Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20034 del 22/09/2010

Cassazione civile sez. trib., 22/09/2010, (ud. 02/07/2010, dep. 22/09/2010), n.20034

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6508-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

SARTO SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIALE GIULIO CESARE 14, presso lo

studio dell’avvocato BARBANTINI FEDELI MARIA TERESA, rappresentato e

difeso dall’avvocato MODENA FRANCO, giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 81/2004 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 07/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/07/2010 dal Consigliere Dott. CARLO PARMEGGIANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

LA Agenzia delle Entrate, ufficio di Adria, sulla base di una segnalazione della Guardia di Finanza di Rovigo, secondo cui la società Sarto s.r.l. aveva fittiziamente acquistato dalla società Maris s.r.l. grossista di prodotti ittici, partite di pesce in realtà inesistenti, esponendo i relativi costi, emetteva nei confronti della prima tre avvisi di accertamento parziale, provvedendo al recupero a tassazione dei relativi importi, a fini IRPEG ed ILOR per il 1995 ed il 1996, ed IVA per il 1996.

La società impugnava gli avvisi, sostenendo la illegittimità del ricorso ad accertamento parziale e la infondatezza nel merito della pretesa fiscale.

La Commissione Tributaria Provinciale di Rovigo riuniti i ricorsi, li accoglieva.

Appellava l’Ufficio, e la Commissione Tributaria Regionale del Veneto con sentenza n. 81/30/04 in data 22-11-04, depositata in data 7-2- 2005, respingeva il gravame, confermando la decisione impugnata.

Avverso la sentenza la Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione con due motivi.

La società resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo l’Ufficio deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, art. 2697 c.c. ed inoltre omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia. Espone preliminarmente che la Commissione ha errato nel ritenere che non sussistessero le condizioni per la ammissibilità dell’accertamento parziale, in primo luogo perchè detta questione è in sè irrilevante in quanto la sussistenza dei requisiti in questione può venire in discussione solo ove si proceda ad un successivo accertamento per lo stesso periodo di imposta, laddove, in caso contrario, l’atto rimane soggetto alla normativa per l’accertamento non parziale; in secondo luogo, perchè dette condizioni sussistevano, non potendosi accogliere l’assunto della Commissione secondo cui le segnalazioni da fonti esterne (e non a seguito di istruttoria dell’Ufficio) che legittimano l’accertamento parziale devono essere evidenti e non sindacabili, con intrinseca e non discutibile validità argomentativa, in quanto l’accertamento è legittimo sulla base di segnalazioni anche prive di forza probatoria univoca; ed infine, perchè anche tale requisito in sè non necessario era presente nella fattispecie. Rileva infatti che le segnalazioni della G. di F., su cui si fondano gli accertamenti erano relative al fatto acclarato tramite l’esame dei movimento di magazzino della venditrice Maris s.r.l. che determinati acquisti di pesce effettuati dalla SARTO s.r.l. non erano possibili in quanto la apparente fornitrice era sprovvista, nelle date considerate nelle fatture, del pesce menzionato negli atti di compravendita.

Rappresenta infatti che le indagini della Guardia di Finanza avevano evidenziato che la Maris s.r.l. era, contemporaneamente, reale fornitrice di pesce ed emittente di fatture false, e che dalle segnalazioni acquisite in atti emergeva non già che vendesse contemporaneamente a più clienti merce per cui aveva scorte reali ma insufficienti, con conseguente difficoltà di individuare la operazione inesistente, come ritenuto dalla Commissione, bensì, per le operazioni contestate negli avvisi, che non disponeva assolutamente della merce venduta, con conseguente e necessaria inesistenza dell’acquisto.

Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 41 bis; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54; artt. 2697, 2727 e 2729 c.c.; D.P.R. n. 917 del 1986. art. 75 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 nonchè dei principi generali in tema di prova, ed inoltra omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.

Espone che per giustificare l’accertamento è sufficiente da parte dell’Ufficio fornire la prova di “un ragionevole dubbio” sulla effettiva sussistenza dei costi portati in detrazione, trasferendo così sul contribuente l’onere di provare la reale esistenza dei costi medesimi. Sostiene che nella specie l’onere probatorio dell’Ufficio era stato assolto, sia sulla constatazione tratta dalle segnalazioni della Guardia di Finanza che la Maris s.r.l. nel periodo considerato svolgeva, almeno in parte, il ruolo di “cartiera”, sia per le considerazioni di cui al motivo che precede, sulla inesistenza del pesce in magazzino nei giorni in cui era stato apparentemente venduto alla SARTO s.r.l..

Rileva che la apparente regolarità contabile esibita dalla SARTO per tali acquisti, e la documentazione bancaria relativa all’avvenuto pagamento erano elementi irrilevanti, essendo noto che il soggetto attivo di operazioni inesistenti crea tale apparenza di regolarità anche per i pagamenti, di cui ottiene la restituzione in vie brevi, dedotto il costo del “servizio”.

