Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20042 del 11/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 11/08/2017, (ud. 03/05/2017, dep.11/08/2017),  n. 20042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 2349/2010 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MILA – Società agricola cooperativa -, rappresentata e difesa

dall’avv. Marco Giontella, con domicilio eletto in Roma, via

Cardinal De Luca 10, presso lo studio del difensore;

– controricorrente –

e sui ricorso iscritto al n. 2349/2010 R.G. proposto da:

MILA – Società agricola cooperativa – -rappresentata e difesa

dall’avv. Marco Giontella, con domicilio eletto in Roma, via

Cardinal De Luca 10, presso lo studio del difensore;

– ricorrente incidentale –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado di

Bolzano n. 25/3/08, depositata il 4 dicembre 2008;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 maggio 2017

dal Consigliere Giusepe Tedesco;

uditi l’avv. dello Stato Pietro Garofoli e per la società l’avv.

GIONTELLA MARCO.

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Riccardo Fuzio, che ha concluso chiedendo il rigetto del

ricorso principale e l’assorbimento del ricorso incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano (Ctr) ha rigettato l’appello dell’Ufficio contro la sentenza di primo grado, che aveva annullato l’avviso di accertamento emesso nei confronti della Cooperativa MILA per l’anno di imposta 2008, con il quale era stata contestata l’indebita detrazione dell’Iva sulle autofatture emesse dalla stessa Cooperativa nei confronti dei propri soci, in quanto registrate in assenza di copia; con il medesimo avviso fu applicata inoltre la sanzione per la mancata regolarizzazione, con auto fattura, delle prestazioni rese in favore della Cooperativa dai centri di raccolta del latte.

Contro la sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate, sulla base di tre motivi, cui la contribuente reagisce con controricorso, contenente ricorso incidentale.

La contribuente ha depositato memoria con la quale evidenzia che il diverso contenzioso con il Fisco, relativo al diverso avviso di accertamento per l’anno 2007 scaturito dalla medesima verifica e caratterizzato dalla identità della contestazione riguardante la mancata conservazione delle fatture emesse in regine di inversione contabile, è stato definito da questa Suprema corte con sentenza n. 24912 del 2011, di rigetto del ricorso dell’Agenzia delle entrate basato su identici motivi.

In tale memoria chiede riconoscersi a tale sentenza efficacia di giudicato esterno con riferimento al presente giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare rileva la Corte che non ci sono le condizioni per riconoscere l’estensione del giudicato sollecitata dalla contribuente con la memoria, seppure i due avvisi derivarono da una medesima verifica. E’ stato infatti chiarito che, in presenza di un unico procedimento di verifica dal quale siano derivati più atti impositivi riferiti a diverse annualità, l’estensione del giudicato, in ipotesi favorevole per il contribuente, formatosi sulla singola annualità, anche alle altre, si giustifica quando sia stata accertata l’invalidità per un vizio del procedimento di verifica tale da comportare in radice l’inutilizzabilità del risultati, perchè ciò si riverbera inevitabilmente sulla legittimità di altri atti impositivi scaturiti dal medesimo procedimento, nei limiti in cui questi si fondino su tali risultati (Cass. n. 4832 del 2015). Diversamente, la ragione per cui i giudizi sugli avvisi emessi per i diversi anni di imposta si conclusero in modo favorevole per la società fu ravvisata dalla Ctr non già nel riscontro di una violazione incorsa nel procedimento di verifica, ma nel riconoscimento della legittimità della detrazione operata dalla contribuente. Ciò posto, per giustificare il diniego, non resta quindi che richiamare il principio secondo cui il giudicato relativo a un periodo di imposta non è idoneo a far stato per i successivi o i precedenti in via generalizzata ed aspecifica, atteso che una simile efficacia va riconosciuta solamente a quelle situazioni relative a qualificazioni giuridiche o ad altri eventuali elementi preliminari rispetto ai quali possa dirsi sussistente un interesse protetto avente carattere di durevolezza nel tempo, non estendendosi a tutti i punti che costituiscono antecedente logico della decisione e, in particolare, alla valutazione delle prove e alla ricostruzione dei fatti (Cass. n. 22941/2013; cfr. Cass. n. 246/2014; Cass. n. 23532/2014).

2. Il primo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per avere la Ctr motivato per relationem alla sentenza di primo grado senza spiegare il perchè dell’adesione. Il motivo si riferisce al rilievo secondo cui la Mila aveva ricevuto prestazioni da parte dei Centri di raccolta latte, che questi non avevano fatturato; da ciò ne era derivata la contestazione, rivolta alla Mila, di non avere regolarizzato le operazioni con autofattura, ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8.

I giudici di primo grado hanno dato come fatto pacifico che i centri raccolta latte pagarono poi l’Iva posticipatamente, come risultava dal fatto che nell’avviso il relativo importo, pari a Euro 3.707,97, veniva richiesto non come Iva da recuperare ma come sanzione amministrativa; da ciò ne hanno tratto la conseguenza che, mediante il pagamento del 50% da parte della contribuente, la relativa violazione fosse stata definita ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 4, lett. b).

Il motivo censura la sentenza per aver fatto propria la valutazione dei primi giudici, nonostante il Fisco, riprendendo quanto già rilevato nell’avviso di accertamento, aveva impugnato la sentenza deducendo che non era ammissibile “una definizione parziale dei rilievi relativi all’Iva ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 5, cosicchè è stato detratto il relativo importo di Euro 1.85398 dall’importo totale dovuto. Da ciò si evince che anche la prima contestazione è rimasta parzialmente in essere con riguardo alla sanzione amministrativa irrogata in base alla non dimostrata rettifica della fattura d’acquisto (…)”.

