Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20051 del 06/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 06/10/2016, (ud. 16/06/2016, dep. 06/10/2016), n.20051

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14494/2012 proposto da:

S.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ANTONIO BAIAMONTI 4, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

GAMBARDELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI GIUSTINO DE

PAOLI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ANCAP S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SARDEGNA 29, presso

lo studio dell’avvocato GIORGIO VASI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ELISABETTA CARELLI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 796/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 30/06/2011 R.G.N. 963/08;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito l’Avvocato LUIGI GIUSTINO DE PAOLI;

udito l’Avvocato GIORGIO VASI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Verona del 30.6.2004 S.M., già dipendente di ANCAP spa con contratto a termine della durata di mesi quattro decorrenti dal 10.6.1998 e con mansioni di operaio fornellista, agiva nei confronti del datore di lavoro per l’accertamento della sua responsabilità in relazione all’infortunio occorsogli in data (OMISSIS), allorquando nel corso delle operazioni di manutenzione di un carrello mentre sollevava – unitamente all’operaio P.A. – una carriola contenente malta per riversarla sul fondo del carrello oggetto di intervento, avvertiva un dolorosissimo colpo alla schiena, per il quale era stato ricoverato in ospedale e sottoposto ad intervento chirurgico.

Chiedeva condannarsi il datore di lavoro al risarcimento del danno biologico e del danno morale, pari ad Euro 32.982,30 o alla diversa somma ritenuta di giustizia oltre accessori.

Esponeva che la origine violenta e la causa di lavoro erano stati già riconosciuti nel giudizio celebrato nei confronti dell’INAIL, giusta sentenza del Tribunale di Verona del 21.1.2003 (nr. 4/2003), con la quale veniva accertato il suo diritto a percepire la indennità per inabilità temporanea dalla data dell’infortunio al 2 novembre 1998 e la rendita per inabilità permanente, nella misura del 15%, per il periodo successivo alla guarigione clinica.

Il giudice del Lavoro, con sentenza del 18.6-6.11.2008 (nr. 359/08), rigettava la domanda. Con sentenza del 30.11.2010 – 30.6.2011 (nr. 796/2010) la Corte d’appello di Venezia rigettava l’appello del lavoratore.

La Corte territoriale osservava che le prove assunte non avevano consentito di ricostruire la esatta dinamica dell’incidente ed, in particolare, di accertare in quale fase della lavorazione in corso si fosse verificato l’evento traumatico sicchè non era possibile stabilire se esso fosse effettivamente dovuto al sollevamento della carriola.

Su tale punto la sentenza non era stata specificamente impugnata.

Inoltre lo stesso ricorrente aveva riferito nel corso dell’interrogatorio di essere stato operato per ernia del disco – circostanza sconosciuta al datore di lavoro – sicchè vi era una generale predisposizione al verificarsi di nuove protusioni discali pur in assenza di traumi rilevanti.

Quanto agli obblighi di formazione/informazione lo stesso ricorrente aveva dichiarato che tale signor C. gli aveva spiegato come compiere l’operazione, sollevando la carriola e versando la malta nel carrello; il teste R. aveva affermato che al ricorrente era stata spiegata la procedura per la manutenzione del carrello e che gli era stato detto di svuotare la carriola con il badile per renderla più leggera e di non svuotarla quando era ancora completamente piena dell’impasto.

Erano state dunque fornite le direttive di lavoro e nemmeno risultava una prassi contraria ad esse.

Da ultimo, era stata fornita documentalmente la prova dell’adempimento da parte del datore di lavoro agli obblighi di sicurezza ex L. n. 626 del 1994, con la redazione del documento programmatico per la sicurezza, in cui si individuavano i fattori di rischio anche in riferimento alla movimentazione manuale dei carichi.

Per la cassazione della sentenza ricorre M.S., articolando tre motivi.

Resiste con controricorso ANCAP spa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 115 c.p.c., nonchè omessa insufficiente e contraddittoria valutazione delle prove in ordine ad un fatto decisivo della controversia.

Con il motivo si lamenta una lettura superficiale della deposizione dei testi – signori R. e P.- sul punto della riconducibilità dell’infortunio all’operazione di sollevamento della carriola (rapporto di causalità).

