Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20043 del 06/10/2016


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Cassazione civile sez. II, 06/10/2016, (ud. 19/07/2016, dep. 06/10/2016), n.20043

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10162-2012 proposto da:

R.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo studio dell’avvocato GIANMARCO

GREZ, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO GIGANTE;

– ricorrente –

contro

N.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA

MANTEGAZZA 24, presso lko studio GARDIN, rappresentato e difeso

dall’avvocato CICERONE MARCO TULLIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1022/2011 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 21/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/07/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito l’Avvocato SAVINI Mario, con delega orale dell’Avvocato GIGANTE

Vincenzo, difensore della ricorrente che ha chiesto l’accoglimento

del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del 2

motivo, assorbili o rigetto dei restanti motivi del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 N.A., proprietario di un appartamento sito in (OMISSIS), facente parte di un piccolo condominio comprendente anche immobili di R.G., la convenne davanti al Tribunale di Taranto con atto 3.6.1994, deducendo la realizzazione di una illegittima apertura, nel muro divisorio, di un varco, mediante il quale era possibile, attraverso l’antistante cortile comune, raggiungere un contiguo immobile di esclusiva proprietà della convenuta; l’attore dichiarò di opporsi alla servitù di passaggio, che in tal modo riteneva essere stata realizzata e chiese pertanto la condanna della convenuta alla chiusura del varco in questione.

La convenuta eccepì la “prescrizione” dell’azione e nel merito chiese il rigetto della domanda.

2 Dopo avere disposto una consulenza tecnica, il G.O.A. della “sezione stralcio” del Tribunale adito, con sentenza in data 17.7.2000, accolse la domanda.

Avverso tale decisione la R. propose appello, mentre il N., resistendo all’impugnazione chiese l’integrazione della motivazione in relazione all’accertamento del suo diritto di proprietà. Con sentenza depositata il 22.9.03, la Corte d’Appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, dichiarato inammissibile per difetto d’interesse il ritenuto appello Incidentale del N., sul rilievo che il medesimo era risultato vittorioso in primo grado, accolse il gravame della R., rigettando la domanda dell’appellato attore, con conseguente condanna del medesimo alle spese del doppio grado del giudizio. La Corte di merito, pur premettendo l’imprescrittibilità, quale connotato del diritto di proprietà a cui tutela è concessa, dell’azione negatoria di servitù, ritenne tuttavia infondata la domanda nel merito, non ravvisando in concreto, nella creazione dell’accesso attraverso il cortile condominiale, alcuna violazione dell’art. 1102 c.c., in un contesto nel quale “le due unità limitrofe sono comunicanti ed appartengono alla stessa proprietaria ( R.G.) che può accedervi sia attraverso un’area scoperta condominiale, sia attraverso una strada privata”; ciò in quanto il passaggio attraverso l’area condominiale non estenderebbe il “diritto sulla cosa comune della R. in danno del N.”, nè impedirebbe a quest’ultimo di esercitare “analogo passo per accedere alla sua proprietà”. In altri termini, sarebbe “ininfluente ai fini del godimento dell’area comune per il N.” la circostanza che “la R. abbia messo in comunicazione due proprietà alla stessa appartenenti ed insistenti su due diverse particelle”, una delle quali, la n. (OMISSIS), era “risultata comunque separata dell’area comune con un muretto ed una rete metallica”.

3 N. propose ricorso per Cassazione denunziando violazioni di legge e vizio di motivazione e questa Corte, con sentenza n. 26796 del 2007, accolse l’impugnazione cassando la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Lecce.

4 Con atto notificato il 25-26.2.2006 il N. provvide a riassumere il giudizio nei confronti della R. che si costituì resistendo.

Rinnovata la consulenza tecnica di ufficio, la Corte di rinvio, con sentenza 21.12.2011 ha respinto l’appello della R. e l’ha condannata a restituire all’attore vittorioso l’importo delle spese del doppio grado di giudizio da lui pagate in esecuzione della sentenza sfavorevole di appello del 2003.