La carenza motivazionale è dedotta in rapporto al fatto che la sentenza, esaurendosi sul punto nella acritica adesione alla sentenza di primo grado, non consentiva di cogliere l’iter logico in base al quale le censure del Fisco furono disattese.

2.2. Il motivo è inammissibile. Ed invero, se la censura rivolta alla Ctr aveva come fulcro il fatto che il pagamento operato dalla contribuente non poteva essere recepito quale definizione della corrispondente violazione, in quanto parziale rispetto alle contestazioni riguardanti la medesima imposta, ne discende che il rispetto della regola dell’autosufficienza del ricorso per cassazione imponeva al ricorrente di indicare e trascrivere i documenti contenenti le ulteriori contestazioni che rendevano parziale il pagamento; contestazioni, ovviamente, ulteriori e diverse da quella riguardante la “mancata conservazione delle fatture dei soci”, rispetto alla quale la Ctr ha confermato la sentenza dei primi giudici che avevano annullato la relativa ripresa. Qualora riferito a tale contestazione, infatti, il motivo di ricorso risulterebbe incomprensibile, perchè imputa al giudice di non avere motivato sulla parzialità della definizione per condono rispetto a un rilievo che la sentenza aveva posto nel nulla.

3. Il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 25 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Esso si chiude con il seguente quesito di diritto: “dica la Corte se sia erronea la sentenza d’appello che affermi che la mancata conservazione delle fatture di acquisto relative ad operazioni portate in detrazione ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 implichi una mera violazione formale dell’obbligo di emissione della fattura in duplice esemplare, violazione che non comporta l’insussistenza del diritto alla detrazione di imposta; dovendosi al contrario affermare il principio di diritto secondo il quale, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 25 non si ha diritto alla detrazione dell’Iva qualora il contribuente non adempia agli obblighi di tenuta, registrazione e, come nella specie, di conservazione delle fatture, con le modalità stabilite dal D.P.R. n. 633 del 1972”.

3.3. Il motivo è infondato. Nel solco di una giurisprudenza comunitaria consolidata, è oramai principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui, in ordine al diritto della detrazione, le condizioni “sostanziali” devono prevalere sempre su quelle “formali”: il principio di neutralità fiscale esige che, in assenza di frodi o pratiche palesemente elusive, il diritto di detrazione dell’Iva assolta sugli acquisti sia, comunque, accordato se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali siano stati omessi (Corte di giustizia 8 maggio 2008 nelle cause riunite C95/07 e C-96/07). Conseguentemente, l’amministrazione finanziaria, una volta che disponga delle informazioni necessarie per accertare che i requisiti sostanziali siano stati soddisfatti, non può imporre, riguardo al diritto del soggetto passivo di detrarre tale imposta, condizioni supplementari che possano produrre l’effetto di vanificare l’esercizio del diritto medesimo.

Ora nel caso in esame, l’esame della fattispecie impone di riconoscere la natura formale della violazione, essendo in discussione la registrazione della fattura in assenza di una copia cartacea; ma tale contestazione non sembra tenere conto della peculiarità della fattispecie, incontrovertibilmente caratterizzata dal fatto che le fatture non conservate erano state emesse dalla medesima cooperativa nell’esercizio della facoltà accordata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, comma 7, secondo cui “i passaggi dei prodotti di cui al comma 1 agli enti, alle cooperative o agli altri organismi associativi indicati al comma 2, lett. c), ai fini della vendita, anche previa manipolazione o trasformazione, si considerano effettuati all’atto del versamento del prezzo ai produttori agricoli soci o associati. L’obbligo di emissione della fattura può essere adempiuto dagli enti stessi per conto dei produttori agricoli conferenti; in tal caso a questi è consegnato un esemplare della fattura ai fini dei successivi adempimenti prescritti nel presente titolo”.

Ciò posto, il rilievo del Fisco consiste più propriamente nell’avere la contribuente annotato le fatture senza disporre materialmente di un ulteriore esemplare del documento, da essa stesso emesso, del quale, però, non è minimamente posta in discussione la esistenza, così come non è messo in discussione il pagamento della imposta, seppure in ritardo, da parte dei fornitori del latte, circostanze l’una e l’altra del tutto svalutate dalla ricorrente, secondo cui la sola cosa che contava, al fine di negare il diritto di detrazione, è che le fatture non erano state debitamente conservate dalla società, che non disponeva di altri elementi se non i dati del sistema informatico aziendale.

Tanto basterebbe, secondo l’Agenzia delle entrate a legittimare la pretesa fiscale.

Ma è ovvio che una interpretazione del genere, sostenuta in una situazione di certezza circa la esistenza dei requisiti sostanziali per l’esercizio del diritto di detrazione, si porrebbe in radicale contrasto con i principi che governano tale imposta secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, come sopra richiamati.

4. Il rigetto di tale motivo, comporta l’assorbimento del terzo motivo, che censura la sentenza con riguardo alle sanzioni.

E’ del pari assorbito il ricorso incidentale condizionato della contribuente, così come è assorbita la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, formulata per il caso in cui permanessero dubbi sul diritto alla detrazione Iva da parte della Mila.

Le spese seguono la soccombenza e sono perciò a carico della ricorrente principale.

PQM

 

dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale; rigetta il secondo; dichiara assorbito il terzo; dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente, che liquida in Euro 17.000,00, per compensi, oltre rimborso forfetario nella misura del 15 % e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2017

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