Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20035 del 24/09/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 20035 Anno 2014
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: MERCOLINO GUIDO

SENTENZA

di polizia idraulica

sul ricorso proposto da
TELECOM ITALIA S.P.A., rappresentata da Roberto Caligaris, in virtù di procura per notaio Maria Chiara Bruno del 17 novembre 2010, rep. n. 23642, elettivamente domiciliata in Roma, alla via G. Pierluigi da Palestrina n. 47, presso l’avv.
FILIPPO LATTANZI, dal quale, unitamente agli avv. PIETRO FERRARIS ed
ENZO ROBALDO, è rappresentata e difesa in virtù di procura speciale in calce al
ricorso
RICORRENTE

contro
REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente della Giunta regionale p.t.,
elettivamente domiciliata in Roma, alla via Vittorio Veneto n. 108, presso l’avv.
GIULIANO M. POMPA, unitamente all’avv. MARCO CEDERLE dell’Avvocatura regionale, dal quale è rappresentata e difesa in virtù di procura speciale in calce
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Data pubblicazione: 24/09/2014

alla copia notificata del ricorso
CONTRORICORRENTE

avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano n. 311/13, pubblicata il 23

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3 luglio 2014
dal Consigliere dott. Guido Mercolino;
udito l’avv. Robaldo per la ricorrente e l’avv. Pompa per delega del difensore
della controricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Lucio CAPASSO, il quale ha concluso per l’accoglimento del primo motivo
di ricorso, restando assorbito il secondo motivo e parzialmente il terzo, da dichiararsi inammissibile o comunque infondato nel resto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. — Con sentenza del 23 gennaio 2013, la Corte d’Appello di Milano confermava la sentenza in data 3 marzo 2011, con cui il Tribunale della stessa città
aveva respinto l’opposizione proposta dalla Telecom Italia S.p.a. avverso l’ordinanza ingiunzione emessa dalla Regione Lombardia per il pagamento di una
somma a titolo di «canone per l’occupazione e uso di beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato», e precisamente per l’attraversamento del c.d.
reticolo idrico demaniale con infrastrutture della rete di telecomunicazione.
In particolare, la Corte d’Appello osservava che: 1) l’art. 93 del Codice delle
comunicazioni elettroniche (d.lgs. n. 259 del 2003) stabilisce al primo comma che
«le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono
imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge»; nell’ambito dei canoni

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gennaio 2013.

od oneri stabiliti per legge devono ricomprendersi i canoni di concessione del demanio idrico (art. 822 cod. civ.), la cui determinazione ed introito sono delegati
alle regioni dagli artt. 86, comma 1, e 89, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1998 e

2000, poi sostituita dalla legge regionale n. 26 del 2003; ne consegue che nella
specie il canone di occupazione è prestazione imposta per legge ed è, pertanto, fatta salva dalle norme del Codice delle telecomunicazioni; 2) l’imposizione di un
canone per l’attraversamento del reticolo idrico non si pone in contrasto con i
principi sanciti dagli artt. 88 e 93 del d.lgs. n. 259 del 2003, ed in particolare con
la finalità di uniformare le condizioni di fornitura delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, poiché la Regione Lombardia nell’omogeneo contesto del
suo territorio pratica verso tutti i soggetti le stesse tariffe; 3) la disciplina dettata
dal d.lgs. n. 259 del 2003 non deroga alla disciplina del demanio idrico, e pertanto
l’imposizione di un canone non postula che lo stesso sia previsto da una legge successiva, condizione non contemplata dall’art. 93 del citato d.lgs., che richiede soltanto che la prestazione sia prevista dalla legge; 4) l’imposizione di un canone non
è in contrasto con l’art. 23 Cost., sia perché il canone in questione è previsto dalla
legge, sia perché non si tratta di un’imposizione tributaria, e neppure è in contrasto
con la direttiva comunitaria 2002/20/CE, ricorrendo i requisiti di trasparenza, obiettiva giustificazione, proporzionalità e non discriminazione; 5) non è rilevante
l’eccezione di incostituzionalità della legge regionale n. 10 del 2009 (che prevede
la decadenza della concessione in caso di mancato pagamento di due annualità del
canone), in quanto la stessa non è applicabile nella specie ratione temporis; 6) è
inconferente il richiamo della sentenza n. 450 del 2006 della Corte costituzionale
relativa all’imposizione di una tassa per spese di istruttoria; 7) non si può prospet-

