Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20038 del 22/09/2010

Cassazione civile sez. II, 22/09/2010, (ud. 07/07/2010, dep. 22/09/2010), n.20038

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1085-2005 proposto da:

F.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato MANZI

ANDREA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANNI

LAGO LIVIO;

– ricorrente –

e contro

R.N., (OMISSIS), P.T.,

(OMISSIS);

– intimati –

sul ricorso 3844-2005 proposto da:

P.T. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo studio dell’avvocato CICCOTTI

SABINA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

BRUSADIN STEFANO, BRUSADIN SERGIO;

– controricorrente ricorrente incidentale –

e contro

R.N., F.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1680/2003 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 13/11/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/07/2010 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito l’Avvocato Emanuele COGLITORE, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato Andrea MANZI, difensore del ricorrente che si riporta;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notif. in data 28.05.1994 P.T. e R.N. citavano avanti al tribunale di Bassano del Grappa, F. G. e premesso che quest’ultimo aveva costruito, a distanza non regolamentare rispetto al confine della loro proprietà ed al loro preesistente fabbricato, alcuni manufatti (un tratto della sua abitazione, una parte di un capannone, un silos ed un portico), chiedevano che egli fosse condannato alla demolizione o all’arretramento delle opere suddette. Si costituiva il F. contestando la domanda avversa riardi cui chiedeva il rigetto, in quanto i manufatti erano stati eretti nel pieno rispetto delle distanze legali. Previo espletamento di C.T.U. l’adito tribunale, con sentenza n. 395/99, in parziale accoglimento della domanda, ordinava la demolizione soltanto della parte del fabbricato indicato con la lettera A nella planimetria allegata alla CTU del 16.02.96 nella fascia evidenziata in colore viola.

Avverso tale decisione il F. proponeva appello, affermando che all’epoca dell’edificazione della costruzione in parola, ai fini del regime delle distanze degli immobili dal confine, era applicabile la L. n. 1150 del 1942, art. 41 quinquies parametro che nella fattispecie era stato rispettato, per cui il fabbricato si trovava a distanza regolamentare. Si costituivano gli appellati chiedendo il rigetto dell’impugnazione e proponendo a loro volta appello incidentale instando per la demolizione anche di altre parti , ritenute in violazione delle distanze legali, dei fabbricati indicati con le lettere M, N e O nella cennata relazione del CTU. L’adita Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 1680/2003 depos.

in data 13.11.2003. rigettava entrambe le impugnazioni, dichiarando compensate le spese del grado. Rilevava la Corte veneziana, quanto all’impugnazione principale, che dalla documentazione prodotta emergeva che la costruzione di cui era stata disposta la demolizione dal primo giudice, era stata ultimata in data successiva all’approvazione del PRG adottato con Delib. 6 aprile 1973, n. 316 del Consiglio Comunale di Tezze sul Brenta, per cui era soggetta alla più rigorosa disciplina in tema di distanze tra costruzioni ivi prevista, come peraltro correttamente ritenuto dal primo giudice.

Quanto all’appello incidentale, riteneva che gli edifici di cui non era stata ordinata la demolizione, potevano essere costruiti sul confine, trattandosi di edifici “a cortina continua”, come previsto da una specifica disposizione dello strumento urbanistico locale.

Il F. ricorre per la cassazione di tale pronuncia, sulla base di n. 3 censure, illustrati da successiva memoria ex art. 378 c.p.c.;

il P. resiste con controricorso; proponendo a sua volta ricorso incidentale fondato su di un unico motivo; l’intimata R. infine non ha svolto difesa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente occorre riunire i ricorsi.

Passando all’esame del primo motivo del ricorso, con esso il F. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c. e L. n. 1150 del 1942, art. 41 quinquies; L. n. 291 del 1971, art. 4; L. n. 10 del 1977, art. 4, comma 8, L. n. 1150 del 1942, art. 32, comma 11; l’omessa insufficiente, contraddico ria motivazione: “rilevanza della data d’inizio lavori al fine dell’individuazione della normativa urbanistica applicabile in materia di distanza legale tra le costruzione e dal confine”.

