Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20044 del 14/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 14/07/2021, (ud. 03/02/2021, dep. 14/07/2021), n.20044

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32719-2019 proposto da:

T.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato DE CESARE MASSIMO;

– ricorrente –

contro

T.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI

30, presso lo studio dell’avvocato PLACIDI, rappresentata e difesa

dall’avvocato BIAGIO FRANCESCO LEO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 355/2j19 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 5/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 3/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. SCRIMA

ANTONIETTA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.R., in pendenza del giudizio di separazione giudiziale, convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Brindisi, il coniuge Tr.Gi. per sentirlo condannare alla restituzione, in suo favore, delle somme dalla medesima versate prima e durante il matrimonio per l’acquisto e i successivi interventi di miglioria di un immobile, poi assegnato al solo Trisolino quale socio di una cooperativa, da destinarsi ad abitazione coniugale ed utilizzato anche dall’attrice per tutto il periodo della convivenza matrimoniale.

Il convenuto si costituì chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 179/16, rigettò la domanda e compensò tra le parti le spese di lite, rilevando che non vi era prova del diritto alla restituzione delle somme inerenti alle spese sostenute per gli interventi di chiusura del balcone, per l’acquisto e la messa in opera dell’impianto di allarme e per le migliorie extra capitolato nonché delle somme versate a titolo di rate di mutuo ed in relazione al contratto di leasing per la locazione di un’autovettura intestata al Trisolino. Il primo Giudice qualificò poi come donazione indiretta il versamento delle ulteriori somme da parte dell’attrice, che, pertanto, in qualità di donante, non poteva chiederne la restituzione.

T.R. propose gravame avverso la sentenza del Tribunale, chiedendone la riforma con riferimento soltanto al capo relativo al mancato rimborso delle somme versate per l’acquisto della casa a mezzo di due bonifici bancari ed alla metà delle somme versate per il pagamento del mutuo.

L’appellato si costituì e concluse per l’inammissibilità dell’impugnazione e, comunque, per la sua infondatezza.

La Corte di appello di Lecce, con sentenza n. 355 pubblicata il 5 aprile 2019, accolse solo in parte il gravame, non ravvisando lo “spirito di liberalità” nella disposizione patrimoniale effettuata dalla T. nei confronti della Cooperativa edilizia Oria 90, a mezzo di due bonifici bancari dell’importo complessivo di Euro 20.000,00 e prodotti in copia in atti, in quanto finalizzata, il che non era contestato, all’acquisto dell’abitazione che, pur essendo di proprietà esclusiva del Trisolino, in quanto socio della cooperativa già in epoca anteriore al matrimonio, era destinata a diventare la futura casa coniugale e, dunque, ad essere utilizzata anche dalla T.. Ritenne la Corte territoriale che nella specie andasse, invece, ravvisata la ricorrenza di un indebito arricchimento, “trattandosi di contributi in denaro effettuati dall’odierna appellante in vista del futuro matrimonio e considerato che la volontarietà del conferimento di cui trattasi non era indirizzata a vantaggio esclusivo del futuro marito, ma alla fruizione comune di un bene e, pertanto, non può costituire né donazione né attribuzione spontanea, con la conseguenza che T. ha diritto ad essere indennizzata ai sensi dell’art. 2041 c.c. della correlativa diminuzione patrimoniale, per l’importo di Euro 20.000,00. Sulla somma… spetta anche la rivalutazione monetaria…, oltre gli interessi legali …”.

La Corte di appello, pertanto, in riforma della sentenza di primo grado, condannò il Trisolino al pagamento, in favore della T., della somma di Euro 20.00,00, oltre rivalutazione ed interessi, come precisato nella motivazione di quella decisione, e compensò per un terzo le spese del doppio grado di giudizio, che pose, per i restanti due terzi, a carico dell’appellato.

Avverso la sentenza della Corte di merito Giuseppe Trisolino ha proposto ricorso per cassazione basato su un unico motivo, cui ha resistito T.R. con controricorso.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo, rubricato “Violazione dell’art. 360 c.p.c. n. 3 e 5 con riferimento all’art. 112 c.p.c. nonché all’art. 143 c.p.c. e ss. E art. 2041 c.c.”, il ricorrente sostiene che la Corte di merito abbia erroneamente ritenuto di “poter emendare la domanda (mutatio libelli) individuando la fattispecie sottoposta alla sua attenzione nell’istituto di cui all’art. 2041 c.c. mai evocato dall’attrice e appellante”.

1.1. Emotivo è infondato e va, pertanto, rigettato.

Ed invero ben può il Giudice del merito procedere alla qualificazione della domanda anche in sede di appello.

Il giudice del merito ha, infatti, il potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della domanda e o delle eccezioni e di individuare le norme di diritto conseguentemente applicabili, anche in difformità rispetto alle indicazioni delle parti, dovendo accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte istante nonché dal provvedimento concreto dalla stessa richiesto, incorrendo nella violazione del divieto di ultrapetizione soltanto ove sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta in giudizio dalle parti (Cass. 2/11/2005, n. 21208; Cass. 13/12/2005, n. 27428; Cass. 3708/2012, n. 13945 e Cass., ord., 21/02/2019, n. 5153).

E nella specie, peraltro, al fine di poter apprezzare il lamentato vizio ex art. 112 c.p.c., neppure risulta riportata, testualmente, in ricorso la domanda così come originariamente formulata dall’attrice ed eventualmente precisata nei modi e nei termini consentiti nel giudizio di merito, se non con riferimento ad un breve brano estrapolato dal contesto dell’intero atto di citazione (v. ricorso p. 11). Pertanto, al riguardo, il ricorso difetta pure di specificità, evidenziandosi che, in tema di ricorso per cassazione, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla S.C. ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell’iter processuale senza compiere generali verifiche degli atti (v., ex plurimis, Cass., ord., 25/09/2019, n. 23834).

A quanto precede va aggiunto che l’interpretazione della domanda, riservata, come già detto al giudice di merito, risolvendosi in un accertamento in fatto, non è censurabile in sede di legittimità, se motivata, come nella specie (v. sentenza impugnata in questa sede p. 4 e 5), non potendo la stessa ritenersi anomala o inesistente, come sostenuto dal ricorrente.

Inoltre, la Corte territoriale risulta aver, sia pure implicitamente, ritenuto sussistente il requisito della sussidiarietà, avendo escluso la sussistenza di altre cause della dazione di cui si discute in questa sede, né il ricorrente ha indicato gli elementi pretermessi dal giudice di merito, in base ai quali quest’ultimo avrebbe dovuto concludere per l’esperibilità della ventilata azione contrattuale (mutuo).

2. Alla luce di quanto precede il ricorso va rigettato.

3. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

4. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 3 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2021

 

 

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