Il ricorrente espone che il teste P. si era limitato a riferire che la carriola veniva alzata manualmente da due operai e che il teste R. aveva affermato: che la parte di impasto che restava sul fondo veniva svuotata da due operai alzando manualmente la carriola; che normalmente gli operai più esperti spiegavano ai più giovani le modalità della operazione; che non ricordava se fossero stati fatti con il ricorrente incontri di informazione o di formazione sulla sicurezza; che non aveva detto al ricorrente di sollevare il carico con le gambe piegate, poichè si trattava di una nozione di comune esperienza. Il teste dichiarava poi che il ricorrente si era infortunato mentre stava eseguendo le operazioni di manutenzione e rifacimento del fondo del carrello, pur senza ricordare il momento preciso.

La società ANCAP aveva sostenuto genericamente di avere fornito al ricorrente informazioni, senza indicarne il contenuto e senza fornire la relativa prova.

Il ricorrente deduce, da un lato, che le operazioni di svuotamento della carriola non rientravano nelle mansioni di assunzione e che le regole di comune esperienza non erano sufficienti ad escludere gli obblighi di formazione ed informazione del datore di lavoro, dall’altro che il giudice del merito aveva omesso di valutare nel suo genuino significato la deposizione del teste R., dalla quale risultava che l’infortunio era avvenuto a causa e nell’esecuzione delle operazioni di rifacimento del fondo del carrello.

Denunzia la contraddittorietà del ragionamento della Corte di merito in quanto, come già accertato nel giudizio celebrato nei confronti dell’INAIL, il trauma era derivato da una causa violenta e non certo da un normale piegamento fisico senza carico sicchè non era condivisibile il ragionamento della Corte laddove affermava che non era stato possibile ricostruire la dinamica dell’incidente.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione dell’art. 116 c.p.c., nonchè omessa insufficiente e contraddittoria valutazione delle prove in ordine ad un fatto decisivo della controversia.

Il motivo attiene alla valutazione della condotta del datore di lavoro (inadempimento) ed investe la statuizione con la quale la Corte d’appello assume che le direttive erano state fornite, che non risultava una prassi volta a disattenderle e che vi era prova documentale dell’assolvimento degli obblighi di sicurezza.

Il ricorrente evidenzia che la sentenza non specificava quali soggetti fossero preposti a fornire direttive, quale ruolo gli stessi avessero nella società, quali fossero le loro competenze tecniche e quale, infine, il contenuto delle direttive; i testi introdotti dal datore di lavoro avevano genericamente dichiarato che talvolta erano i più anziani a spiegare ai più giovani l’iter delle operazioni.

Non era stata fornita prova – al contrario – della esistenza e della partecipazione del dipendente a corsi di formazione o informazione, dovendosi tenere conto anche del fatto che le mansioni svolte – proprie di un operaio generico – non erano quelle corrispondenti al profilo di assunzione – di operaio fornellista. Lo stesso svolgimento dell’operazione illustrato dai testi, con il rovesciamento all’interno del carrello della carriola contenente il residuo della malta, non era conforme alle prescrizioni di sicurezza.

La circostanza che il datore di lavoro nella redazione del documento programmatico di sicurezza (DPS) avesse fatto riferimento al rischio derivante dalla movimentazione dei carichi manuali era priva di rilievo (anche alla luce della assegnazione di mansioni diverse da quelle di assunzione).

3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 2087 c.c., ed omessa motivazione in relazione ad un fatto decisivo della controversia.

Lamenta la omessa considerazione degli obblighi gravanti sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c., e, tra gli altri, della necessità di disporre che lo svuotamento della carriola avvenisse con appositi strumenti (pale o palette) in luogo di richiedere ai dipendenti un possente impegno fisico.

I motivi, che possono essere congiuntamente trattati in quanto connessi, sono fondati.

Il giudizio causale nell’imputazione di un evento di danno per omissione colposa (quale quella relativa alla mancata osservanza di misure di prevenzione e protezione del lavoratore) assume come termine iniziale la condotta omissiva del comportamento dovuto, nel senso che il giudizio relativo alla sussistenza del nesso causale non può limitarsi alla valutazione della sequenza materiale dei fatti, bensì postula la preventiva individuazione dell’obbligo in capo al soggetto – specifico o generico – di tenere la condotta omessa.

Appare pertanto preliminare l’esame del secondo e del terzo motivo di ricorso, con i quali si censurano le statuizioni in punto di asserito adempimento da parte del datore di lavoro degli obblighi ex art. 2087 c.c..

La Corte territoriale fonda la decisione sulla seguente ricostruzione in punto di fatto:

Il ricorrente aveva dichiarato: “il signor C. ci aveva spiegato come fare l’operazione, sollevando la carriola e versando la malta nel carrello”;

– Il teste R. aveva riferito: “al ricorrente è stata spiegata la procedura per la manutenzione del carrello ed in particolare è stato detto di svuotare la carriola con il badile per renderla più leggera… gli era stato detto che non bisognava sollevare la carriola quando era ancora completamente piena dell’impasto”.

