Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20050 del 24/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/09/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 24/09/2020), n.20050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7782/2013 R.G. proposto da:

CASCAMIFICIO G.C. & FIGLI SNC, (C.F. (OMISSIS)),

in persona del legale rappresentante pro tempore, G.A.

(C.F. (OMISSIS)), G.E.A. (C.F. (OMISSIS)),

GA.AN. (C.F. (OMISSIS)), rappresentati e difesi dall’Avv. ORESTE

CANTILLO e dall’Avv. ANTONIO MIRRA, elettivamente domiciliati presso

quest’ultimo in Roma, Via Properzio n. 37;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia, n. 136/24/2012, depositata il 6 settembre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 novembre

2019 dal Consigliere Filippo D’Aquino.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

I contribuenti hanno impugnato alcuni avvisi di accertamento e relative cartelle di pagamento relative a imposte sul reddito, emessi nei confronti della società CASCAMIFICIO G.C. & FIGLI SNC per imposte sul reddito, IRAP e IVA relative agli anni 2005 e 2006, conseguenti alla indeducibilità di costi derivanti da fatture di acquisto della impresa R.L. relative a operazioni oggettivamente inesistenti, con conseguente recupero di imposte e indetraibilità IVA e, per trasparenza, con recupero a tassazione del reddito di partecipazione dei soci, oltre che per responsabilità solidale;

che la CTP di Milano ha accolto i ricorsi riuniti ritenendo veritiere le operazioni di acquisto;

che la CTR della Lombardia, con sentenza in data 6 settembre 2012, ha accolto l’appello dell’Ufficio, valorizzando alcune circostanze in fatto trascurate dal giudice di prime cure, quali le dichiarazioni dell’emittente R.L., che non aveva riconosciuto le fatture, nè il timbro apposto sulle stesse nè la grafia, le dichiarazioni del socio G.A. circa i rapporti con il R., il pagamento della merce in contanti, nonchè ritenendo non decisive dichiarazioni di terzi, quali quella resa da uno degli autotrasportatori ( P.R.), in quanto soggetto in pensione dal 1993;

che propone ricorso per cassazione parte contribuente affidato a cinque motivi, l’Ufficio ha depositato atto di costituzione senza svolgere difese scritte e ha successivamente depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Preliminarmente va osservato che, vertendosi in tema di rito camerale di legittimità ex art. 380-bis.1 c.p.c., relativo a ricorsi già depositati alla data del 30 ottobre 2016, la parte intimata che non abbia provveduto a notificare e a depositare il controricorso nei termini di cui all’art. 370 c.p.c., può depositare memoria scritta per sopperire alla possibilità (venuta meno) di partecipare alla discussione orale, nei medesimi termini entro i quali può farlo il controricorrente (Cass., Sez. II, 14 maggio 2019, n. 12803);

che con il primo motivo si deduce nullità della sentenza per ultrapetizione in violazione dell’art. 112 c.p.c., e D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, deducendo parte ricorrente di avere contestato in primo grado che dalla lettura degli atti impositivi non fosse chiaro se le fatture attenessero a prestazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti; deducono i ricorrenti che la sentenza di primo grado avrebbe escluso l’inesistenza oggettiva delle operazioni e che l’Ufficio avrebbe prestato acquiescenza su tale circostanza, deducendo che le operazioni erano da ritenersi soggettivamente fittizie quanto alla provenienza dall’impresa individuale R.; deducono, pertanto, i ricorrenti che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in ultrapetizione, ove ha ritenuto che le operazioni fossero oggettivamente inesistenti;

che con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23 e 57, e art. 354 c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata non avrebbe rilevato la novità della questione circa la natura di operazioni soggettivamente inesistenti, laddove in prime cure oggetto del contendere era stata contestata l’inesistenza oggettiva delle operazioni, con conseguente violazione del divieto dello ius novorum;

