Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20033 del 24/09/2020

Cassazione civile sez. II, 24/09/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 24/09/2020), n.20033

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19649/2019 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in Prato via Baldinucci n.

71, presso lo studio dell’avv.to MASSIMO GOTI, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1723/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza pubblicata il 18 aprile 2019, respingeva il ricorso proposto da M.A., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Milano aveva rigettato l’opposizione avverso la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che, a sua volta, aveva rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. La Corte d’appello rilevava che la storia personale dell’appellante, a prescindere dalla sua credibilità, non rientrava nelle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8. Il richiedente proveniva dal Pakistan ed era scappato perchè osteggiato dai parenti della donna con la quale aveva una relazione. Tale donna sarebbe stata uccisa e lui accusato della sua morte.

Il racconto era nel suo complesso privo di riferimenti fattuali e credibili e fortemente contraddittorio e confuso. In ogni caso, la vicenda aveva carattere privatistico e non rientrava nell’ambito di protezione previsto dalle norme invocate.

Quanto alla protezione sussidiaria non vi era il rischio di condanna alla pena di morte, di tortura o di altri trattamenti inumani o degradanti, di pericolo per la vita o per l’incolumità fisica. Peraltro, il Pakistan, nell’area di provenienza del richiedente, non poteva essere assimilato ad una zona di conflitto armato in un contesto di violenza generalizzata.

Il permesso di soggiorno per motivi umanitari doveva negarsi mancando una situazione di vulnerabilità e la documentazione prodotta dal richiedente, attestante la sua attuale occupazione, non poteva ritenersi sufficiente a tal scopo.

3. M.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di due motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14 e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della situazione esistente in Pakistan e dell’omessa attività istruttoria, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 e della mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi di protezione sussidiaria.

La censura attiene alla veridicità del racconto del richiedente anche tenuto conto dell’onere probatorio attenuato e del dovere di esercitare i poteri ufficiosi in capo al giudice e, dunque, la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria in relazione alle ipotesi di cui alle lettere b e c dell’art. 14, in quanto, in caso di rimpatrio, il richiedente sarebbe sottoposto al rischio di una minaccia grave e individuale alla sua vita derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno internazionale.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione all’omessa motivazione per quanto riguarda la sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La censura attiene alla sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il ricorrente ha dimostrato di essersi integrato sul territorio italiano dove risiede da tempo e lavora come operaio nel settore dell’arredamento con un contratto a tempo determinato e, dunque, l’eventuale rimpatrio contro la sua volontà nel paese di origine, ancora caratterizzato da un alto tasso di disoccupazione da un elevato livello di povertà lo esporrebbe a condizioni di vita particolarmente precaria dolorose.

2.1. I due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili anche ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, come interpretato da questa Corte a Sezioni Unite con la pronuncia n. 7155 del 2017.

Quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che la Corte d’Appello di Milano ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

La Corte d’Appello ha anche motivato sia in relazione alla situazione soggettiva del ricorrente sia in ordine alla situazione complessiva del Pakistan, sicchè è del tutto evidente che non vi è stata alcuna violazione di legge o omessa motivazione nell’accezione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

In particolare, la Corte d’Appello, se pure indica in modo generico le fonti maggiormente accreditate, fa riferimento anche al fatto che il Pakistan non è oggetto di specifiche direttive da parte dell’UNHCR.

La Corte d’Appello ha dunque esaminato la situazione generale del paese di origine ed in particolare della regione di provenienza del ricorrente, precisando che, in base alle fonti, deve escludersi una situazione di violenza indiscriminata in conflitto armato.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del Pakistan, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019, a meno che la non credibilità investa il fatto stesso della provenienza da un dato Paese).

Oltretutto l’esercizio di poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alle fattispecie previste dal citato art. 14, lett. a) e b), si impone solo se le allegazioni di costui al riguardo siano specifiche e credibili, il che non è nella specie, per quanto già detto.

Inoltre, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

Il ricorrente, infine, non richiama alcuna fonte alternativa dalla quale desumere una diversa situazione del Pakistan. Pertanto, deve darsi continuità al recente orientamento di questa Corte secondo il quale: “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (Sez. 1, Ord. n. 4037 del 2020).

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

La pronuncia impugnata, dunque, risulta del tutto conforme ai principi di diritto espressi da questa Corte, atteso che quanto al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, così facendo, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

Il racconto del ricorrente peraltro non è stato ritenuto credibile, sia in relazione alle ragioni che hanno dato origine alla partenza dal Pakistan e la situazione del paese non è stata ritenuta soggetta ad una violenza indiscriminata.

3. In conclusione il ricorso è inammissibile. Nulla sulle spese non avendo svolto attività difensiva il Ministero intimato.

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020

 

 

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