Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20043 del 11/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 11/08/2017, (ud. 01/06/2017, dep.11/08/2017),  n. 20043

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12346/2010 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Colleverde Park Hotel s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv.

Salvatore Muscarà, con domicilio eletto in Catania, via Cervignano

32, presso lo studio del difensore;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia n. 50/14/09, depositata il 18 marzo 2009;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’1 giugno

2017 dal Consigliere Giuseppe Tedesco.

Fatto

RILEVATO

che:

– l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia (Ctr), che confermato la sentenza di primo grado, favorevole per la contribuente, in relazione a un avviso di accertamento con il quale fu rettificato il reddito di impresa per l’anno 1999;

– il ricorso è proposto sulla base di tre motivi, cui la contribuente ha reagito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il difetto di motivazione su fatti decisivi del giudizio;

– il motivo è inammissibile ex art. 366-bis c.p.c., applicabile ratione temporis;

– il motivo infatti, di là dalla improprietà del riferimento normativo all’art. 360 c.p.c., n. 3 invece che al n. 5, non è corredato da idoneo momento di sintesi (“Allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso” (Cass. n. 8897/2008; nello stesso senso v. Cass. n. 16002/2007, dove si chiarisce che il requisito della “chiara indicazione del fatto controverso (…) deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366-bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione”;

– le medesime ragioni di inammissibilità sono riscontrabili nel terzo motivo, con il quale si deduce insufficiente motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

– con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, nonchè dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Ctr “rigettato l’appello dell’Ufficio, ritenendo che, nonostante il legittimo ricorso all’accertamento induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, in presenza di contabilità formalmente corretta, le difformità riscontrate rimanessero sul piano del mero indizio e che pertanto, le stesse non fossero idonee da sole a integrare una prova per presunzioni con il conseguente spostamento dell’onere della prova sul contribuente”;

-il motivo è inammissibile: la sentenza della Ctr si apre con la l’affermazione di principio secondo cui la esistenza di una contabilità regolare non impedisce di rettificare il reddito ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), prosegue poi ponendo in rilievo che l’accertamento di maggiori ricavi può sì essere ricavato dalla difformità della percentuale di ricarico applicato dal contribuente, ma solo nel caso in cui tale difformità raggiunga livelli di abnormità ed irragionevolezza tali da privare detta contabilità di ogni attendibilità, “diversamente (secondo la Ctr), siffatta difformità rimane sul piano del mero indizio, ove si consideri che il percorso di indagine seguito dai verificatori senza nemmeno il supporto di comparazione con similari esercizi ovvero con indici elaborati su criteri statistici, non integra un fatto noto e certo e non è idoneo, da solo, ad integrare una prova per presunzioni, come sostiene l’amministrazione ricorrente, ma costituisce raccolta di presunzioni semplici, non adeguatamente assistita dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c.; nè le dichiarazioni del contribuente e la produzione di documentazione sottoscritta da terzi possono essere a priori del tutto disattese, salvo il caso di divergenze assolutamente abnormi o di risultati palesemente antieconomici o in contrasto con il senso comune”;

– in disparte la imprecisione terminologica per aver parlato di presunzione semplice, priva dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c., la sentenza riecheggia principi consolidati nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui “il solo rilievo dell’applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico formalmente diversa da quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza (…) in mancanza di abnormità ed irragionevolezza dei risultati” non basta, in assenza di elementi ulteriori, a supportare una ripresa a tassazione “posto che le medie di settore non costituiscono “fatto noto”, storicamente provato, dal quale argomentare, con giudizio critico, il fatto ignoto da provare, ma soltanto il risultato di una estrapolazione statistica di dati (Cass. n. 11985/2010, conf. n. 27488/2013)”;

– la sentenza insomma, diversamente da quanto è ventilato nel motivo, non ha dapprima riconosciuto la legittimità della ripresa in quanto giustificata da idonee presunzioni, per poi ritenere che, ai fini della inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, occorressero ulteriori elementi di prova, ma ha negato in radice che l’accertamento si fondasse su presunzioni idonee, non avendo riscontrato, nella difformità fra la percentuale di ricarico applicata dalla contribuente e quella media di settore, quei requisiti di abnormità e irragionevolezza tali da fare assurgere quello scostamento al rango di elementi grave preciso e concordante idoneo a giustificare la rettifica induttiva del reddito;

– il punto controverso, pertanto, non riguarda una questione giuridica, ma una questione di fatto, e cioè se nella specie lo scostamento avesse attinto quel livello “di abnormità ed irragionevolezza tali da privare, appunto, la documentazione contabile di ogni attendibilità” (Cass. n. 20201/2010);

– si deve ancora osservare che “il giudizio riguardo alla gravità, precisione e concordanza degli indizi posti a base dell’accertamento presuntivo attiene alla valutazione dei mezzi di prova e spetta esclusivamente al giudice di merito, salvo lo scrutinio, nella specie non sollecitato, riguardo alla congruità della relativa motivazione (Cass. n. 1715/2007);

– i motivi di ricorso vanno dunque dichiarati inammissibili.

PQM

 

dichiara inammissibile i motivi di ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 1 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2017

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