Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20032 del 24/09/2020

Cassazione civile sez. II, 24/09/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 24/09/2020), n.20032

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20074/2019 proposto da:

S.K.J., elettivamente domiciliato in Torino, via

Groscavallo n. 3, presso lo studio dell’avv.to ALESSANDRO PRATICO’,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

o rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 26/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Milano, con decreto pubblicato il 26 aprile 2019, respingeva il ricorso proposto da S.K.J., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che il racconto del richiedente non era credibile. La narrazione circa i motivi che lo avevano costretto all’espatrio era, infatti, troppo generica, priva di qualsivoglia dettaglio o circostanza che potesse dare un minimo di valore al racconto. Il ricorrente privo di documenti d’identità del paese di origine aveva dichiarato di aver fatto ingresso irregolare in Italia 1111 luglio 2015 attraverso la frontiera marittima siciliana, proveniente dalla Libia. Dalla nota di accompagnamento del modello redatto presso la questura di Lecco risultava che la richiesta di asilo era fondata sul fatto che nel paese di provenienza imperversavano bande di criminali da cui era stato picchiato e minacciato di morte, subendo una situazione di estremo pericolo e di incertezza per la sua incolumità. I genitori erano stati uccisi dai terroristi di (OMISSIS).

Sentito dalla commissione, il richiedente aveva dichiarato di essere nato a (OMISSIS) di appartenere al gruppo etnico Edo e di essere di religione cristiana. I genitori erano morti e la sorella, con la quale era ancora in contatto, si era trasferita in Sudafrica. Egli era andato a scuola per otto anni, non era sposato e non aveva figli.

Quanto al motivo della partenza il richiedente dichiarava di essere entrato in contrapposizione con un esponente del cult (OMISSIS) che corteggiava la sorella e che a seguito del rifiuto l’aveva rapita e stuprata. Il ricorrente le aveva consigliato di rivolgersi alla polizia per denunciare il gravissimo fatto e la ragazza aveva rifiutato perchè il padre del ragazzo era un poliziotto e temeva le sue possibili ritorsioni. A quel punto il ricorrente aveva organizzato delle contromisure si era messo in contatto con un amico esponente del cult (OMISSIS) al quale aveva chiesto di accompagnarlo dall’uomo che aveva fatto male alla sorella. Durante l’incontro era nata una colluttazione e il violentatore della sorella aveva avuto la peggio. Una volta dimesso dall’ospedale questi si era messo alla ricerca dell’amico del ricorrente e non avendolo trovato si era messo sulle sue tracce per poter risalire all’altro e così il ricorrente era stato brutalmente aggredito e picchiato, fino a farlo svenire e la polizia, chiamata dalla sorella, era arrivata troppo tardi. La sorella dunque gli aveva suggerito di lasciare il paese.

Dopo l’aggressione la sorella non era stata più molestata e non si sapeva spiegare perchè non aveva più avuto notizie dell’amico e aveva paura di rientrare per le minacce finalizzate a fargli dire dove questi si trovasse.

Il Tribunale riteneva credibile il racconto solo in ordine alla provenienza del richiedente, quanto agli altri fatti narrati invece lo reputava inverosimile. La vicenda, infatti, presentava numerose contraddizioni intrinseche non superate nel corso dell’audizione personale, ad esempio il fatto che i genitori erano stati uccisi a causa dei terroristi di (OMISSIS) non era mai più stato riportato dopo la prima affermazione e dunque non poteva essere credibile. Allo stesso modo non erano credibili le vicende con riferimento al mondo dei Cult. Tutto il racconto era inverosimile e, dunque, le ragioni che avrebbero indotto il ricorrente a lasciare il paese non potevano essere quelle riferite, venendo così a mancare i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale umanitaria. La difesa aveva rinunciato alla domanda per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato. Quanto alla protezione sussidiaria non sussistevano i rischi previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). L’unico timore era costituito dalla possibile ritorsione da parte di un esponente del cult dei (OMISSIS), peraltro dai documenti risultava che vi era una risposta dello Stato al fenomeno dei cult. La Nigeria non era in una situazione di conflitto armato generalizzato e, come risultava dalle fonti internazionali, gli Stati del sud erano relativamente tranquilli.