Per giungere a tale conclusione la Corte d’Appello – richiamati i limiti del giudizio di rinvio e il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte in tema di realizzazione, da parte di un condomino, di varchi di accesso sul muro condominiale per mettere in comunicazione lo spazio comune con altri immobili di proprietà esclusiva – ha osservato (per quanto ancora interessa in questa sede):

– che il N. era da ritenersi proprietario esclusivo delle unità sub 1 e 7 di cui al rilievo allegato alla CTU nonchè comproprietario dell’area condominiale;

– che secondo quanto emerso dalle consulenze espletate era risultata accertata l’appartenenza in proprietà esclusiva della R. sulla particella (OMISSIS), messa in comunicazione, attraverso detto varco, col complesso condominiale;

– che l’apertura del varco in questione rappresentava una la violazione della regola del pari uso sancita dall’art. 1102 c.c. per avere la R. effettuato l’apertura di un varco sul muro perimetrale condominiale al fine di mettere in comunicazione lo spazio interno comune, dallo stesso delimitato, con altri immobili confinanti di sua proprietà esclusiva, come accertato dalla consulenze espletate nel corso del giudizio;

– che pertanto andava confermata la sentenza di primo grado che aveva condannato la R. a chiudere il vano e a pagare le spese di lite;

– che anche le spese del giudizio di appello dovevano gravare sulla R., risultata soccombente;

– che in ordine alla domanda di restituzione, ex art. 389 c.p.c., delle somme pagate dal N. alla R. (per spese legali), doveva rigettarsi l’eccezione di litispendenza, occorrendo avere riguardo alla situazione processuale esistente al momento della decisione della lite, e quindi alla mancanza di prova della pendenza del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo;

5 La R. ricorre per cassazione denunziando tre motivi a cui resiste il N. con controricorso. Risulta depositata memoria di costituzione di nuovo difensore del controricorrente contenente, a margine, procura speciale autenticata dall’avv. G.N.. Risulta altresì depositata memoria ex art. 378 c.p.c. da parte del predetto.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Prima di passare all’esame delle censure, va dichiarata la nullità della “memoria di costituzione di nuovo difensore” sottoscritta dall’avv. G.N. e depositata il 15.3.2013.

E’ noto infatti che nel giudizio di cassazione, la procura speciale può essere rilasciata a margine o in calce solo del ricorso o del controricorso, trattandosi degli unici atti indicati, con riferimento al giudizio di legittimità, dall’art. 83 c.p.c., comma 3, sicchè, ove non sia rilasciata in occasione di tali atti, il conferimento deve avvenire, ai sensi del comma 2 del citato art., con atto pubblico o con scrittura privata autenticata che facciano riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata, senza che ad una diversa conclusione possa pervenirsi nel caso in cui sopraggiunga la sostituzione del difensore (tra le varie, Sez. 3, Sentenza n. 13329 del 30/06/2015 Rv. 635909; Sez. 3, Sentenza n. 23816 del 24/11/2010 Rv. 615160; Sez. L, Sentenza n. 9799 del 09/10/1997 Rv. 508652).

Vi è solo da aggiungere che al presente giudizio, iniziato in primo grado nel 1994, non si applica la norma inserita nell’art. 83 c.p.c., dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 9, lett. (a), che consente il rilascio della procura anche al margine di atti diversi da quelli sopra indicati. Infatti, per espressa previsione della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1, “le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”, avvenuta il 4 luglio 2009 (v. Sez. 3, Sentenza n. 18323 del 27/08/2014 Rv. 632092; Sez. 5, Ordinanza n. 7241 del 26/03/2010 Pv. 612212).

Passando adesso alla disamina dei motivi di ricorso, col primo di essi si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 174 c.p.c. e art. 111 Cost. per l’avvenuta sostituzione del relatore all’udienza del 21.6.2011 senza alcuna comunicazione, a tutto danno della ricorrente, che aveva la legittima perplessità sulla emanazione della sentenza senza la completa e totale relazione dei fatti da parte del nuovo consigliere: secondo la ricorrente, la logica della norma processuale di cui all’art. 174 c.p.c. è proprio quella di assicurare “che chi ha partecipato alla fase istruttoria sia la stessa che relazioni al Collegio”.

