Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20033 del 06/10/2016

Cassazione civile sez. II, 06/10/2016, (ud. 09/06/2016, dep. 06/10/2016), n.20033

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15551-2012 proposto da:

M.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

G.G.BELLI 60, presso lo studio dell’avvocato LUCIANA COLANTONI, che

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati RENATO BRUALDI,

ANDREA BELLI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PERGOLA, (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZZA CAVOUR presso la CORTE di

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI CINI;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

M.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

G.G.BELLI 60, presso lo studio dell’avvocato LUCIANA COLANTONI, che

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati RENATO BRUALDI,

ANDREA BELLI;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 82/2012 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 28/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

uditi gli Avvocati COLANTONI Luciana, BELLI Andrea difensori del

ricorrente che hanno chiesto di riportarsi agli scritti;

udito l’Avvocato CINI Luigi difensore del resistente che si riporta

anch’egli ed insiste sull’accoglimento dei proprii scritti

depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

assorbito l’incidentale condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 Con atto 5.4.2000 il Comune di Pergola, convenne davanti al Tribunale di Pesaro (sez. distaccata di Fano) il prof. M.M. e sua madre, signora B.C. per ottenere la restituzione della chiave della (OMISSIS) che i convenuti avevano ricevuto in data (OMISSIS) dal Sindaco pro tempore senza il rispetto delle norme che regolano i rapporti tra le pubbliche amministrazioni ed i privati. Domandò altresì l’accertamento della proprietà comunale della Cappella per intervenuta usucapione.

Si costituì il solo M. (essendo nelle more deceduta la madre), opponendosi alla domanda sulla scorta del titolo di proprietà del proprio dante causa M.E. e di quello dei precedenti proprietari a far tempo dal (OMISSIS). Negò l’esercizio di un possesso ad usucapionem da parte del Comune.

2 Dopo l’assunzione della prova testimoniale articolata dalle parti, il Tribunale adito, con sentenza 132/2006, accolse la domanda e condannò il M. a restituire le chiavi dell’immobile al Comune di Pergola.

La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza 28.1.2012 confermò questa decisione sulla base delle seguenti argomentazioni, per quanto ancora di stretto interesse in questa sede:

– tutti i testi escussi avevano fatto riferimento ad un’unica chiave della cappella detenuta dal Comune, che gestiva le visite al monumento;

– l’inizio del possesso utile all’usucapione andava fissato al (OMISSIS);

– i testi che hanno fatto riferimento ai lavori di manutenzione hanno indicato come committente esclusivamente il Comune di Pergola;

– non essendovi elementi da cui evincere che il possesso del Comune fosse iniziato come detenzione in nomine alieno, nessuna interversione appariva profilarsi nelle circostanze di causa.

Il M. ricorre per cassazione con tre motivi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c. a cui resiste l’ente territoriale con controricorso contenente altresì ricorso incidentale condizionato.

Il ricorrente ha depositato altresì osservazioni scritte alle conclusioni rassegnate in udienza dal Pubblico Ministero.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denunzia, ai sensi all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione degli artt. 1158,1140,1141,1143,1144 e 2697 c.c. Richiamando il verbale di consegna delle chiavi da parte del Sindaco in data (OMISSIS), il ricorrente richiama il titolo di acquisto del 23.1.1953 a rogito per notaio Gigli e ritiene che, trattandosi di revindica, il Comune non era riuscito ad assolvere il rigoroso onere probatorio, mentre la motivazione della sentenza sull’acquisto per usucapione si rivelava vaga e generica non considerando la necessità di un atto pubblico ai fini dell’esercizio del possesso da parte del Comune. Osserva inoltre che la semplice disponibilità della chiave non vale a mutare la detenzione in possesso.