Secondo il ricorrente ai fini dell’applicazione o meno nella fattispecie concreta, delle norme (più restrittive) previste dallo strumento urbanistico all’epoca vigente in tema di distanze legali tra costruzioni, occorre aver riguardo non al momento in cui le opere erano state ultimate (come sostenuto dalla Corte d’Appello che aveva ritenuto il fabbricato realizzato in data successiva all’approvazione regionale del PRG di Tezze sul Brenta) bensì a quello del loro inizio, e quindi in un momento in cui il PRG non poteva ritenersi cogente per i rapporti tra i privati. Nella fattispecie in esame il giudice di merito aveva ritenuto applicabile la nuova normativa che imponeva la distanza tra fabbricati di mt. 10,00, erroneamente interpretando le risultanze probatorie emergenti dal prodotto permesso di abitabilità e agibilità del (OMISSIS) da cui invece emergeva che il fabbricato indicato con la lettera A era iniziato in data (OMISSIS) ed aveva avuto termine il (OMISSIS), giusto il provvedimento concessorio del comune rilasciato in data (OMISSIS) in altre parole, all’epoca in cui era entrato in vigore il detto strumento urbanistico il manufatto di cui trattasi era pressochè ultimato nelle sue strutture essenziali.

La doglianza appare fondata.

Occorre premettere che la giurisprudenza di questa Corte, in tema di distanze fra costruzioni ed in ipotesi di successione di norme nel tempo, ritiene, in linea di principio, che sono d’immediata applicazione, le disposizioni più restrittive sopravvenute, ciò in quanto gli strumenti urbanistici locali, sono essenzialmente diretti alla tutela dell’interesse pubblico nel campo urbanistico, trascendendo quindi, l’interesse dei singoli privati. Ne consegue che, ove sopravvenga una nuova regolamentazione, le nuove costruzioni devono ad essa adeguarsi, anche se l’autorizzazione a costruire fosse legittima sulla base della previgente normativa. Tuttavia il predetto principio trova limite, in caso di maggiore restrittività della nuova normativa, nel caso in cui fosse già avvenuto esercizio dello “jus aedificandi”, con la concreta attuazione dell’opera, poichè in questa ipotesi la nuova disciplina non può spiegare efficacia retroattiva, nè vulnerare situazioni pregresse e già consolidate (Cass. n. 11633 del 29/07/2003; Cass. 3.2.1998 n. 1047). Va altresì segnalato quel indirizzo giurisprudenziale secondo cui, in subiecta materia, lo “jus superveniens” che contenga prescrizioni più restrittive non trova applicazione per le costruzioni che al momento della sua entrata in vigore possono considerarsi già sorte a seguito della realizzazione delle cd. strutture organiche, che costituiscono il punto di riferimento per la misurazione delle distanze legali.

(Cass. 7160 del 24/06/2008; Cass. n. 2626 del 18.3.1987).

Ciò premesso, non può essere condiviso l’orientamento seguito dalla Corte territoriale, che ponendosi in contrasto con il cennato, prevalente indirizzo giurisprudenziale, facendo esclusivamente leva sul solo dato fattuale della data di ultimazione delle opere (in data (OMISSIS)), ha ritenuto applicabili nella fattispecie, le norme più restrittive in tema di distanze legali, contenute nel PRG del Comune di Tezze sul Brenta, entrate in vigore prima del completamento del fabbricato. Nessuna precisazione il giudice dell’appello ha ritenuto di dover fare sul reale stato della costruzione (se fosse stata, in ipotesi, completata o meno nei suoi elementi essenziali ovvero nelle sue “strutture organiche”) nel momento in cui la nuova normativa era sopraggiunta, considerato peraltro che quest’ultimo dato non era affatto pacifico ed è oggetto del successivo motivo di gravame che andiamo ad esaminare.

Invero, con il secondo motivo, il ricorrente, denunciando violazione di legge (art. 2697 c.c., comma 1) e vizi di motivazione, sostiene che l’onere probatorio in ordine alla data di realizzazione dell’immobile ricadeva sulla parte deducente, onere che nella fattispecie non era stato adempiuto dalla medesima, che non aveva dimostrato che la nuova, più restrittiva disciplina era entrata in vigore prima del completamento della costruzione in parola.

Anche tale doglianza appare fondata, essendo conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte.

Invero è stato più volte ribadito che, nel caso in cui il convenuto, contro il quale sia stato domandato il ripristino della distanza legale tra le costruzioni, opponga di aver eseguito la propria costruzione prima dell’entrata in vigore della norma di cui l’attore lamenta la violazione, tale deduzione non configura un’eccezione in senso proprio, ma si risolve nella mera negazione della sussistenza di una condizione dell’azione “ex adverso” proposta; conseguentemente – secondo i principi regolanti la ripartizione dell’onere probatorio – la sussistenza di tale condizione, e cioè l’illegittimità dell’opera in relazione alle norme vigenti al tempo della sua esecuzione, dev’essere dimostrata dall’attore (Cass. n. 3692 del 27.03.1993; Cass. Sez. 2, n. 8661 del 25/06/2001; Cass. n. 14782 del 24/06/2009; Cass. n. 22780 del 03/12/2004).

