Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20043 del 14/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 14/07/2021, (ud. 03/02/2021, dep. 14/07/2021), n.20043

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25676-2019 proposto da:

T.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIVILLA 16,

presso lo studio dell’avvocato VINCENZO CALICCHIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE D’ALESSANDRO;

– ricorrente –

contro

TE.AN.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1827/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO

depositata 1124/4/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 03/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. SCRIMA

ANTONIETTA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Te.An. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Pavia, T.C., per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti per le lesioni riportate in data 23 luglio 2011 in Vigevano, allorché, mentre si trovava nella discoteca “Il Messicano”, era stato colpito al volto da una bottiglia di vetro che, a suo dire, sarebbe stata lanciata dal convenuto.

Si costituì il T. contestando la domanda e sostenendo la sua estraneità alla vicenda dedotta dall’attore.

Il Tribunale adito, ritenuta non provata l’identità del responsabile dell’evento dannoso, con sentenza n. 1496, pubblicata il 28 settembre 2017, rigettò la domanda.

Avverso tale decisione il Te. propose appello del quale, costituendosi anche in secondo grado, il T. chiese il rigetto.

La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 1827/2019, pubblicata il 24 aprile 2019, in totale riforma della sentenza impugnata, condannò l’appellato al pagamento, in favore di Te.An., a titolo di risarcimento del danno, della somma di Euro 20.283,40, comprensiva di rivalutazione ed interessi computati secondo i criteri indicati nella motivazione di quella sentenza, oltre interessi legali dalla medesima sentenza al saldo, nonché alle spese del doppio grado del giudizio di merito.

Avverso la sentenza della Corte di merito T.C. ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi e illustrato da memoria.

L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di Consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, rubricato “Contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo della causa ex art. 360 c.p.c., n. 5 – Errore in giudicando”, il ricorrente sostiene che la Corte di merito avrebbe fondato la sua decisione sulle deposizioni dei testi attorei, che sarebbero palesemente contrastanti, avrebbe ritenuto fondato il diritto del Te. sulla scorta delle dichiarazioni false ed ingannevoli dei testi addotti; denuncia, altresì, che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe carente e contraddittoria nonché “inficiata da errore in giudicando ed in procedendo”.

2. Con il secondo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. – Errore in giudicando. Errore in procedendo”, il ricorrente assume che la Corte territoriale avrebbe “svilito, senza adeguate ragioni, quanto esposto dai testi addotti dalla parte convenuta” ed invece “conferito primaria rilevanza alle deposizioni di testi di parte attrice andando ben oltre il significato concreto delle loro dichiarazioni”, “tralasciando di valutare l’incongruenza, la compiacenza, la contraddittorietà, seppur evidenti, di quelle deposizioni”.

3. I due motivi proposti, che ben possono essere esaminati congiuntamente, essendo strettamente connessi, sono inammissibili, tendendo entrambi ad una rivalutazione del merito, non consentita in questa sede.

Peraltro, i vizi motivazionali di cui al primo motivo risultano veicolati secondo lo schema censorio dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella sua precedente formulazione, inapplicabile ratione temporis, e il secondo motivo non contiene alcuna denuncia del paradigma dell’art. 2697 c.c., evidenziandosi che la violazione della norma appena richiamata si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, il che neppure è stato dedotto nel caso di specie.

Infine, va rimarcato che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità, dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili (Cass. 21/07/2010, n. 17097; Cass. 23/05/2014, n. 11511; Cass. 2/08/2016, n. 16056; Cass. ord., 4/07/2017, n. 16467; Cass., ord., 7/12/2017, n. 29404).

4. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

5. Non vi è luogo a provvedere per le spese del presente giudizio di legittimità, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede.

6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 3 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2021

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