2 Col secondo motivo si denunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio rimproverandosi alla Corte territoriale il vizio di motivazione sul possesso utile all’usucapione. Nel criticare le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, il ricorrente evidenzia l’assenza di spiegazioni sulle modalità di acquisto del possesso dell’immobile; contesta l’affermazione, contenuta in sentenza, circa l’unanime riferimento dei testi al possesso, da parte del Comune, dell’unica chiave e richiama passaggi delle vaie deposizioni per dimostrare l’assenza di unanimità con riferimento a tale affermazione. Si duole, inoltre, del fatto che la Corte d’Appello non abbia preso in considerazione il verbale del 1990 con cui il Sindaco pro tempore gli consegnò la chiave della cappella.

3 Col terzo motivo, articolato in plurime censure, si denunzia infine nullità della sentenza per omessa pronunzia (art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112) nonchè violazioni dell’art. 101 c.p.c. e art. 24 Cost. nonchè artt. 1165 e 2937 c.c. e art. 244 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Sostiene innanzitutto il ricorrente che la Corte non ha dato risposta alla censura, mossa già nell’atto di appello, sulla individuazione del momento iniziale del possesso utile ad usucapire; si duole inoltre della omessa pronuncia sulla dedotta “rinunzia alla prescrizione acquisitiva da parte del Comune” per effetto del citato verbale di consegna della chiave sottoscritto nel (OMISSIS). Altre omissioni di pronuncia riguardano, secondo il ricorrente, la dedotta eccezione di inammissibilità dei capitoli di prova articolati dall’avversario su circostanze negative nonchè la dedotta insussistenza dell'”animus rem sibi habendi” e “animus excludendi”.

4 I tre motivi – che ben si prestano a trattazione unitaria – sono privi di fondamento.

La Corte d’Appello (v. pag. B sentenza impugnata) ha accertato che il Comune era divenuto proprietario del bene per intervenuta usucapione, desumendo il possesso esclusivo da una serie di circostanze di fatto riferite dai testi, quali la detenzione dell’unica chiave da parte del Comune, che solo consentiva le visite al monumento; la circostanza che i lavori di manutenzione e ristrutturazione erano stati curati dal Comune, come riferito dai testi, ad eccezione del teste Trastulli; l’individuazione del dies a quo, che andava fatto risalire al (OMISSIS) (come riferito dal teste B. e documentato dalla guida del Touring Club Italiano) o al (OMISSIS), come riferito dai testi S. e A.. Al riguardo la Corte di merito ha precisato che tale divergenza non incide sulla determinazione del ventennio utile.

Ha quindi ritenuto che nessuna interversione del possesso appare profilarsi perchè non vi sono elementi da cui desumere un possesso iniziato come detenzione nomine alieno, ma solo dati di fatto sintomatici di un possesso dotato di tutti requisiti utili all’usucapione.

La Corte d’Appello, inoltre non ha mancato di valutare le deposizioni dei testi addotti dal convenuto spiegando perchè non le ha ritenute attendibili (v. pag. 9 con riferimento alle dichiarazioni dei testi T., C., Tr. e L.).

Un tale percorso motivazionale, frutto di un tipico apprezzamento in fatto, si rivela privo di vizi logici e pertanto si sottrae alle critiche del ricorrente, tutte sostanzialmente incentrate sulla motivazione, perchè – è bene ricordarlo – secondo il costante orientamento di questa Corte, anche a sezioni unite – ed oggi ribadito – la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (v. tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 17477 del 09/08/2007 Rv. 598953; Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997 Rv. 511208; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014 Rv. 629382).

Va altresì aggiunto – per rispondere all’apposito rilievo contenuto nel primo motivo – che la distinzione tra i beni pubblici e i beni privati non discrimina due categorie concettuali di proprietà, ma soltanto due categorie giuridiche di beni, la prima delle quali presenta un peculiare regime giuridico (inalienabilità, inusucapibilità, vincolo di destinazione per i beni pubblici appartenenti a privati, ecc.).

Ne consegue che la P.A. può usucapire il bene privato (v. Sez. 2, Sentenza n. 9682 del 06/05/2014 Rv. 630623; Sez. 2, Sentenza n. 14917 del 23/11/2001 Rv. 550584; Sez. 1, Sentenza n. 2913 del 11/03/1992 Rv. 476191).