Conclusivamente devono accogliersi i primi due motivi del ricorso principale , assorbito il terzo motivo, proposto in via subordinata (violazione e falsa applicazione dell’art. 163 c.p.c., comma 3 e art. 112 c.p.c. e vizio di motivazione con riferimento all’eccepita nullità dell’atto introduttivo di citazione ” per indeterminatezza dell’oggetto della domanda demolitoria”).

Passando all’esame del ricorso incidentale, con l’unico motivo l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c., delle previsioni del PRG del Comune di Trezza sul Brenta in materia di distanze legali dai confini, con riferimento all’art. 19 NTA del PRG del 1980 c.p.c.; nonchè l’omessa o insufficiente, contraddittoria motivazione su un aspetto decisivo della controversia, ” al fine d’individuare la normativa di fatto applicabile nella fattispecie per le distanze legali dai confini”.

La censura riguarda la mancata condanna del F. alla demolizione di parte dei fabbricati identificati dal CTU con lettere M, N, O da lui costruiti proprio sul confine. Secondo l’esponente la Corte territoriale ha errato nel richiamare, nella fattispecie, la normativa sulle distanze dal confine di cui all’art. 19 delle NTA dei PRG secondo la quale: ” E’ ammessa la costruzione a confine nei caso di edifici a cortina continua; è ammessa la costruzione in contiguità per case a schiera con progetto unitario. Negli altri casi la distanza minima è di m. 5,00″. Nella fattispecie però – osserva il ricorrente – le costruzioni del F. non possono ritenersi edifici a cortina continua e quindi non sarebbero edificabili in contiguità con le altre costruzioni. D’altra parte, la zona in cui sono stati costruiti i manufatti de quibus, non presentava edifici già edificati, ai quali lo stesso F. avrebbe potuto poggiare i suoi manufatti, in modo appunto da sviluppare una “cortina continua”. In altre parole,perchè la normativa richiamata fosse applicabile , sarebbe stato necessario “… che gli edifici a cortina continua preesistessero ai manufatti di cui si chiedeva la demolizione…”. In effetti le costruzioni in questione non costituivano sviluppo di una cortina continua, ma si presentavano “… come una congerie di manufatti più o meno precari e certamente non a cortina continua nella eccezione della comune terminologia degli architetti”.

La doglianza è fondata.

Per edifici a cortina continua nel comune linguaggio tecnico, s’intendono manufatti perfettamente adiacenti che si presentano uniti da un unico rivestimento murario. Ciò posto, non appare corretto, alla luce delle argomentazioni svolte, il richiamo della Corte di merito alla norma suindicata del PRG (art. 17), prevista – come sottolineato dal ricorrente – solo per i nuclei residenziali esistenti, e di completamento (zona C/1B) ed estesa per relationem alle zone che ci interessano. La ratio legis è quella di consentire di costruire senza il rispetto delle distanze dai confini e in contiguità però solo “… quando ci sono unità immobiliari addossate per un lungo tratto rettilineo le une alle altre, come avviene nei centri storici e nelle contrade con una fila di case ininterrotta, una appresso all’altra , ma con qualche interstizio libero: in questi casi (sarebbe) inutile lasciare dei tratti non edificati per il rispetto della distanza dal confine, essendo invece logico e possibile costruire in contiguità”. Nella fattispecie, alla luce della motivazione della sentenza, sembrerebbero mancare tali presupposti di fatto per cui diverrebbe applicabile la normativa che prescrive come regola generale, la distanza di 5 metri minimi dal confine. Nè vale invocare – come fa il F. – il cd. criterio della prevenzione di cui agli artt. 873 e 875 c.c. Secondo questa S.C., qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire “in aderenza” od “in appoggio”, la preclusione di dette facoltà non consente l’operatività del principio della prevenzione (Cass. Sez. 2, n. 8465 del 09/04/2010; Cass. n. 11899 del 2002; Cass. n. 22896 del 30.10.2007).

In conclusione anche l’appello incidentale va accolto. La sentenza dev’essere dunque cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’Appello di Venezia la quale dovrà pronunciarsi sulla base dei principi come sopra enunciati.

P.Q.M.

la Corte, riunisce i ricorsi e li accoglie entrambi; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche spese le spese del giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Venezia.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2010

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