Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20038 del 11/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 11/08/2017, (ud. 01/06/2017, dep.11/08/2017),  n. 20038

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11761/2010 R.G. proposto da:

C.S.C., rappresentata e difesa dagli avv. Francesco Perugini e Mario

Longavita, con domicilio eletto in Roma via Lazio 20/c, presso lo

studio legale Coggiatti;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Umbria n. 21/05/09, depositata il 18 marzo 2009;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’1 giugno

2017 dal Consigliere Giuseppe Tedesco.

Fatto

RILEVATO

che:

– la contribuente ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Umbria (Ctr) che ha rigettato l’appello avverso la sentenza di primo grado, di rigetto del ricorso della stessa contribuente, in relazione a un avviso di accertamento ai fini Irpeg, Irap e Iva per l’anno 1998.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– in primo luogo si deve precisare, con riguardo alla nota con la quale è stata portata a conoscenza di questa Corte l’intervenuto fallimento della società ricorrente (sentenza del tribunale di Perugia in data 30 maggio 2012), che da ciò non ne derivano conseguenze sul presente giudizio di cassazione, cui non sono applicabili le comuni cause di interruzione del processo previste dalla legge in generale (Cass. n. 8685/2012);

– i motivi di ricorso, cui l’Agenzia delle entrate ha reagito con controricorso, sono inammissibili;

– in particolare, il primo motivo di ricorso è inammissibile per assoluta carenza di specificità fin dalla rubrica, dove è posta come norma violata l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, mentre tale previsione delinea uno dei motivi di censura proponibile in sede di legittimità e non può costituire, essa stessa, la norma di cui si assume la violazione da parte del giudice d’appello;

– di là dalla rubrica sembra che la ricorrente abbia voluto dedurre una violazione di legge, ma tuttavia questa non è riferita alla sentenza della Ctr (mai menzionata nel corso del motivo) ma in via diretta e immediata all’accertamento, che ovviamente non costituisce l’oggetto immediato del giudizio di legittimità;

– in apertura del motivo è posto un quesito di diritto, ma questo a sua volta è formulato in termini tali da costituire, esso stesso, una ulteriore e autonoma ragione di inammissibilità del motivo, essendo formulato in termini generici e astratti, ossia senza riferimenti alla fattispecie concreta (Cass. n 8016/2009; n. 4829/2016), risolvendosi inammissibilmente in una generica richiesta indirizzata alla Corte “Se le prescrizioni contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42,comma 2 debbano essere rispettate, ed in particolare sia sotto l’aspetto formale che sotto quello di contenuto con riferimento alle norme di rinvio ivi contemplate”;

– al contrario il quesito deve investire la ratio decidendi della decisione impugnata, proponendone un’alternativa di segno opposto (Cass. n. 4044/2009; n. 1751/2009);

– il secondo, motivo, mutatis mutandis, incorre nella medesime ragioni di inammissibilità, sia nella rubrica, sia nello sviluppo, operato non in correlazione alla sentenza impugnata, ma in opposizione all’avviso di accertamento e all’iter seguito dal Fisco, mentre la sentenza è genericamente menzionata insieme alla sentenza di primo grado solo in alcuni passaggi (“si contesta e nega che gli elementi posti a supporto dell’avviso di accertamento prima e delle decisioni delle commissioni tributarie poi siano rispettosi dei principi legali (…)”; “anche a volere ammettere che gli elementi probatori indicati dall’Ufficio prima e considerati poi dal giudice tributario potessero, in qualche misura, logicamente giustificare (…)”; “nessuno degli elementi indizianti, come indicati dall’Ufficio accertatore e presi in considerazioni dalle commissioni, ha nè direttamente, nè in correlazione agli altri capacità probatoria (…)”;

– con riferimento al quesito posto in apertura del motivo possono ripetersi le medesime considerazioni già fatte a proposito del precedente motivo;

– il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 11.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2017

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