Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20038 del 24/09/2020

Cassazione civile sez. II, 24/09/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 24/09/2020), n.20038

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20857/2019 proposto da:

H.R., elettivamente domiciliato in Udine via Giusto Muratti n.

64, presso lo studio dell’avv.to MARTINO BENZONI, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRIESTE, depositato il

05/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Trieste, con decreto pubblicato il 5 giugno 2019, respingeva il ricorso proposto da H.R., cittadino dell’Afghanistan, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, mentre concedeva la protezione umanitaria.

2. Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che il racconto del richiedente non era credibile. La narrazione circa l’motivi che lo avevano costretto all’espatrio era, infatti, troppo generica, priva di qualsivoglia dettaglio o circostanza che potesse dare un minimo di valore al racconto. Peraltro, non era certa neanche la sua identità personale, in quanto era stato identificato con diverse date e luoghi di nascita. Il richiedente aveva riferito di provenire da (OMISSIS), in Afghanistan e di essere scappato a causa dello scontro tra i talebani e i militari.

Il Tribunale riteneva non credibile il racconto del richiedente, anche rispetto alle sue origini di provenienza e, in ogni caso, rilevava che i più recenti rapporti sull’Afghanistan escludevano la sussistenza di una situazione di conflitto armato generalizzato.

In conclusione, i fatti non integravano i presupposti per il riconoscimento della protezione nazionale nè con riferimento alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b). Del pari, doveva essere rigettata la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).

3. H.R. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: erronea o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

La censura si incentra sulla parte della sentenza che ha negato l’attendibilità del documento di identità prodotto dal richiedente, tale giudizio sarebbe stato formulato dal tribunale senza alcun accertamento sulla genuinità dei documenti esibiti.

Sulla base di tale erroneo presupposto il tribunale non avrebbe poi valutato la domanda mediante anche l’esercizio dei poteri ufficiosi.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: erronea o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14.

Secondo il ricorrente, il tribunale avrebbe violato i criteri di valutazione della domanda di protezione, avendo egli, fin dalla sua audizione personale, documentato con ogni sforzo la propria vicenda.

Peraltro, sarebbe stato necessario un approfondimento istruttorio, attraverso le COI e inoltre, ai fini dell’attendibilità del racconto, doveva tenersi conto dell’elemento soggettivo costituito dall’età del richiedente al momento del verificarsi dei fatti e della presentazione della domanda. Peraltro, la convenzione per i diritti dell’infanzia dell’Onu riconosce al minore di età espresse forme di tutela per la persecuzione o trattamenti disumani e degradanti e, a maggior ragione, nel caso di violazione di un ambiente sociale familiare adeguato della negazione del diritto allo studio la crescita armonica. In tali casi si deve ritenere sussistano gli elementi per la protezione invocata come risulterebbe dalle linee guida sulla protezione internazionale.

La vicenda narrata dal richiedente, infatti, è esemplificativa della violazione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza citati egli infatti è rimasto orfano e gli è stato negato il diritto all’unione familiare allo studio e alla crescita armonica. Sussistono peraltro anche i presupposti di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b). Sia con riferimento al timore di subire persecuzioni e trattamenti disumani e degradanti sia in relazione al rischio per la vita in caso di rimpatrio.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: erronea o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9 e art. 8, comma 3.

Il tribunale non ha acquisito informazioni sulla condizione sociopolitica dell’Afganistan con specifico riguardo la vicenda personale subita dal ricorrente come avrebbe dovuto invece di affermare in modo arbitrario e soggettivo l’assoluta inattendibilità del ricorrente. Sarebbe stata invece doverosa l’acquisizione delle COI o quantomeno un’indagine finalizzata a valutare l’attendibilità delle dichiarazioni del ricorrente e la fondatezza del timore posto a fondamento della domanda di protezione internazionale.

A parere del ricorrente è sempre necessaria l’acquisizione delle informazioni sul paese di origine del richiedente

4. I tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili, anche anche ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, come interpretato da questa Corte a Sezioni Unite con la pronuncia n. 7155 del 2017.

Quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

Peraltro nella specie, la non credibilità del richiedente riguardava la stessa sua nazionalità, oltre che le sue vere generalità, sicchè in proposito deve richiamarsi l’orientamento secondo il quale: “La protezione sussidiaria, disciplinata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ha come presupposto la presenza, nel Paese di origine, di una minaccia grave e individuale alla persona, derivante da violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato, il cui accertamento, condotto d’ufficio dal giudice in adempimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria, deve precedere, e non seguire, qualsiasi valutazione sulla credibilità del richiedente, salvo che il giudizio di non credibilità non riguardi le affermazioni circa lo Stato di provenienza le quali, ove risultassero false, renderebbero inutile tale accertamento” (Sez. 3, Ord. n. 8819 del 2020).

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale di Trieste ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazìone, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, non è stato dunque esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali dell’Afghanistan, perchè la stessa provenienza del ricorrente dal suddetto Paese non è stata ritenuta credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019). Invece l’esercizio di poteri officiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alle fattispecie previste dal citato art. 14, lett. a) e b), si impone solo se le allegazioni di costui al riguardo siano specifiche e credibili, il che non è nella specie, per quanto già detto.

5. In conclusione il ricorso è inammissibile. Nulla sulle spese non avendo svolto attività difensiva il Ministero intimato.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020

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