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sono stati disciplinati dalla Regione Lombardia con la legge regionale n. 1 del

tare una lesione dei principi a tutela della concorrenza, in quanto tutte le Regioni
devono introitare i canoni di occupazione; 8) il canone è dovuto indipendentemente dall’effettiva occupazione dell’area concessa.

vi, illustrati anche con memoria. La Regione Lombardia resiste con controricorso,
anch’esso illustrato con memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. — Con il primo articolato motivo, la ricorrente deduce, oltre al vizio di
motivazione, la violazione dell’art. 10 del d.lgs. n. 198 del 2002; degli artt. 5, 25,
35, 50, 58, 88 e 93 del d.lgs. n. 259 del 2003; dell’art. 2 del d.lgs. n. 112 del 1998;
degli artt. 1, 3 e 10 della legge n. 241 del 1990; dell’art. 97 Cost.; degli artt. 11 e
13 nonché del 15 0 considerando della direttiva comunitaria 2002/20/CE; degli
artt. 822 e 823 cod. civ.; degli artt. 90 e 92 della legge della Regione Lombardia n.
10 del 2003. La ricorrente a sostegno delle censure svolge le argomentazioni che
così possono sinteticamente riassumersi: a) dagli artt. 35, 88, 93 del d.lgs. n. 259
del 2003 discende che solo una legge statale successiva in tema di telecomunicazioni può prevedere oneri o canoni ulteriori; b) l’art. 823 cod. civ. non impone che
i modi attraverso i quali beni demaniali possono formare oggetto di diritti di terzi
comprendano necessariamente il pagamento di un canone; c) il d.lgs. n. 112 del
1998 non disciplina la materia delle telecomunicazioni; d) la legge regionale della
Lombardia n. 10 del 2009 e qualsiasi altra legge regionale in tema di canoni di
concessione demaniale dovrebbero ritenersi costituzionalmente illegittime se ritenute applicabili alla materia delle telecomunicazioni in quanto in contrasto con i
principi fondamentali, la cui determinazione è riservata dall’art. 117 Cost. allo Stato, che nella specie ha provveduto con il d.lgs. n. 259 del 2003; e) il regio decreto

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2. — La Telecom Italia propone ricorso per cassazione, deducendo tre moti-

n. 523 del 1904 ed il regio decreto n. 2669 del 1933, richiamati dall’art. 89 del
d.lgs. n. 112 del 1998, non menzionano o disciplinano canoni idraulici o di polizia
idraulica; f) l’applicazione di un canone concessorio per l’attraversamento del de-

pristino, COSAP e TOSAP); g) la direttiva comunitaria 2002/20/CE lascia piena
libertà agli Stati membri per la disciplina delle modalità di utilizzazione dei beni
pubblici, non prevedendo affatto l’imposizione di canoni, la cui esclusione è, invece, ricavabile dalla legislazione nazionale.
2. — Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta l’erroneità del capo della
sentenza che ha considerato assolto l’onere della prova a carico della Regione con
la produzione del provvedimento concessorio, senza la prova di un’effettiva occupazione.
3. — Con il terzo motivo, si lamenta la mancata riunione dei numerosi giudizi aventi ad oggetto controversie connesse soggettivamente ed oggettivamente.
Con lo stesso motivo si censura la condanna della Telecom al pagamento delle
spese processuali liquidate in Euro 2.000,00 per ciascuno dei giudizi, e perciò in
un importo notevolmente superiore a quello recato dall’ordinanza opposta.
4. — Il primo motivo è fondato.
Sul punto, questa Corte si è pronunciata di recente, nel contraddittorio tra le
stesse parti, con le sentenze del 30 giugno 2014, nn. 14788 e 14789, che hanno affermato il seguente principio di diritto: «l’attraversamento del demanio idrico gestito dalle Regioni, ai sensi degli artt. 86 e 89 del d.lgs. n. 112 del 1998, da parte
di infrastrutture di comunicazione elettronica non è soggetto al pagamento di oneri o canoni che non siano previsti dal d.lgs. n. 259 del 2003 o da legge statale
ad esso successiva». A tale orientamento deve essere data continuità.

