Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20037 del 24/09/2020

Cassazione civile sez. II, 24/09/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 24/09/2020), n.20037

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21056/2019 proposto da:

W.X., elettivamente domiciliato in Torino via Enrico Cialdini

n. 41, presso lo studio dell’vv.to FLAVIO GRANDE, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 20/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Milano, con decreto pubblicato il 20 maggio 2019, respingeva il ricorso proposto da W.X., cittadina (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. Il Tribunale riteneva non necessario procedere all’audizione della richiedente formulata in modo solo generico e senza l’indicazione di specifiche circostanze di fatto modificative o aggiuntive rispetto a quanto rappresentato dinanzi alla commissione territoriale.

La richiedente aveva riferito di essere di etnia (OMISSIS) di essere andata a scuola per nove anni e di aver lavorato fino al 2014 vendendo abbigliamento, di aver divorziato dal marito nel (OMISSIS) a causa della sua fede religiosa, di avere un figlio con il quale non ha più avuto contatti, e di avere in Cina nel villaggio natale la madre e i fratelli. La stessa aveva riferito, inoltre, di aver lasciato il proprio paese il 15 dicembre 2015, in aereo, per una persecuzione inerente il culto dell'(OMISSIS), partita dal marito e poi estesa al capo del villaggio che l’aveva anche denunciata alla polizia. Per questo motivo aveva deciso di lasciare il paese per evitare l’arresto e professare liberamente la sua religione. Infine, aveva riferito di avere timore di ritornare nel proprio paese per paura di essere arrestata.

Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che il racconto del richiedente non era credibile. In particolare, la vicenda presentava elementi di forte contraddittorietà sia rispetto alle molteplici denunce alla polizia, sia in relazione ai tempi della conversione e ai problemi derivanti. Inoltre, le incongruenze derivavano anche dal non aver preso alcuna precauzione, nonostante il forte atteggiamento repressivo del governo cinese oltre alle contraddizioni delle altre circostanze del racconto, relative alla compagna di fede prima arrestata e poi rilasciata senza alcun maltrattamento. Il racconto non era credibile anche in relazione alla conversione e alla guarigione miracolosa da un tumore, peraltro la richiedente non aveva fornito alcun riscontro documentale di tale malattia e risultava poco credibile che non avesse più fatto alcun accertamento o controllo. Infine, la documentazione prodotta dalla richiedente non era idonea a superare le contraddizioni evidenti e riscontrate nel racconto.

Sulla base dell’inattendibilità del racconto effettuato dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in assenza di ulteriori riscontri probatori, rendeva inaccoglibile l’istanza di protezione non sussistendo elementi sui quali concretamente basare una decisione in senso positivo.

Quanto alla protezione sussidiaria oltre alla non credibilità del racconto secondo il Tribunale doveva evidenziarsi che mancavano i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, del resto la stessa ricorrente, a motivo dell’espatrio, non aveva allegato una ragione connessa alla situazione di conflitto o instabilità interna e in ogni caso la situazione generale del paese non presentava una generata situazione generalizzata situazione di violenza indiscriminata.

Con riferimento alla protezione umanitaria il Tribunale evidenziava che doveva confermarsi l’insussistenza di una condizione di vulnerabilità sia tenuto conto della condizione personale della ricorrente che della situazione generale del paese di provenienza. Peraltro, la ricorrente non aveva allegato alcun rapporto di lavoro nella partecipazione un corso di volontariato o a un corso di italiano non aveva dimostrato un effettivo radicamento sul territorio. Tutto ciò unitamente alla scarsa credibilità del racconto evidenziava che non vi era una situazione di grave violazione individuale dei diritti umani cui la richiedente aveva inteso sottrarsi.

3. W.X. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di un motivo di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito tardivamente al solo fine di partecipare all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. L’unico motivo di ricorso è cosi rubricato: violazione di legge, art. 111 Cost., comma 7, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

La censura attiene alla valutazione negativa sulla credibilità del ricorrente basata su parametri diversi da quelli normativi e senza porre in essere l’obbligo di cooperazione istruttoria.

2. L’unico motivo di ricorso è inammissibile, anche ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, come interpretato da questa Corte a Sezioni Unite con la pronuncia n. 7155 del 2017.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

Come si è detto la Corte d’Appello ha esaminato, richiamando varie fonti di conoscenza, la situazione generale del paese di origine ed in particolare della regione di provenienza del ricorrente, precisando che, in base alle fonti, deve escludersi una situazione di violenza indiscriminata in conflitto armato.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali della Cina, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019). Invece l’esercizio di poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alle fattispecie previste dal citato art. 14, lett. a) e b), si impone solo se le allegazioni di costui al riguardo siano specifiche e credibili, il che non è nella specie, per quanto già detto.

5. In conclusione il ricorso è inammissibile. Nulla sulle spese non avendo svolto attività difensiva il Ministero intimato.

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020

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