullità della
notifica e della tardiva ricezione dell’atto notificando mediante ritiro;
mentre, il quesito sembra presupporre la regolare conoscenza dell’atto
notificando nonostante la nullità della notifica.

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nullità per omissione di formalità da parte dell’Ufficio Postale, ma l’atto

Inoltre, manca, il momento di sintesi o quesito di fatto in relazione al
dedotto difetto motivazionale.
Quanto al secondo, il quesito è generico, non indicando quale profilo
l’opponente aveva fatto valere ai fini della nullità della notificazione, tale
da determinare ultrapetizione.
Quanto al

terzo, il quesito è astratto e non indica l’erronea

interpretazione del giudice di appello.

civ., secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di legittimità.
Infatti, il quesito di diritto deve essere formulato in modo tale da
esplicitare una sintesi logico giuridica della questione, così da consentire
al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di
applicazione anche in casi ulteriori, rispetto a quello deciso dalla
sentenza impugnata. Esso deve comprendere: a) la riassuntiva
esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito
(siccome da questi ritenuti per veri, mancando, altrimenti, la critica di
pertinenza alla ratio decidendi della sentenza impugnata) b) la sintetica
indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa
regola di diritto applicabile che – ad avviso del ricorrente – si sarebbe
dovuta applicare al caso di specie. Il quesito, quindi, non deve risolversi
in una enunciazione di carattere generico e astratto, priva di qualunque
indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla
fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a
definire la causa nel senso voluto dal ricorrente; né si può desumere il
quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo,
pena la sostanziale abrogazione della norma.
Inoltre, il ricorrente che denunci un vizio di motivazione della sentenza
impugnata è tenuto – nel confezionamento del relativo motivo – a
formulare in riferimento alla anzidetta censura, un c.d. quesito di fatto,
e cioè indicare chiaramente, in modo sintetico, evidente e autonomo, il
fatto controverso rispetto al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, così come le ragioni per le quali la dedotta insufficienza
della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. A tale fine
è necessaria la enucleazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico
passaggio espositivo del ricorso nel quale tutto ciò risalti in modo non

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In conclusione, tutti i suddetti motivi violano l’art. 366 bis cod. proc.

equivoco. Tale requisito, infine, non può ritenersi rispettato allorquando
solo la completa lettura della illustrazione del motivo – all’esito di una
interpretazione svolta dal lettore, anziché su indicazione della parte
ricorrente – consenta di comprendere il contenuto e il significato delle
censure, atteso che la Corte, in ragione del carattere vincolato della
critica che può essere rivolta alla sentenza impugnata, deve essere
posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito di

3. Con il quarto motivo si censura il merito della decisione, deducendo la
violazione dell’art. 1469 quinquies n. 3 cod. civ. con riferimento all’art.
1469 bis n. 6 cod. civ. e difetto di motivazione.
3.1. Il motivo è inammissibile; manca del tutto il quesito di diritto e il
momento di sintesi o quesito di fatto.
Valgono le considerazioni di cui al pargrafo che precede.
4. In definitiva, il ricorso è inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate, sulla base dei
parametri vigenti di cui al d.m. n. 140 del 2012.
P.Q. M .
LA CORTE DI CASSAZIONE
dichiara inammissibile il ricorso; condanna la società ricorrente al
pagamento, in favore del controricorrente, delle spese processuali del
giudizio di cassazione, liquidate in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per
spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2013

Il consigliere estensore

fatto, quale sia l’errore commesso dal giudice del merito.

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