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manio idrico rappresenterebbe una duplicazione di altri oneri (indennizzo per ri-

Con il Codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs. n. 259 del 2003), l’Italia ha recepito, come dimostra la loro menzione nel preambolo, le direttive quadro
sulle comunicazioni elettroniche, emanate nelle date del 7 marzo 2002 e del 16

lativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e
all’interconnessione delle medesime; direttiva 2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica; direttiva 2002/21/CE, che
istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione
elettronica; direttiva 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli
utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica; direttiva 2002/
77/CE, relativa alla concorrenza nei mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica).
La finalità perseguita con tali direttive, come risulta anche dai principi e criteri direttivi fissati dalla legge delega [art. 41, comma 2, lett. a]) e a8), della legge
1° agosto 2002, n. 166], è quella, per quanto qui interessa, di garantire: al) agli
imprenditori l’accesso al mercato con criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità; a8) agli utenti finali la fornitura del servizio universale, senza distorsioni della concorrenza.
In tale contesto, l’art. 93 del Codice, con la rubrica «divieto d’imporre altri
oneri», così testualmente recita: «l. Le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le
Province ed i Comuni non possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio
dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per
legge. 2. Gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno
l’obbligo di tenere indenne la Pubblica Amministrazione (n.d.e.: il riferimento alla
Pubblica Amministrazione, non rilevante in questa sede, è stato inserito dal d.lgs.

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settembre 2002 dal Parlamento europeo e dal Consiglio (direttiva 2002/19/CE, re-

n. 70 del 2012), l’Ente locale, ovvero l’Ente proprietario o gestore, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte

rio, reale o contributo può essere imposto, in conseguenza dell’esecuzione delle
opere di cui al Codice o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica,
fatta salva l’applicazione della tassa (n.d.e.: c.d. TOSAP) per l’occupazione di
spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre
1993, n. 507, oppure del canone (n.d.e.: c.d. COSAP) per l’occupazione di spazi
ed aree pubbliche di cui all’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997,
n. 446, e successive modificazioni, calcolato secondo quanto previsto dal comma
2, lettere e) ed f), del medesimo articolo, ovvero dell’eventuale contributo una tantum per spese di costruzione delle gallerie di cui all’articolo 47, comma 4, del
predetto decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507».
Tale disposizione è stata ritenuta dalla Corte costituzionale, con riferimento
all’art. 117 Cost. ed alla competenza riservata allo Stato, «espressione di un principio fondamentale, in quanto persegue la finalità di garantire a tutti gli operatori
un trattamento uniforme e non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre a carico degli stessi oneri o canoni. In mancanza di un tale principio,
infatti, ciascuna Regione potrebbe liberamente prevedere obblighi pecuniari a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio, appunto, di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre Regioni, per i quali, in
ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti. È evidente che la finalità della norma è anche quella di tutela della concorrenza, sub specie di garanzia di parità di trattamento e di misure volte a non ostacolare l’ingresso di nuovi soggetti

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le aree medesime nei tempi stabiliti dall’Ente locale. Nessun altro onere finanzia-

nel settore. Ad analogo criterio si ispira la disposizione che sancisce, in capo agli
operatori, l’obbligo di tenere indenni gli enti locali o gli enti proprietari delle
spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche» (cf. Corte