– Non risultava una prassi volta a disattendere le direttive suddette;

– Il datore di lavoro aveva stilato il documento programmatico per la sicurezza (rectius: documento di valutazione dei rischi) individuando tra i fattori di rischio anche con riferimento alla movimentazione manuale dei carichi.

Alla luce della suddetta ricostruzione del fatto sussistono i vizi di insufficiente motivazione e di falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., denunziati.

Posto che la movimentazione manuale dei carichi costituiva un fattore di rischio, individuato dallo stesso datore di lavoro nel documento di valutazione dei rischi, il datore di lavoro aveva specifici obblighi di informazione dei lavoratori, di formazione circa le procedure da adottare per evitare il verificarsi del rischio temuto, di controllo sull’effettivo rispetto delle misure di prevenzione da parte dei dipendenti.

La Corte di merito non ha soffermato la sua analisi sulla necessaria preliminare valutazione dell’adempimento da parte del datore di lavoro dell’obbligo di informare il lavoratore sul rischio specifico della lavorazione; nè può ritenersi assolto l’obbligo formativo attraverso la generica indicazione di svuotare la carriola con il badile per renderla “più leggera” – o piuttosto di non sollevarla “quando era ancora completamente piena” – essendo del tutto evidente che in tal modo la misura precauzionale non era adottata dal datore di lavoro giacche la individuazione dei suoi contenuti veniva inammissibilmente demandata allo stesso lavoratore, cui competeva discrezionalmente di stabilire il momento in cui sollevare la carriola senza incorrere nel danno temuto.

L’obbligo di controllo,da ultimo, non si esaurisce nella verifica della prassi seguita in azienda, come ritenuto in sentenza, esigendo una verifica riferita ai singoli lavoratori, nel compimento di ciascuna delle fasi di lavorazione a rischio, attraverso specifici preposti.

Tanto premesso in punto di obblighi a carico del datore di lavoro, in punto di nesso di causalità, deve rilevarsi, venendo così all’esame del primo motivo del ricorso, che il danno verificatosi costituiva la concretizzazione del rischio specifico della lavorazione e che esso si produceva nel corso della operazione di movimentazione del carico (sollevamento della carriola). Per quanto risulta dallo svolgimento del fatto esposto nella sentenza impugnata ANCAP spa nella memoria di costituzione assumeva “che l’incidente in realtà si era verificato durante la fase di piegamento delle gambe e non durante la fase di vero e proprio sforzo per il sollevamento della carriola” sicchè era incontestato che la operazione avesse avuto inizio.

A fronte di tali dati di fatto la motivazione della Corte di merito secondo cui (in conformità alla pronunzia del giudice del primo grado) “non è stato possibile ricostruire i quale fase della lavorazione si è verificato l’evento traumatico e quindi non è possibile stabilire se effettivamente l’evento traumatico possa essere ascritto effettivamente al sollevamento della carriola” appare affetta dal vizio di insufficienza dedotto.

Rispetto al rilievo della realizzazione del rischio della lavorazione (nel corso della stessa lavorazione) la Corte di merito non avrebbe potuto limitarsi ad affermare il difetto di prova del nesso causale ma avrebbe dovuto positivamente verificare la esistenza di altri fattori di rischio concomitanti (quali la condizione fisica dello stesso lavoratore, che, come risulta in sentenza, era stato operato per ernia al disco); tali fattori, poi, avrebbero potuto escludere il nesso causale soltanto se dotati di efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento.

Onde compiere tale giudizio il giudice del merito ben avrebbe potuto ricorrere all’ausilio di un ctu.

Ogni valutazione circa la conoscenza – o conoscibilità – da parte del datore di lavoro di eventuali condizioni di rischio relative alla persona del lavoratore (ma prive di efficienza causale esclusiva) attiene, invece, ad un momento successivo al positivo riscontro del rapporto di causalità dell’evento rispetto all’inadempimento ed opera sul piano della imputabilità del danno, disciplinato dall’art. 1225 c.c..

La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata e gli atti rinviati ad altro giudice, che si individua nella Corte di appello di Venezia in diversa composizione, affinchè provveda a rinnovare il giudizio emendandolo dai vizi rilevati.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla disciplina delle spese del presente grado.

PQM

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia – anche per le spese – alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2016

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