Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20030 del 24/09/2020

Cassazione civile sez. II, 24/09/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 24/09/2020), n.20030

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20712/2019 proposto da:

E.M.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI,

21, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLO PIERRO, rappresentato e

difeso dall’avvocato MASSIMO PRETI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO PROTEZIONE INTERNAZIONALE

MILANO;

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 25/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Milano, con decreto pubblicato il 25 aprile 2019, respingeva il ricorso proposto da E.M.P., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che il racconto del richiedente non era credibile. La narrazione circa i motivi che lo avevano costretto all’espatrio era, infatti, troppo generica, priva di qualsivoglia dettaglio o circostanza che potesse dare un minimo di valore al racconto. Egli, infatti, aveva riferito di lavorare come meccanico e di essere stato avvicinato da un cliente che gli aveva chiesto di testimoniare in cambio di 10 milioni di franchi, nella causa contro l’ex presidente G.L. e contro B.G.C.. Egli avrebbe dovuto testimoniare che il presidente non aveva vinto le elezioni e che erano state uccise tantissime persone. Questo cliente si era rivolto a lui e ad un suo amico nell’ambito dell’officina dove lavorava in quanto li conosceva meglio degli altri. Il richiedente si era rifiutato di fornire la falsa testimonianza ed era stato per questo minacciato di morte. Anche il collega si era rifiutato di testimoniare ed era sparito e non aveva mai più fatto ritorno. Successivamente aveva saputo che il cliente dell’officina che gli aveva chiesto di testimoniare lo cercava, e per paura aveva mandato la compagna e il figlio dai genitori e aveva deciso di partire. In caso di rimpatrio temeva che il suddetto cliente volesse fargliela pagare.

Il Tribunale riteneva non credibile il racconto del richiedente salvo che per quanto riferito circa le sue origini di provenienza. Sia il Presidente che l’altro leader della milizia erano stati arrestati dalle forze Onu su mandato della Corte penale internazionale nell’ambito del processo per crimini contro l’umanità perpetrati all’esito dei risultati elettorali del 2010 e conclusosi con la loro assoluzione nel 2019.

Il Tribunale rilevava anche che i più recenti rapporti sulla Costa d’Avorio pur evidenziando l’esistenza di iniziative di polizia giudiziaria nei confronti dei sostenitori del partito FPI, riportavano l’assenza di un sistema di tutela effettivo per coloro che avevano assistito alle violenze post-elettorali e che erano chiamati a testimoniare nel processo sopra menzionato.

Le fonti menzionate, infatti, confermavano che nell’ambito del processo erano state effettivamente sentite numerose persone in qualità di testimoni, tuttavia tali testimonianze non erano tese, come invece genericamente affermato dal ricorrente, a provare che l’ex presidente non aveva vinto le elezioni, bensì ad accertare le sue responsabilità per aver ordinato la commissione di crimini contro l’umanità. Si trattava appunto di crimini precisi e di circostanze specifiche e non generiche come quelle riferite in sede di audizione.

In particolare, la scarna indicazione circa i fatti in relazione ai quali il ricorrente avrebbe dovuto testimoniare e il periodo nel quale detta testimonianza avrebbe dovuto svolgersi, oltre al profilo del ricorrente e alle singolari circostanze del reclutamento, erano tutti elementi che portavano ad escludere la credibilità del racconto. Anche il nome del reclutatore non sembrava emergere da alcuna fonte nonostante il richiedente avesse detto che era un’importante figura politica.

Dunque, il richiedente non aveva lasciato il proprio paese per ragioni di natura persecutoria e, dunque, non poteva riconoscersi la protezione richiesta, non essendoci alcun fondato rischio di atti persecutori in caso di rimpatrio, nè di condanna a morte o di esecuzione di una condanna già emessa o di tortura o di altra forma di trattamento inumano e degradante.

La Costa d’Avorio, sulla base di fonti di conoscenza aggiornate, non versava in una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato.