2006 e n. 272 del 2010).
Si deve, poi, escludere che «il citato art. 93 si limiterebbe a sancire una riserva di legge per così dire “generica”; ciò che, pertanto, non precluderebbe un
intervento delle Regioni, purché esso sia disposto con atto legislativo. Sul punto è
sufficiente osservare che la citata disposizione ha inteso riferirsi, con tutta evidenza, alla sola legge statale. È quanto si desume, in primo luogo, dalla circostanza che il richiamo alla legge, contenuto in una norma dello Stato, deve essere
interpretato – in assenza di ulteriori specificazioni – come rinvio ad una fonte legislativa comunque di provenienza statale». Inoltre, se così non fosse sarebbe
contraddetta «la stessa ratio legis, come individuata da questa Corte nella già citata sentenza n. 336 del 2005, e cioè evitare che ogni Regione possa “liberamente
prevedere obblighi pecuniari a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio,
con il rischio, appunto, di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori
di altre Regioni, per i quali, in Ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti”» (cfr. Corte cost., sent. n. 272 del 2010).
4.1. — Da quanto sinora detto consegue che il punto decisivo della questione
sottoposta all’esame di questa Corte consiste nella possibilità o meno di individuare le norme statali che consentono l’imposizione di oneri negli artt. 822 e 823 cod.
civ. e negli artt. 86 e 89 del d.lgs. n. 112 del 1998 (c.d. decreto Bassanini), che delegano alle Regioni la gestione del demanio idrico, le relative concessioni, la determinazione dei canoni e l’introito dei relativi proventi.

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cost., sent. n. 336 del 2005, i cui principi sono stati ribaditi dalle sent. n. 450 del

Tale possibilità deve essere, tuttavia, esclusa. Le disposizioni in esame non
sono, infatti, compatibili con i principi sopra richiamati e, in particolare, con la liberalizzazione del mercato secondo principi di non discriminazione e proporzio-

di concessione del demanio idrico da parte delle singole Regioni consentirebbe,
anzitutto, contrariamente a quanto escluso in radice dal d.lgs. n. 259 del 2003 e
dai suoi principi ispiratori, condizioni diverse per i singoli operatori a secondo
delle determinazioni delle Regioni che governano il territorio sul quale essi operano; inoltre, l’imposizione di canoni di concessione, in assenza di un riferimento
agli utenti raggiunti rinvenibile nelle disposizioni statali invocate dalla Regione,
violerebbe il principio di universalità poiché, da un lato, imporrebbe oneri non
proporzionati secondo criteri di incentivazione dello sviluppo della comunicazione elettronica e, d’altro canto, come rovescio della stessa medaglia, contribuirebbe
a disincentivare il raggiungimento di potenziali utenti isolati, mentre obiettivo del
Codice è il raggiungimento «di tutti gli utenti finali ad un livello qualitativo stabilito, a prescindere dall’ubicazione geografica dei medesimi» (art. 53).
L’incompatibilità di fondo della normativa che la controricorrente Regione
invoca come deroga alla esclusione di ulteriori oneri, prevista dall’art. 93 citato, è
confermata dal fatto che il Codice delle comunicazioni elettroniche si pone come
normativa speciale rispetto alla materia da esso regolata. In tal senso depongono
chiaramente sia la scelta della legge di delegare al Governo «l’istituzione di un
quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica»
[art. 41, primo comma lett. a), della legge n. 166 del 2002], sia la scelta di racchiudere in un “codice” le disposizioni legislative e regolamentari in materia di
telecomunicazioni [art. 41, secondo comma, lett. a), della legge n. 166 del 2002].

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nalità e con il principio di universalità del servizio. La determinazione dei canoni

Non può sfuggire, infatti, che il termine “codice” sottintende un testo normativo in
grado di disciplinare compiutamente la materia, un «corpo organico e sistematico
comprensivo di tutte le norme pertinenti a un ramo del diritto» (cfr. Enciclopedia

