Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20032 del 11/08/2017

Cassazione civile, sez. trib., 11/08/2017, (ud. 01/06/2017, dep.11/08/2017),  n. 20032

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8493/2010 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

E.G., rappresentato e difeso dall’avv. Luigi Taddeo,

con domicilio eletto in Roma via Nomentana 263, presso lo studio del

dr. Michelangelo Mattia;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania del 18/11/08, depositata il 23 febbraio 2009, n. 19;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’1 giugno

2017 dal Consigliere Giuseppe Tedesco.

Fatto

RILEVATO

che:

– l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania (Ctr), che ha rigettato l’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale, che aveva parzialmente accolto il ricorso del contribuente in relazione a un avviso di accertamento con il quale, per quanto ancora interessa in questa sede, veniva contestata l’omessa contabilizzazione di compensi per l’anno di imposta 1999;

– il ricorso, cui il contribuente ha reagito con controricorso, è proposto sulla base di due motivi.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, nonchè dell’art. 2967 c.c.;

– la violazione in cui sarebbe incorsa la Ctr è di non avere considerato che, nella specie, l’accertamento si fondava sul confronto, da un lato, fra le fatture emesse nel periodo di riferimento e, dall’altro, le prestazioni effettuate nel medesimo periodo, confronto che aveva fatto emergere che, per alcune di tali prestazioni, non esisteva riscontro contabile, per cui il Fisco, diversamente da quanto ritenuto dalla Ctr, non aveva oneri probatori ulteriori, essendo semmai il contribuente a dovere provare che “a fronte di prestazioni rilevate dalla documentazione esibita, veniva emessa fattura nel periodo di imposta in corso o in quello successivo”;

– il motivo è inammissibile a causa della formulazione del quesito di diritto, che non è conferente rispetto all’illustrazione del motivo e non è aderente alla fattispecie concreta;

– va premesso che la sentenza e il motivo coincidono in ordine alla individuazione del tipo di accertamento compiuto nel caso di specie;

– nella sentenza si legge infatti: “l’Agenzia delle entrate non ha proceduto ad un accertamento induttivo, in presenza di contestata inattendibilità delle scritture contabili, ma ad un accertamento analitico su singole prestazioni” e, analogamente, nel ricorso per cassazione, nella sezione dedicata all’illustrazione del motivo, si legge: “(…) nel caso in esame l’A.F., nell’accertare il maggior reddito, non ha utilizzato alcuna presunzione, come sostenuto dal ricorrente, ma solo le scritture contabili”;

– tuttavia il quesito di diritto, nelle sue varie articolazioni, ipotizza che l’Amministrazione finanziaria abbia proceduto a un accertamento induttivo in presenza di scritture contabili irregolari e che la Ctr, nonostante la globale inattendibilità della contabilità, abbia negato il potere del Fisco di procedere in via induttiva “avvalendosi anche di semplici indizi sforniti dei requisiti necessari per costituire prova presentiva. Dica perciò (la Corte) se la circostanza che le irregolarità contabili siano così gravi e numerose da giustificare un giudizio di complessiva inattendibilità delle stesse rende di per sè sola legittima l’adozione del metodo induttivo. Dica ancora se nella fattispecie in esame (…), vi sia stata una violazione del combinato disposto di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e art. 2697 c.c., nella parte in cui la Ctr addossa all’Agenzia delle entrate l’onere della prova che invece, ex lege, incombe al contribuente in virtù del principio dell’inversione dell’onere della prova”;

– il quesito di diritto ipotizza perciò una fattispecie diversa da quella a cui sono riferiti sia la sentenza impugnata e sia il motivo di ricorso;

– nella sentenza, in verità, c’è un passaggio motivazionale che accenna al fatto che le scritture fossero nella specie regolari, ma questo accenno è volto ad una diversa finalità, nel senso che la Ctr, attraverso quel riferimento, voleva porre in luce un ulteriore elemento che rendeva verosimile la replica del contribuente sull’aspetto in contestazione, e cioè che gli importi non contabilizzati, tenuto conto che il regime fiscale dei professionisti va per cassa e non per competenza, non fossero stati incassati nel periodo oggetto di accertamento;

– insomma la ratio della decisione si deve identificare in quel passaggio della motivazione, là dove a Ctr afferma che, in presenza di un’attività che si “basa per i ricavi sul principio della cassa e non della competenza”, era onere del Fisco dare la prova dell’effettivo incasso e comunque di elementi dai quali presumere che, effettivamente – secondo il principio dell’id quod plerumque accidit razionalmente applicato – nella specie vi fosse stato un pagamento “nel periodo di imposta oggetto dell’accertamento”;

– tale ratio della decisione è stata sì oggetto di censura con il motivo, in presenza tuttavia di un quesito di diritto palesemente incongruo e persino contraddittorio rispetto a tale stessa censura;

– è parimenti inammissibile il secondo motivo di ricorso, anch’esso dedotto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con il quale si pone una questione (la legittimità dell’avviso di accertamento motivato per relationem), di cui non si comprende l’attinenza con la sentenza impugnata; e ancora meno si comprende l’attinenza dei quesiti di diritto che chiudono il motivo, posto che con essi, in forma astratta, si chiede alla Corte di stabilire se il difetto di congruità fra costi e ricavi possa giustificare un accertamento induttivo e di esprimersi sulla idoneità delle percentuali di ricarico a corroborare un accertamento di maggiori ricavi;

– in conclusione, i motivi di ricorso vanno dichiarati inammissibili.

PQM

 

dichiara inammissibili i motivi di ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 1 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2017

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