Quanto alla protezione umanitaria il richiedente aveva documentato la frequenza ad un corso di lingua e un contratto di locazione che non erano elementi sufficienti per far ritenere sussistente la condizione di vulnerabilità, anche tenuto conto delle condizioni personali del richiedente nel caso di rimpatrio. Peraltro, questi aveva riferito di aver nel proprio paese contatti diretti con la madre e con la compagna e la vita trascorsa in Italia non era indicativa di un effettivo radicamento e la valutazione di non credibilità dei fatti induceva a ritenere che la decisione di partire non era dovuta alla necessità di sottrarsi ad situazione di grave violazione individuale

3. E.M.P. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’onere probatorio – violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, violazione della Convenzione di Ginevra del 1951, violazione D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1. Error in judicando sulla credibilità di quanto narrato.

A parere del ricorrente il racconto era credibile anche tenuto conto dell’onere probatorio attenuato e la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe assolutamente incoerente e contraddittoria oltre che poco approfondita. Peraltro, la situazione del richiedente concretizzerebbe la persecuzione da parte di componenti di un gruppo politico con violenza sui cittadini civili, ai sensi della convenzione di Ginevra.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, violazione della Convenzione di Ginevra del 1951 e della direttiva Europea n. 32/2013, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, sotto altri profili, difetto di istruttoria e di motivazione. Error in judicando per non aver valutato le circostanze di fatto di diritto in merito alla concessione dello status di rifugiato o della protezione internazionale o umanitaria.

A parere del ricorrente sarebbe concreto il pericolo di tortura o altra forma di trattamento inumano e degradante dovendosi tener conto sia del racconto del richiedente sia della situazione generale del paese di provenienza che avrebbe dovuto essere approfondita dal Tribunale.

La censura si incentra sulla sussistenza di atti persecutori sufficientemente gravi per loro natura o frequenza da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali anche in relazione alla situazione generale del paese di provenienza ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). In particolare, la Costa d’Avorio sarebbe ancora un paese nel quale avvengono violenze per motivi politici.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19,L. n. 189 del 2002, D.P.R. n. 394 del 1999, D.Lgs. n. 25 del 2008, dell’art. 10 Cost., comma 3. Error in judicando per non aver valutato delle circostanze di fatto di diritto in merito alla concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

A parere del ricorrente sussisterebbe una situazione di vulnerabilità sotto il profilo soggettivo ed oggettivo anche per l’asilo umanitario essendo impedito nel paese d’origine l’esercizio delle libertà democratiche.

4. I tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili anche ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, come interpretato da questa Corte a Sezioni Unite con la pronuncia n. 7155 del 2017.

Quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale di Milano ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

Il Tribunale ha anche motivato sia in relazione alla situazione soggettiva del ricorrente sia in ordine alla situazione complessiva della Costa d’Avorio, sicchè è del tutto evidente che non vi è stata alcuna violazione di legge o omessa motivazione nell’accezione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Ne consegue che la censura si risolve in una richiesta di nuova valutazione dei medesimi fatti.

Il ricorrente, inoltre, deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla sua vicenda personale ed alla situazione generale della Costa d’Avorio, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta quanto all’insicurezza del Paese di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata nei giudizi di merito.

Come si è detto il Tribunale ha esaminato, richiamando varie fonti di conoscenza, la situazione generale del paese di origine ed in particolare della regione di provenienza del ricorrente, precisando che, in base alle fonti, deve escludersi una situazione di violenza indiscriminata in conflitto armato.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali della Costa d’Avorio, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019, a meno che la non credibilità investa il fatto stesso della provenienza da un dato Paese). Invece l’esercizio di poteri officiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alle fattispecie previste dal citato art. 14, lett. a) e b), si impone solo se le allegazioni di costui al riguardo siano specifiche e credibili, il che non è nella specie, per quanto già detto.

Inoltre, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il ricorrente lamenta il riferimento a fonti non aggiornate ma non indica altre fonti più recenti che siano idonee a smentire quanto accertato dal Tribunale.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

La pronuncia impugnata, dunque, risulta del tutto conforme ai principi di diritto espressi da questa Corte, atteso che quanto al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, così facendo, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

5. In conclusione il ricorso è inammissibile.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.100 più spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020

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