4.2. — Da quanto sinora detto e, in particolare, dalla riaffermata necessità
che, in materia di infrastrutture di comunicazione elettronica, eventuali oneri o
canoni, diversi da quelli previsti dal d.lgs. n. 259 del 2003, siano stabiliti con legge statale ad esso successiva discende quanto segue.
Resta assorbita, vertendo su norme di leggi statali anteriore al Codice, la questione se dagli artt. 822 e 823 cod. civ. e dagli artt. 86 e 89 del d.lgs. n. 112 del
1998 discenda o meno l’obbligo di imporre un canone di polizia idraulica.
Le leggi della Regione Lombardia anteriori al d.lgs. n. 259 del 2003, le quali
avessero previsto un canone per l’attraversamento del demanio idrico da parte di
infrastrutture di comunicazione elettronica, dovrebbero ritenersi abrogate ai sensi
dell’art. 10 della legge n. 10 del 1953 («Le leggi della Repubblica che modificano
i principi fondamentali … abrogano le norme regionali che siano in contrasto con
esse»); ne consegue che non è possibile alcun utile riferimento alla legge della
Regione Lombardia n. 1 del 2000.
Per le leggi regionali successive all’entrata in vigore del Codice, non si può
uscire da questa alternativa: a) la legge regionale successiva prevede espressamente un canone per le infrastrutture di telecomunicazione ed allora si pone una
questione di legittimità costituzionale, in relazione all’art. 117 Cost., per la violazione dei principi fondamentali dettati dallo Stato; b) la legge regionale successiva
detta una generica disposizione in tema di canoni di concessione del demanio idrico, senza riferirsi specificamente alle infrastrutture di telecomunicazione ed al-

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Treccani on line).

lora se ne deve presumere, in sede interpretativa, la legittimità, escludendo dal suo
ambito di applicazione le dette infrastrutture, in quanto non specificamente previste ed assoggettate a regime speciale dal Codice delle comunicazioni elettroniche.

d.lgs. n. 259 del 2003 ricadano nella seconda alternativa sopra descritta. Invero,
nella sua formulazione originaria, la legge regionale n. 26 del 2003, attribuiva agli
organi regionali (art. 44 lett. d) «la riscossione e l’introito dei canoni di cui all’art.
52, comma 4» e cioè «(de)i canoni d’uso delle acque e (de)i sovracanoni comunali, provinciali e dei bacini imbrifèri montani, con riferimento alle caratteristiche
delle risorse utilizzate, alla destinazione d’uso delle stesse, ed in applicazione del
principio del risarcimento dei costi ambientali causati». Nella formulazione del
citato art. 52, comma 4, compare, dopo le modifiche dettate dalla legge regionale
n. 26 del 2006, il riferimento ai «canoni per l’uso delle aree del reticolo principale». In entrambe le formulazioni manca, tuttavia, un riferimento alle infrastrutture
di telecomunicazione.
Lo stesso deve dirsi per la legge regionale n. 10 del 2009, che, per quanto interessa, si limita a dettare una disciplina dei «canoni di concessione per l’occupazione» accanto a quelli per l’uso dei beni del demanio (art. 6), ancora una volta
senza alcuno specifico riferimento alle infrastrutture di telecomunicazione.
4.3. — In conclusione, la pretesa regionale di imporre canoni per l’attraversamento del demanio idrico con cavi e infrastrutture di telecomunicazione, non è
giustificata da alcuna norma, statale o regionale, ma è stata esercitata in attuazione
di atti amministrativi (delibere della Giunta regionale, supposte come integrative
della disciplina di legge), la cui illegittimità ne comporta la disapplicazione.
5. — Il secondo motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo. Lo stesso

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Il Collegio ritiene che tutte le leggi della Regione Lombardia successive al

deve dirsi per il terzo motivo laddove lamenta l’entità della liquidazione delle spese; tale motivo è invece inammissibile laddove lamenta la mancata riunione delle
cause. I provvedimenti di riunione e separazione di cause costituiscono infatti e-

su valutazioni di mera opportunità, con la conseguenza che essi non sono sindacabili in sede di legittimità e non comportano, per gli effetti che ne discendono sullo
svolgimento dei processi, alcuna nullità (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. III, 15 maggio 2007, n. 11187).
6. — La sentenza impugnata deve essere cassata e, poiché non sono necessari
ulteriori accertamenti e valutazioni di fatto, questa Corte, decidendo nel merito,
dichiara non dovuta la somma ingiunta.
7. — Soccorrono giusti motivi, in considerazione della novità della questione, per compensare le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti il secondo motivo
e parzialmente il terzo, che dichiara inammissibile nel resto; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara non dovuta la somma ingiunta; compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2014, nella camera di consiglio della Prima
Sezione Civile

sercizio del potere discrezionale del giudice, hanno natura ordinatoria e si fondano

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