Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2006 del 26/01/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 2006 Anno 2018
Presidente: CHINDEMI DOMENICO
Relatore: ZOSO LIANA MARIA TERESA

SENTENZA
sul ricorso 18991-2010 proposto da:
SILEI & SILEI DI GIANNI E RIZIERO SILEI SNC in persona
dell’Amm.re Unico e legale rappresentante pro tempore,
SILEI RIZIERO in proprio, elettivamente domiciliati in
ROMA V.LE DEI PARIOLI 76, presso lo studio
dell’avvocato SEVERINO D’AMORE, che li rappresenta e
difende giusta delega a margine;
– ricorrenti contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI PALESTRINA in persona
del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

Data pubblicazione: 26/01/2018

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente nonchè contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, MIRTI ANGELO;
– intimati –

di ROMA, depositata il 28/05/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/01/2018 dal Consigliere Dott. LIANA
MARIA TERESA ZOSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso per
il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato D’AMORE che ha
chiesto l’accoglimento.

avverso la sentenza n. 134/2009 della COMM.TRIB.REG.

R.G. 18991/2010
ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA
1.

La società Silei & Silei

s.n.c. Di Gianni e Riziero Silei impugnava l’avviso di

accertamento con cui l’agenzia delle entrate aveva accertato un maggior volume di ricavi per
l’anno 2000 di lire 98.402.000 rettificando il reddito d’impresa con l’annullamento della perdita
dichiarata di lire 71.563.000 e l’attribuzione dell’utile di lire 26.839.000. I soci Riziero Silei e
Angelo Mirti impugnavano gli avvisi di accertamento loro notificati con cui era stato rettificato il

Roma riuniva i ricorsi e li accoglieva parzialmente dichiarando l’insussistenza dei maggiori
ricavi accertati e rideterminando le perdite da lire 71.563.000 a lire 50.260.000. Proposto
appello da parte dell’agenzia delle entrate, la commissione tributaria regionale del Lazio lo
accoglieva sul rilievo che sussisteva la presunzione di cessione prevista dall’articolo 1 del d.p.r.
441/1997 con riguardo ai beni che non erano stati rinvenuti nel magazzino in quanto detta
presunzione non poteva ritenersi superata data l’inosservanza, da parte dei contribuenti, degli
adempimenti stabiliti dall’articolo 2 del d.p.r. 441/97, necessari per documentare la
distruzione. Non era possibile, poi, scorgere alcuna differenza sostanziale o giuridica tra beni
da rottannare in quanto obsoleti e beni da distruggere ai sensi della normativa prevista dal
d.p.r. 441/1997.
2. Avverso la sentenza della CTR hanno proposto ricorso per cassazione la società Silei &
Silei s.n.c. di Gianni e Riziero Silei nonché Riziero Silei formulando tre motivi. Ha resistito con
controricorso l’agenzia delle entrate. Questa Corte ha disposto l’integrazione del contraddittorio
nei confronti di Angelo Mirti.
3. Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione di legge, ai sensi dell’art. 360,
comma 1, n. 3 cod. proc. civ., in relazione agli articoli 112, 115 e 116 cod. proc. civ. e 2697
cod. civ.. Sostengono che l’ufficio ha fondato l’accertamento sul presupposto della esigua
percentuale di ricavo ritraibile dalla cessione dei beni, posto che in soli tre viaggi sarebbe stato
impossibile trasferire l’enorme carico da rottamare ed, inoltre, sul presupposto che la società
non aveva compilato il prospetto relativo agli studi di settore che avrebbe dato un risultato di
non congruità rispetto a quanto dichiarato. Secondo gli appellanti il ricorso allo studio di
settore non è sufficiente per affermare la fondatezza della pretesa erariale in presenza di
documentazione idonea a provare la cessione dei beni ad un determinato prezzo.
4. Con il secondo motivo deducono violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.
3 cod. proc. civ., in relazione agli articoli 116 cod. proc. civ. , 1 e 2 dpr 441/97 nonché vizio di
motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., in quanto la CTR non ha
considerato che l’Ufficio avrebbe dovuto provare che la documentazione afferente le operazioni
di cessione e di trasporto dei beni non era attendibile mentre esso non aveva mai contestato i
valori portati dalle fatture ed i relativi pagamenti, documenti tutti da cui si evinceva che era
1

reddito di partecipazione nella società per l’anno 2000. La commissione tributaria provinciale di