Il motivo è infondato perchè si scontra con il principio generale, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui l’inosservanza del principio della immutabilità del giudice istruttore, sancito dall’art. 174 c.p.c., in difetto di una espressa sanzione di nullità, costituisce una mera irregolarità di carattere interno che non incide sulla validità degli atti e non è causa di nullità del giudizio o della sentenza (cfr. tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 7622 del 30/03/2010 Rv. 612236; Sez. 3, Sentenza n. 2745 del 08/02/2007 Rv. 595794; Sez. 3, Sentenza n. 24370 del 16/11/2006 (Rv. 593351). La regola è ovviamente applicabile anche al giudizio di impugnazione (Sez. 3, Sentenza n. 24370/2006 da ultimo cit.).

La sostituzione del relatore nel giudizio di appello, avvenuta all’udienza collegiale del 21.6.2011, non implica pertanto nessuna nullità della sentenza.

2 Col secondo motivo la R. deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c. nonchè omessa, insufficiente, illogica, erronea e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo. Dopo aver richiamato il contenuto della sentenza di cassazione 26796/2007, nonchè i quesiti e le osservazioni del CTU nominato nel giudizio di rinvio, la ricorrente deduce l’assenza di uso illegittimo della cosa comune, rimproverando alla Corte d’Appello di avere disatteso le risultanze degli atti notarili e l’operato del CTU perchè il muro perimetrale del cortile condominiale non è stato oggetto di nessuna apertura (apertura insistente invece nella particella (OMISSIS) di proprietà R.): ciò comprova, sempre secondo la ricorrente, che il relatore nominato in sostituzione del precedente, non abbia adeguatamente letto gli atti di causa non essendo state eseguite aperture su suoli altrui, nè esclusivi, nè comuni.

Anche tale censura è priva di fondamento.

In ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato ed ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla “regola” giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione, attenendosi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto col principio di intangibilità (Sez. 5, Sentenza n. 20981 del 16/10/2015 Rv. 636959; Sez. L, Sentenza n. 17353 del 23/07/2010 Rv. 614496; Sez. L, Sentenza n. 26241 del 15/12/2009 Rv. 611500).

La sentenza di questa n. 26797/2007 emessa inter partes da questa Corte ha individuato la tematica del presente giudizio (realizzazione da parte di un condomino di un varco di accesso, praticato in un muro condominiale, al fine di mettere in comunicazione lo spazio interno, anche comune, dallo stesso delimitato, con altri immobili confinanti, di proprietà esclusiva).

Ha poi richiamato il principio dell’illegittimità, ai sensi dell’art. 1102 c.c., di siffatti interventi, nei casi nei quali il suolo, o il fabbricato, cui si sia dato accesso con le suddette modalità, costituisca un’unità immobiliare estranea al condominio, ancorchè appartenente a taluno dei condomini (richiamando, tra le altre, Cass. n. 9036/06, 360/95, 2773/92, 5780/88); ha quindi spiegato che le ragioni del contrasto con la citata fondamentale regola civilistica in tema di uso della cosa comune risiedono nel mutamento di destinazione d’uso che i beni condominiali vengono a subire, senza il necessario consenso degli altri condomini ed in violazione dei concorrenti diritti degli stessi, per effetto della modificazione del muro perimetrale, che oltre ad essere in parte distolto dalla sua funzione di recinzione dei beni comuni, verrebbe ad essere, con la creazione del varco di accesso, asservito al passaggio in favore dell’immobile confinante, con correlativa diminuzione della consistenza dei diritti di comunione.