La società in controricorso sostiene la infondatezza delle argomentazioni dell’Ufficio.

I motivi sono tra loro strettamente connessi, e si procede pertanto a trattazione congiunta. Entrambi i motivi sono fondati.

Occorre premettere che è pacifica la esistenza di una contabilità apparentemente regolare in capo alla SARTO s.r.l., relativamente alle fatture contestate.

In tale ipotesi, la documentazione della imposta detraibile è insita nella fatturazione stessa, nonchè negli adempimenti collaterali (arg. D.P.R. 26 ottobre 1972, artt. 19, 25, 39 e 54). E’infatti principio consolidato di questa Corte che ” in tema di IVA la fattura è un documento idoneo a documentare un costo della impresa, come si evince chiaramente dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, che ne disciplina il contenuto, prescrivendo tra l’altro l’indicazione dell’oggetto e del corrispettivo di ogni operazione commerciale.

Pertanto nella ipotesi di fatture che la Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, non spetta al contribuente provare che la operazione è effettiva, ma spetta alla Amministrazione, che adduce la falsità del documento, e quindi la esistenza di un maggiore imponibile, provare che la operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è stata posta in essere” (v, Cass. n. 27241 del 2005; Cass. n. 15395 del 2008).

Ne consegue che nel caso di specie, in cui non è contestata la completezza e regolarità delle scritture contabili, spetta alla Amministrazione l’onere probatorio della inesistenza della operazioni contestate. Onere peraltro che può essere adempiuto, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti; solo a seguito di tale adempimento si trasferisce sul contribuente l’onere di provare la esistenza delle stesse operazioni (v. per tutte Cass. 15395 del 2008 cit.).

Se quindi non è propriamente esatta la asserzione della Agenzia secondo cui è sufficiente a giustificare l’accertamento la prova di un ” ragionevole dubbio”, essendo invece necessario fornire un apparato presuntivo con la forza probatoria sopra citata, è sicuramente errata la affermazione della Commissione secondo cui l’accertamento parziale dovrebbe essere legittimato da un elemento probatorio talmente decisivo da contenere in sè ” una specie di automatismo argomentativo che da solo sia in grado di individuare e determinare la materia imponibile ” essendo invece soggetto alla disciplina sopra menzionata.

Ne consegue che il presupposto di fatto dell’accertamento, fondato sulla accertata inesistenza della merce compravenduta nei magazzini della venditrice, aveva forza presuntiva sicuramente idonea a concretare i requisiti probatori richiesti.

Anche il secondo motivo è fondato.

Sotto un profilo di fatto, la Commissione ha ritenuto che il presupposto su cui si basava l’accertamento era infondato in quanto non si trattava di acquisti di pesce sicuramente inesistente nel magazzino, ma solamente insufficiente a coprire tutte le vendite, per cui la inesistenza delle operazione della SARTO s.r.l ritenuta dall’Ufficio derivava dal fatto che “quest’ultima è stata posta in coda alle altre acquirenti e non perchè il suo acquisto fosse inesistente”, Fornisce un esempio di tale modalità di acquisto documentata in atti.

L’Ufficio sostiene che emergeva dalle risultanze delle segnalazioni della G. di F. il dato, ribadito in appello, che oltre ai casi di vendite di prodotto insufficiente a soddisfare le richieste, unico preso in considerazione dalla Commissione, vi erano casi documentati in cui il prodotto ittico era “ab origine” totalmente mancante nel magazzino della Maris s.r.l., sicchè le relative vendite dovevano essere considerate sicuramente inesistenti.

Il mezzo è fondato su citazioni testuali tratte dal PVC con citazione delle fatture relative alle operazioni di cui sopra, ed enunciazione delle specifiche indagini sul punto dei verbalizzanti.

Ora, se indubbiamente spetta al giudice di merito vagliare le risultanze processuali e scegliere quelle che ritiene idonee a sostenere la decisione, rimane suo onere prendere in considerazione i rilievi delle parti e, ove li ritenga irrilevanti ed infondati, esprimere valutazioni in proposito, mantenendo un criterio di coerenza e logicità che evidenzi la “ratio decidendi” adottata.

Nella specie, il puntuale rilievo di cui sopra è stato completamente obliterato dalla Commissione, che si è limitata ad una negazione apodittica, senza enunciarne i motivi; nè può dubitarsi della decisività dello stesso, in tema di fatturazione di operazioni inesistenti.

Ne deriva che la omessa considerazione dei menzionati rilievi si traduce in grave insufficienza della motivazione.

Il ricorso deve quindi essere accolto. La sentenza deve essere cassata e la causa rinviata per nuovo esame a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, che provvedere anche sulle spese di questa fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per le spese a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale del Veneto.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2010

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