Quanto alla protezione umanitaria, il Tribunale evidenziava che il ricorrente, pur avendo affermato di essere stato vittima di tortura e di avere significativi problemi di salute, non aveva allegato nulla a tal proposito e, inoltre, vista la complessiva non credibilità dei fatti narrati doveva escludersi una vulnerabilità del ricorrente in caso di rientro in patria.

D’altra parte, l’integrazione del richiedente era pressochè assente, essendo sempre rimasto nel centro di accoglienza e non potendo ravvisarsi una grave sproporzione tra la sua condizione in Italia e quella di reinserimento nel paese di provenienza.

3. S.K.J. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di due motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito tardivamente al solo fine di partecipare all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il ricorso non è articolato in motivi rubricati e pone una prima questione relativa alla mancata audizione del richiedente in violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis.

Una seconda questione riguarda la valutazione negativa sulla credibilità del ricorrente basata su parametri diversi da quelli normativi e senza porre in essere l’obbligo di cooperazione istruttoria in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3. In particolare, nel paese di origine sussisterebbe una situazione di alto rischio individuale di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Infine, il ricorrente pone una questione relativa alla protezione umanitaria in quanto il quadro generale di violenza indiscriminata integra una situazione di vulnerabilità e ciò anche sotto il profilo soggettivo, avendo il ricorrente trovato un lavoro stabile.

La situazione della Nigeria rientrerebbe nell’ipotesi di cui alla norma citata mentre il tribunale si sarebbe limitato a dire che non vi è una situazione di conflitto armato generalizzato, senza contestualizzare anche in relazione alla situazione del richiedente.

2.1. I tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

Con riferimento alla mancata audizione del richiedente asilo, deve osservarsi che dall’esame degli atti del fascicolo processuale, consentito trattandosi di una censura relativa a error in procedendo, in relazione al quale la Corte è anche giudice del fatto, emerge che il Tribunale, nell’avviso di fissazione dell’udienza D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, aveva avvertito la parte che non era necessario presentarsi personalmente, perchè l’audizione non era necessaria.

Ne consegue che, anche accedendo all’interpretazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11, secondo la quale deve essere disposta l’audizione ogni qual volta manchi la videoregistrazione del colloquio del richiedente asilo dinanzi la commissione territoriale, l’errore del Tribunale sarebbe sanato, trattandosi di nullità relativa che doveva essere eccepita dal ricorrente nel primo atto difensivo utile ex art. 157 c.p.c., comma 2.

2.2 Quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale di Milano ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

Il Tribunale ha anche motivato sia in relazione alla situazione soggettiva del ricorrente sia in ordine alla situazione complessiva della Nigeria, sicchè è del tutto evidente che non vi è stata alcuna violazione di legge o omessa motivazione nell’accezione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Ne consegue che la censura si risolve in una richiesta di nuova valutazione dei medesimi fatti.

Il ricorrente, inoltre, deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla sua vicenda personale ed alla situazione generale della Nigeria, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta quanto all’insicurezza del Paese di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata nei giudizi di merito.

Come si è detto il Tribunale ha esaminato, richiamando varie fonti di conoscenza, la situazione generale del paese di origine ed in particolare della regione di provenienza del ricorrente, precisando che, in base alle fonti, deve escludersi una situazione di violenza indiscriminata in conflitto armato.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali della Nigeria, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019, a meno che la non credibilità investa il fatto stesso della provenienza da un dato Paese). Invece l’esercizio di poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alle fattispecie previste dal citato art. 14, lett. a) e b), si impone solo se le allegazioni di costui al riguardo siano specifiche e credibili, il che non è nella specie, per quanto già detto.

Inoltre, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il ricorrente lamenta il riferimento a fonti non aggiornate ma non indica altre fonti più recenti che siano idonee a smentire quanto accertato dal Tribunale.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

La pronuncia impugnata, dunque, risulta del tutto conforme ai principi di diritto espressi da questa Corte, atteso che quanto al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, così facendo, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

3. In conclusione il ricorso è infondato. Nulla sulle spese non avendo svolto attività difensiva il Ministero intimato.

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020

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