Ancora, ha osservato che l’affermazione esposta nella sentenza impugnata (secondo la quale l’accesso attraverso un cortile condominiale, mediante un varco praticato nel relativo muretto di recinzione, ad una limitrofa unità immobiliare, appartenente alla condomina R., non violerebbe l’art. 1102 c.c., non estendendo il diritto della condomina sulla cosa, nè impedendo il concorrente diritto di passaggio all’altro condomino, N.) potrebbe essere valida solo nel caso, invero non individuabile dal contenuto della decisione impugnata, in cui la confinante unità immobiliare facesse parte del complesso condominiale de quo, ipotesi nella quale la natura comune e la funzione del cortile sarebbero compatibili con l’accesso ad uno degli immobili costituenti il condominio, risultando invece palesemente in contrasto con il sopra affermato principio giurisprudenziale, in riferimento agli artt. 1102 e 949 c.c., nella diversa ipotesi in cui l’unità immobiliare alla quale si è dato accesso sia estranea al condominio.

L’indagine che si richiedeva al giudice di merito – sulla base dei presupposti di fatto accertati ed ormai intangibili consisteva dunque esclusivamente nel verificare se l’unità immobiliare alla quale si è dato accesso per effetto degli interventi della R. facesse parte del complesso condominiale o se fosse estranea al condominio. Nessun altra verifica era richiesta.

Ebbene, la Corte di rinvio, con apprezzamento in fatto condotto sulle risultanze peritali ha accertato che la particella (OMISSIS) messa in comunicazione con il complesso condominiale “è proprietà esclusiva della R. ed estranea al Condominio” (v. pag. 9).

Tale ratio decidendi non viene aggredita dal motivo in esame (articolato invece in una lunga e diversa ricostruzione, tutta in fatto, circa la natura del muro divisorio e il posizionamento del varco di collegamento) e pertanto si sottrae a censura la sentenza impugnata che, attenendosi ai principi di diritto enunciati con la pronuncia del 2007 di questa Corte, ha tratto poi le debite conseguenze in tema di compatibilità della condotta della R. con l’uso legittimo della cosa comune, pervenendo alla conclusione negativa.

3 Col terzo ed ultimo motivo la R. pone nuovamente una questione procedurale denunziando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5 violazione dell’art. 39 c.p.c.. Osserva che il N., dopo la pronuncia della Cassazione, aveva promosso un giudizio davanti al Tribunale di Taranto per ottenere la restituzione delle spese di lite di primo e secondo grado a suo tempo rimborsate e che dopo la pronuncia di incompetenza emessa dal Tribunale, aveva riproposto la domanda davanti al giudice dichiarato competente (la Corte d’Appello) senza però attendere prima il passaggio in giudicato della sentenza sulla competenza. La Corte d’Appello avrebbe dovuto pertanto dichiarare la litispendenza e pertanto la sentenza anche sotto tale profilo deve essere cassata con tutte le conseguenze di legge.

La censura è priva di fondamento.

Come ammette la stessa ricorrente nell’esposizione della censura, il giudice M. del Tribunale di Taranto aveva emesso una pronuncia di incompetenza. Pertanto, il N., in adesione all’eccezione della R. e alla pronuncia del Tribunale, aveva provveduto in conformità. Si è quindi completamente fuori dal concetto di litispendenza di cui all’art. 39 c.p.c., che presuppone invece la contemporanea “pendenza” davanti a giudici diversi, di due giudizi identici.

In ogni caso – e il rilievo tronca definitivamente ogni ulteriore discussione sul punto – l’eccezione di litispendenza può essere proposta, nel giudizio di cassazione, a condizione che nei precedenti gradi del processo sia stato almeno allegato il fatto della pendenza della stessa causa davanti a diverso giudice e l’interessato dimostri la persistenza, fino all’udienza di discussione, delle condizioni per l’applicabilità dell’art. 39 c.p.c., con conseguente onere di deposito della relativa documentazione, non soggetto alla preclusione di cui all’art. 372 c.p.c. (v. Sez. 2, Sentenza n. 16634 del 03/07/2013 Rv. 627099; Sez. 2, Sentenza n. 22900 del 30/10/2007 Rv. 600693): nel caso di specie manca del tutto tale allegazione sia nel giudizio di merito (come pure osservato dalla Corte di rinvio a pag. 9) sia nel presente, stante l’assoluto silenzio della ricorrente.

In conclusione, il ricorso, infondato, sotto ogni profilo, va respinto con addebito di spese alla parte soccombente.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2016

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