Infondata è infine la censura contenuta nel terzo motivo (omessa pronuncia sulla dedotta rinunzia alla usucapione).

Come è noto, qualora venga denunziato un vizio di omessa pronuncia su una domanda od eccezione, la Corte di Cassazione è tenuta a verificarne oltre che la ritualità e la tempestività della proposizione, anche la decisività (tra le tante, Sez. U, Sentenza n. 15781 del 28/07/2005 Rv. 583090; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5344 del 04/03/2013 Rv. 625408).

Nel caso di specie, pur riconoscendosi la tempestività e ritualità della proposizione dell’eccezione in appello (del resto menzionata nella stessa sentenza a pag. 7), ne va tuttavia esclusa la decisività.

Sostiene il M. che se la Corte d’Appello avesse esaminato il motivo avrebbe dato atto di un comportamento del Comune assolutamente incompatibile con la volontà di avvalersi della causa di acquisto del diritto, avendo il Sindaco G. proceduto con apposto verbale del (OMISSIS) consegnato le chiavi delle ex Chiesa “ai legittimi proprietari” sigg. M.M. e B.C.. Considera irrilevante la tesi avversaria sulla mancanza delle prescritte autorizzazioni e quindi sulla irriferibilità al Comune del comportamento del Sindaco dell’epoca, perchè il Comune non ha dimostrato la necessità delle predette autorizzazioni nè ha fatto valere nei modi e nelle sedi opportune i dedotti vizi dell’atto o il comportamento ultra vires del Sindaco.

La tesi non è condivisibile:

Come già rilevato da questa Corte, i requisiti di validità dei contratti posti in essere dalla P.A. anche iure privatorum attengono essenzialmente alla manifestazione della volontà e alla forma: la prima deve provenire dall’organo al quale è attribuita la legale rappresentanza (previe eventuali delibere di altri organi), mentre la forma deve essere, a pena di nullità, scritta, al fine precipuo di consentire i controlli cui l’azione amministrativa è sempre soggetta (in termini, ad esempio, Cass. 12 maggio 1995 n. 5179, specie in motivazione). E’ palese, di conseguenza, che ove fa difetto sia una manifestazione della volontà dell’ente pubblico, proveniente dall’organo al quale dalla legge è attribuita la legale rappresentanza dell’ente stesso, previe le eventuali delibere di altri organi, nonchè la forma scritta ad substantiam, non si è in presenza ad un “contratto”, ancorchè invalidamente concluso, ma a un comportamento di fatto privo di rilievi di sorta, sul piano giuridico, mancando – in radice – quell”accordo” tra le parti, presupposto dall’art. 1321 c.c. anche per il costituirsi di un contratto invalido o non opponibile ai terzi Sez. 3, Sentenza n. 15197 del 24/11/2000 Rv. 542141; Sez. 3, Sentenza n. 15037 del 05/08/2004 Rv. 575907 non massimata; Sez. 1, Sentenza n. 6561 del 17/07/1997 Rv. 506091).

Sulla base di questo principio, a cui va data senz’altro continuità, è evidente che una iniziativa adottata del tutto autonomamente da un Sindaco ed incidente sulla sorte di un immobile non poteva sortire effetti per l’ente.

La questione trascurata dalla Corte d’Appello è priva dunque di decisività anche perchè (in base al principio dell’autosufficienza) spettava alla parte ricorrente – che dà per scontata la piena validità del verbale del (OMISSIS) – dimostrare la non necessarietà, nel caso di specie, della preventiva autorizzazione di altri organi comunali al compimento di un atto dispositivo di un diritto su bene immobile.

In conclusione, il ricorso, che si risolve in una alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, senza cogliere errori di diritto o profili di illogicità della motivazione, deve essere rigettato con addebito di spese al ricorrente, restando logicamente assorbito l’esame del ricorso incidentale proposto dal Comune di Pergola in via meramente condizionata.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna il ricorrente al pagamento delle spese, del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2016

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