avvenuta la cessione dei beni. Avendo l’ufficio fondato l’accertamento sull’asserita esigua
percentuale di ricavi, era inammissibile il motivo d’appello fondato sugli articoli 1 e seguenti
del d.p.r. 441/97, che attengono alla distruzione e/o rottamazione dei beni, posto che si
doveva considerare definitivamente accertata la loro cessione. Nel caso di specie non si era
trattato di distruzione ma di normale vendita di beni obsoleti effettuata al valore congruo di
mercato e la vendita medesima era avvenuta con regolare fattura mentre, qualora la
contribuente avesse voluto distruggere i beni, non avrebbe fatto ricorso alla cessione a titolo
oneroso ma avrebbe effettuato le comunicazioni previste dal d.p.r. 441/97. Ne conseguiva che

non aveva provveduto a stornare i proventi incassati dai contribuenti dalla vendita. La CTR era,
dunque, incorsa in confusione perché non aveva scorto la differenza tra distruzione,
rottamazione e cessione dei beni laddove i contribuenti avevano provato la cessione con
documenti mai contestati dall’Ufficio.
5. Con il terzo motivo deducono contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 360,
comma 1, n. 5 cod. proc. civ., perché da un lato la CTR ha affermato che non esisteva alcuna
normativa che obbligasse i contribuenti ad eliminare beni obsoleti dal magazzino laddove non
rientrassero entro determinati parametri, dall’altra ha compensato le spese di lite sul
presupposto che sussistevano giuste ragioni, considerate le particolari difficoltà tecniche e
materiali per l’adeguamento delle giacenze di magazzino ai criteri prescritti dalla normativa
vigente.

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Osserva la Corte che va esaminato per primo il secondo motivo di ricorso in quanto
avente natura assorbente degli altri motivi. L’eccezione svolta dalla controricorrente relativa
alla inammissibilità del motivo proposto in quanto contiene distinte censure, riferite alle diverse
ipotesi di cui ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., è infondata. Infatti, in tema di ricorso per
cassazione, la configurazione formale della rubrica del motivo di gravame non ha contenuto
vincolante per la qualificazione del vizio denunciato, poiché è solo la esposizione delle ragioni
di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto
della censura. Ciò in quanto il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure
espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, comma 1, c.p.c., deve essere bensì
articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle
cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, ma non è necessaria
l’adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi.
Il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali
avrebbe potuto essere prospettato come autonomo motivo, non costituisce, dunque, ragione
d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del
ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate
2

era illogica la qualificazione dell’operazione come distruzione quando, nel contempo, l’ufficio

onde consentirne, se necessario, l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si
sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati
(Cass..S.U. n. 9100 6/5/2015; Cass. S.U. n. 17931 del 24//2013; Cass. n. 17514 del 2/9/2016
). Ciò posto, la CTR ha affermato in sentenza che non vi è differenza alcuna tra beni da
rottamare in quanto obsoleti e beni da distruggere ai sensi degli artt.

1 e seguenti del d.p.r.

441/1997 ed ha concluso che non era superata la presunzione di cessione di cui all’art. 1 del
d.p.r. citato in quanto non erano stati posti in essere gli adempimenti richiesti dal successivo

obsoleti a prezzo basso – operazione del tutto lecita potendo, semmai, essere contestata la
veridicità delle scritture contabili – con quello di distruzione degli stessi. Inoltre la CTR non ha
dato conto delle ragioni per le quali si doveva ritenere che i beni fossero stati ceduti al prezzo
normale di mercato ( operando la presunzione di cui all’art. 1 d.p.r. 441/97 in difetto di idonea
documentazione che provasse la distruzione ) e non, invece, che si trattava di cessione a terzi
di beni obsoleti, per il che sarebbe stato giustificato il basso prezzo di cessione.
Il ricorso va, dunque, accolto e l’impugnata decisione va cassata con rinvio alla
Commissione Tributaria Regionale del Lazio in diversa composizione che, adeguandosi ai
principi esposti, procederà alle necessarie verifiche e deciderà nel merito oltre che sulle spese
di questo giudizio di legittimità.
Gli altri motivi di ricorso rimangono assorbiti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata decisione e rinvia alla Commissione Tributaria
Regionale del Lazio in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorn

O gennaio 2018.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

art. 2 in caso di distruzione. Ciò facendo la CTR ha confuso il concetto di vendita di prodotti

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