che con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 comma 3, e art. 2697 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto non provate le deduzioni di parte contribuente, dando valore alle deduzioni dell’Ufficio; deducono i ricorrenti che vi è stata violazione del rispetto delle regole di riparto dell’onere probatorio, secondo le quali grava sull’amministrazione la prova che le operazioni non siano state poste in essere, rilevando come i contribuenti hanno prodotto idonea documentazione in corso di causa, laddove la sentenza impugnata avrebbe posto l’onere della prova a carico di parte contribuente;

che con il quarto motivo si deduce motivazione insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio a termini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; ripercorrono i ricorrenti la motivazione del giudice di prime cure, deducendo come il giudice di appello avrebbe limitato la ricostruzione dell’iter motivazionale del giudice di prime cure alle dichiarazioni dell’autotrasportatore P.R., laddove la motivazione appariva molto più ampia; deducono, pertanto, i ricorrenti come la motivazione del giudice di appello non dia contezza di tutti i fatti controversi, contestano le circostanze indicate nella sentenza impugnata, rilevando apoditticità delle fonti alle quali la sentenza si sarebbe richiamata, ritenendo in ogni caso irrilevante la circostanza che l’autotrasportatore sarebbe in pensione dal 1993;

con il quinto motivo, proposto in via gradata, i ricorrenti invocano l’applicazione dello ius superveniens di cui al D.L. 12 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1, conv. con L. 26 aprile 2012, n. 44, nella parte in cui ha modificato la L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4, con riferimento alla indebita detrazione dei costi portati dalle fatture in oggetto;

che il primo motivo è infondato, premettendosi che in caso di nullità della sentenza, il giudice di legittimità diviene giudice del fatto processuale, in quanto chiamato a sindacare un vizio di violazione tra il chiesto e il pronunciato, che comporta per la Corte il potere-dovere di controllare l’esatta individuazione della causa petendi, sia – infine – l’intero processo logico seguito dal giudice di merito nell’applicare la norma processuale (Cass., Sez. II, 16 ottobre 2017, n. 24312; Cass., Sez. III, 8 giugno 2007, n. 13514); ciò, peraltro, sul presupposto che la questione sia dedotta a pena di inammissibilità in relazione agli esatti termini in cui la stessa sia stata esposta; con la conseguenza che, solo nel caso in cui la questione sia ammissibile, diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo (Cass., Sez. III, 23 gennaio 2006, n. 1221), sempre che la questione abbia natura esclusivamente giuridica e non richieda nuovi accertamenti di fatto (Cass., Sez. VI, 20 marzo 2015, n. 5724);

che in primo luogo parte ricorrente non ritrascrive l’avviso di accertamento, così che non può valutarsi appieno l’ambito di contestazione iniziale (e, quindi, la causa petendi oggetto di discussione già in prime cure), così come non ritrascrive il ricorso di prime cure, al fine di verificare le effettive censure mosse all’avviso di accertamento;

che parte ricorrente, pur trascrivendo la sentenza di prime cure, che ha escluso in fatto la natura fittizia delle operazioni, ha trascritto solo parzialmente l’atto di appello dell’Ufficio, così da non apprezzare compiutamente la limitazione della contestazione mossa dall’appellante in secondo grado alla sentenza di prime cure solo con riferimento alla sussistenza meramente soggettiva delle operazioni, tanto che, se da un lato l’ufficio appellante aveva contestato la soggettiva inesistenza delle prestazioni correnti con il fornitore (impresa R.), l’appellante aveva anche dedotto, per come lo stesso ricorrente trascrive nella narrativa del ricorso (pag. 6 ricorso), che “si desume che le operazioni non fossero effettivamente esistenti”, nel qual caso la contestazione investe l’oggettiva esistenza della prestazione;

