Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2004 del 29/01/2020

Cassazione civile sez. lav., 29/01/2020, (ud. 11/09/2019, dep. 29/01/2020), n.2004

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22221-2015 proposto da:

T.L., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocata LUCA DE ANGELIS;

– ricorrente –

contro

SSC SOCIETA’ SVILUPPO COMMERCIALE S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 5/B, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI GIUSEPPE GENTILE,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANGELA DANIELA

ZUCCHETTI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 263/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 12/05/2015 R.G.N. 64/2014.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con ricorso al Tribunale di Cagliari T.L., dipendente della SSC-Società Sviluppo Commerciale s.r.l. presso l’ipermercato di (OMISSIS), ha convenuto in giudizio la società, lamentando di avere subito una serie di comportamenti asseritamente illeciti da parte della datrice di lavoro. In particolare deduceva di essere stata assunta quale cassiera e di avere svolto tale mansione fino al marzo 2004, quando sarebbe stata illegittimamente spostata ai reparti commerciali di vendita, per essersi rifiutata di prestare attività nelle giornate di domenica; di essere stata adibita a mansioni dequalificanti e gravose, incompatibili col suo stato di salute, in assenza di preventiva visita di idoneità e senza mezzi individuali di protezione; di avere osservato un orario diverso e deteriore rispetto a quello contrattualmente pattuito e precedentemente osservato; di essere stata costretta a svolgere compiti in contrasto con le prescrizioni del medico competente.

Deduceva inoltre una serie di comportamenti datoriali scorretti (il rifiuto della società di consegnarle la copia delle timbrature richieste a maggio 2004; il rifiuto di consegnarle la copia del referto del medico competente; il rifiuto di concederle un periodo di ferie a dicembre 2004, cui ha fatto seguito la collocazione “obbligatoria” in ferie nel gennaio successivo e l’imputazione di parte dei giorni di assenza come permesso individuale; l’adozione di provvedimenti disciplinari a seguito di contestazioni infondate; l’atteggiamento umiliante tenuto da parte della Responsabile Risorse Umane a maggio 2005, per essersi rifiutata di seguire un orario articolato su turni).

Chiedeva dunque la condanna della società al risarcimento del danno da demansionamento e mobbing, oltre a differenze retributive, comprese indennità cassa e maneggio denaro.

Resisteva la società.

Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, condannando la SCC s.r.l. al pagamento di Euro 28.695,76 per danno biologico e morale, rigettando le ulteriori domande.

Proponeva appello la SCC s.r.l.; resisteva la T., proponendo appello incidentale in ordine alle domande non accolte.

Con sentenza depositata il 12 maggio 2015, la Corte d’appello di Cagliari accoglieva il gravame principale, respingendo le domande tutte della T., e rigettava l’incidentale.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la T., affidato a cinque motivi, cui resiste la società con controricorso, poi illustrato con memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 c.c., oltre che degli artt. 113,115 e 116 c.p.c., per aver ritenuto che la lavoratrice, già addetta alla barriera casse, non avesse subito alcun demansionamento con l’adibizione ai reparti commerciali di vendita.

Il motivo è inammissibile in quanto, pur lamentando una violazione di legge, peraltro non meglio chiarita, la censura finisce per contestare accertamenti e valutazioni di fatto compiuti dal giudice di appello, in contrasto col l’art. 360 c.p.c., comma 1, novellato n. 5.

2. Con secondo motivo la T. denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 113,115,116,132 e 345 c.p.c. in ordine al dedotto mutamento dell’orario di lavoro.

Il motivo è inammissibile per le stesse ragioni esposte sopra, anche qui essendo la censura rivolta a contrastare congrui accertamenti in fatto compiuti dal giudice del merito sulla base delle emergenze istruttorie.

3. Con terzo motivo la T. denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 113,115 e 116 c.p.c., oltre al D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 4, 16, 40 e ss., D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 18 e 41 contestando che il ritardo nell’effettuazione della richiesta visita medica di idoneità e nella consegna dei mezzi individuali di protezione era attribuibile anche al comportamento della lavoratrice.

Il motivo è ancora una volta inammissibile per le stesse ragioni esposte sopra, avendo la corte di merito accertato che i comportamenti datoriali denunciati derivavano da ripetute e prolungate assenze della T..

4. Con quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 113,115 e 116 c.p.c. e D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 7 in ordine alla valutazione del rifiuto datoriale di consegnarle il foglio di presenza del maggio 2004.

Anche tale motivo risulta inammissibile in quanto, oltre a censurare ancora accertamenti ed apprezzamenti di fatto svolti dalla sentenza impugnata, la ricorrente non chiarisce perchè essa dovrebbe cassarsi per la ragione esposta ed in sostanza quali sarebbero gli effetti giuridicamente rilevanti in tesi derivanti, nell’economia del presente giudizio, dalla declaratoria di violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 7 con riferimento alla dedotta mancata consegna del foglio timbrature del mese di maggio 2004, che la Corte di merito ha congruamente escluso (al di là del diritto del lavoratore di conoscere eventuali ore di straordinario su cui cfr. ora CGUE 14 maggio 2019, causa C-55/2018). In sostanza tale isolato episodio non risulta idoneo a concretare il dedotto generale comportamento vessatorio della società ed il dedotto diritto al risarcimento del relativo danno, peraltro non meglio specificato.

5. Con quinto motivo la T. denuncia la violazione degli artt. 113,115 e 116 c.p.c., oltre all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, circa il mutamento dell’orario di lavoro, la sanzione disciplinare del rimprovero scritto ed altri similari fatti.

Il motivo è inammissibile in quanto attraverso la menzionata dedotta violazione di norme processuali (inerenti essenzialmente la valutazione delle prove) si mira ad una rivalutazione delle emergenze istruttorie.

6. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2020

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