Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20044 del 22/09/2010

Cassazione civile sez. III, 22/09/2010, (ud. 08/07/2010, dep. 22/09/2010), n.20044

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 20474/2009 proposto da:

P.C.R., elettivamente domiciliato in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 19, presso lo studio dell’avvocato IOVANE

Claudio, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

BALDINI ANDREA, BERTOCCHI FRANCESCO, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO

43, presso lo studio dell’avvocato SIRENA Pietro, che la rappresenta

e difende, giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 35/2008 del TRIBUNALE di MASSA Sezione

Distaccata di PONTREMOLI, depositata il 18/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’8/07/2010 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito per il ricorrente l’Avvocato Marco Merlini (per delega avvocati

Andrea Baldini e Claudio Iovane) che si riportano agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. CARMELO

SGROI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

quanto segue:

p.1. P.C.R. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Massa, Sezione Distaccata di Pontremoli del 18 giugno 2008, pronunciata in grado d’appello avverso la sentenza resa in primo grado dal Giudice di Pace di Pontremoli in una controversia avente ad oggetto l’opposizione di F.M. A. ad un decreto ingiuntivo.

Al ricorso ha resistito con controricorso la F..

p.2. Essendo il ricorso soggetto alle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 e dovendo essere trattato con il procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c., nel testo anteriore alla L. n. 69 del 2009, è stata redatta relazione ai sensi di detta norma, che è stata notificata agli avvocati delle parti costituite e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

quanto segue:

p.1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., si sono svolte le seguenti considerazioni:

“(…) 3. – Il ricorso appare inammissibile, perchè parte ricorrente non ha rispettato il requisito di ammissibilità di cui all’art. 366 bis c.p.c..

I quattro motivi che il ricorso prospetta, tutti dedotti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, infatti, non si concludono, per quanto attiene alla denuncia di vizi ai sensi del n. 3, con la formulazione del quesito di diritto, prescritto da detta norma, e, per quanto afferisce al vizio di motivazione, la loro illustrazione non si conclude e comunque non contiene la c.d. “chiara indicazione”, prescritta dall’art. 366 bis c.p.c..

Norma questa che è applicabile al ricorso – nonostante la sua abrogazione da parte della L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d) – in ragione del combinato disposto del comma 1 e del comma 5 dell’art. 58 della stessa legge. In particolare, nella specie il ricorso è stato notificato dopo il 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della legge de qua, ma la norma dell’art. 366 bis, riguardo alla controversia era rimasta ultrattiva ai sensi del comma 5 su indicato e, quindi, parte ricorrente avrebbe dovuto osservarla”.

p.2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, che non sono in alcun modo superate dalle deduzioni svolte da parte ricorrente nella sua memoria.

Esse richiedono le seguenti brevi considerazioni:

a) il coordinamento fra il comma 1 ed il comma 5 della L. n. 69 del 2009, art. 58, in disparte il rilievo che quando il legislatore usa il termine “giudizi instaurati” dopo una certa data intende riferirsi, dato che instaurare un giudizio non meglio aggettivato ed in un contesto normativo che non permetta in esso di rinvenire indici contrari, al momento iniziale della controversia (come si sempre ritenuto), conferma il dato emergente al comma 1 suddetto, il quale, peraltro, non avrebbe potuto che concernere anche l’efficacia di una norma abrogata, quale l’art. 366 bis, posto che anche l’abrogazione si risolve una modificazione siccome supposto dallo stesso comma 1;

b) la specifica disposizione dettata dal comma 5 per le disposizioni di cui alla L. n. 69 del 2009, art. 47, nelle quali è compresa l’abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c., nel disporre l’applicabilità dello stesso art. 47 e, quindi, anche della detta abrogazione al “provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione ….

pubblicato …. ovvero …. depositato successivamente alla data di entrata in vigore” della L. n. 69 del 2009″, per quanto afferisce al caso di ricorsi proposti successivamente al 4 luglio 2009, data di quell’entrata in vigore, si limita a confermare quanto si sarebbe dovuto desumere dall’applicazione della regola generale dell’art. 58, comma 1, in punto di irrilevanza dell’abrogazione per essere il giudizio nel suo complesso pendente a quel momento, mentre, per quanto attiene ai ricorsi proposti anteriormente al 4 luglio 2009, comunque la stessa abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c., non avrebbe potuto spiegare effetti, pur in assenza della norma del comma 1 (ed a maggior ragione del comma 5) per la semplice e dovuta applicazione del principio tempus regit actum;

c) sulla costituzionalità del descritto regime transitorio, la Corte si è già pronunciata e parte ricorrente non lo considera: si veda Cass. n. 26364 del 2009 (va rilevato, in aggiunta, che proprio il rispetto del principio di eguaglianza fra chi ebbe a proporre il ricorso per cassazione prima del 4 luglio 2009 e chi lo propone dopo riguardo a giudizi pendenti al 4 luglio 2009, suggerisce la piena correttezza – anche se non il carattere dovuto sul piano costituzionale – della scelta del legislatore;

d) nella memoria si sostiene che i quesiti di diritto e la chiara indicazione vi sarebbero ma non si indica da quali espressioni risulterebbero, onde non si comprende come si possa dire che la relazione non ha chiarito perchè mancherebbero i quesiti e perchè la chiara indicazione non sarebbe chiara, atteso che nel ricorso nulla di formalmente idoneo a soddisfare nell’intenzione propositiva ed assertiva del ricorrente si coglie al riguardo.

Il ricorso è, dunque, dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione a favore della resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro duemilaseicento, di cui Euro duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 8 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2010

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