che il secondo motivo è inammissibile, posto che non coglie la ratio decidendi della sentenza di appello, che non ha valorizzato (come V’ stesso ricorrente ha esposto nel primo motivo) la natura meramente soggettiva delle prestazioni, ma – al contrario – ha ritenuto che fossero oggettivamente inesistenti (e non solo soggettivamente inesistenti) le prestazioni del cedente Impresa R.;

che il motivo è ulteriormente inammissibile per mancanza di specificità posto che, se è corretto affermare che, se il divieto di ius novorum in appello comporta che vadano dichiarati inammissibili in secondo grado (anche rilevando tale inammissibilità in sede di giudizio di legittimità, ove il giudice di appello abbia omesso di farlo) le questioni che, non essendo rilevabili d’ufficio, siano state avanzate dalle parti in grado di appello e che abbiano formato oggetto di esame da parte del giudice di secondo grado (Cass., Sez. III, 19 dicembre 2005, n. 27942; Cass., Sez. V, 2 luglio 2004, n. 12147), non è dato conoscere, in assenza della trascrizione dell’avviso di accertamento e del ricorso di prime cure di parte contribuente, quale fosse l’effettivo tema di indagine sottoposto già al giudice del merito in prime cure, ossia se questo tema attenesse anche alle fatture inesistenti sotto il piano soggettivo, al fine di dedurre se e in che termini la contestazione mossa in relazione alla mera inesistenza soggettiva sia una questione nuova;

che il terzo motivo è infondato, posto che, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, con particolare riferimento ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (Cass., Sez. V, 5 luglio 2018, n. 17619), così come è onere del contribuente provare la diretta afferenza tra ricavi e costi attinenti a beni non effettivamente scambiati (Cass., Sez. V, 17 luglio 2018, n. 19000);

che la sentenza ha fatto corretto uso delle regole di riparto dell’onere probatorio, avendo ritenuto inesistenti le prestazioni attinenti alle fatture passive emesse dalla impresa R. sulla base di un coacervo indiziario e di non avere ritenuto decisivi gli elementi di prova addotti da parte contribuente;

che il quarto motivo è inammissibile, posto che parte ricorrente, attraverso la contestazione della pregnanza degli elementi indiziari addotti dalla sentenza impugnata, invoca una diversa rivalutazione dell’accertamento circa la prova della natura fittizia delle prestazioni, attraverso una rilettura del materiale probatorio. Il che non costituisce propriamente controllo di logicità del giudizio del giudice di merito, bensì revisione del ragionamento decisorio, ossia revisione dell’opzione che ha condotto il giudice del merito a una determinata soluzione della questione esaminata, giudizio che impinge nel giudizio di fatto, precluso al giudice di legittimità (Cass., Sez. I, 5 agosto 2016, n. 16526); così come si collocano sul piano del merito la delibazione e individuazione del materiale probatorio, valutazioni che spettano al giudice del merito (Cass., Sez. Lav., 7 giugno 2013, n. 14463), nonchè essendo consolidato nella giurisprudenza della Corte che il principio del libero convincimento di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c., è situato interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, pertanto insindacabile in sede di legittimità (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940), salvo che si deduca che il giudice del merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o abbia disatteso, valutandole secondo prudente apprezzamento, prove legali (Cass., VI, 17 gennaio 2019, n. 1229);

che il quinto motivo è infondato, posto che lo ius superveniens di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, convertito con L. n. 44 del 2012, e che ha la L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4-bis, prevede la deducibilità dei costi (come lo stesso ricorrente riconosce) delle operazioni soggettivamente inesistenti, non anche nel caso in cui le operazioni non siano mai state poste in essere, nel qual caso i costi fittiziamente sostenuti non possono considerarsi deducibili in quanto non inerenti all’attività di impresa e possono essere oggetto di ripresa a tassazione;

che il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dal principio della soccombenza e raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna CASCAMIFICIO G.C. & FIGLI SNC, G.A., G.E.A., GA.AN., in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali in favore di AGENZIA DELLE ENTRATE, che liquida in Euro 5.000,00 oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020

 

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