Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20030 del 22/09/2010

Cassazione civile sez. trib., 22/09/2010, (ud. 02/07/2010, dep. 22/09/2010), n.20030

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26819/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

VIA LATTEA SPA, in persona del Presidente del C.d.A., e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA E.

QUIRINO VISCONTI, 20, presso lo studio dell’avvocato PETRACCA NICOLA

DOMENICO, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 67/2005 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 24/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/07/2 010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

in subordine rigetto.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

La società contribuente sopra indicata ha proposto ricorso avverso l’avviso di accertamento con cui era stato rettificato il reddito IRPEG ILOR per il periodo d’imposta in contestazione, sul presupposto che la società avesse simulato la conclusione di contratti di soccida con diversi allevatori per eludere le limitazioni imposte dalla normativa comunitaria in tema di “quote latte”.

La C.T.P. ha respinto il ricorso, riconoscendo la legittimità dei contratti di soccida, ma considerando comunque correte le riprese operate dal’Ufficio e confermando pertanto il reddito d’impresa accertato.

La C.T.R., invece, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto l’appello della società, ritenendo non comprensibile che la C.T.P. avesse considerato legittime le rettifiche una volta accertata l’insistenza della simulazione e rilevando che nessuna contestazione risultava avanzata dall’Ufficio riguardo all’omessa registrazione di costi e ricavi, per cui il reddito non poteva che coincidere con quello dichiarato.

Ricorre per cassazione l’Agenzia con due motivi. Col primo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, e art. 40, comma 2, e D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 2, lamenta che la decisione impugnata sarebbe affetta da grave errore logico-giuridico, in quanto la legittimità sul piano comunitario dei contrati di soccida non comporta l’attendibilità e la regolarità, ai fini tributari, delle componenti positive e negative esposte nel conto economico.

Col secondo motivo, la ricorrente deduce omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo, lamentando che la CTR si sarebbe limitata a prendere atto della presunta regolarità dei contratti di soccida senza accertare compiutamente la fondatezza o meno della pretesa sulla base dei rilievi consistenti nella omessa documentazione ed inerenza dei “costi verso i soccidari” e sulla fittizietà di costi ritenuti dall’Ufficio relativi ad operazioni “oggettivamente inesistenti”, nonchè nell’accertamento di “attività soggettivamente fittizie”, essendosi la società sostituita ai soccidari nella fatturazione del latte fresco venduto alle latterie, e di maggiori “ricavi da momentanea cessione delle quote latte”. La sentenza sarebbe inoltre lacunosa, laddove ha ritenuto inesistenti le contestazioni sull’omessa registrazione di costi o ricavi, mentre l’avviso faceva riferimento proprio ad esposizione in bilancio di attività e passività inesistenti; nonchè contraddittoria, perchè avrebbe dato atto che la rettifica dipendeva da gravi irregolarità nella compilazione del conto economico, ma poi avrebbe ignorato le ragioni poste a base della rettifica.

La società resiste con controricorso, in cui chiede dichiararsi inammissibile e, comunque, rigettarsi il ricorso.

Le censure – che possono trattarsi congiuntamente, stante l’intima connessione – si rivelano inammissibili.

Infatti, quanto al primo motivo, rileva il Collegio che la parte erariale censura l’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui non si comprendeva come la CTP avesse ritenuto corrette le variazioni una volta accertata l’inesistenza della simulazione e che nessuna contestazione risultava avanzata dalla parte erariale riguardo all’omessa registrazione di costi e ricavi nel periodo, non ha minimamente spiegato in quale maniera, attraverso tali affermazioni, i giudici di appello avrebbero violato il D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40. La C.T.R. in sostanza, ha fatto buon governo delle regole in tema di sussistenza dei presupposti e di riparto dell’onere probatorio in tema di comportamenti “abusivi”.

Infatti, in materia tributaria, integra gli estremi del comportamento abusivo quell’operazione economica che, tenuto conto sia della volontà delle parti implicate che del contesto fattuale e giuridico, ponga quale elemento predominante ed assorbente della transazione lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta. La prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di reale spessore che giustifichino operazioni in quel modo strutturate (Cass. n. 1465/09; v. anche Cass. n. 8772 e 10257/08). Nel caso in esame, la parte erariale, ha opportunamente segnalato la deviazione dallo schema tradizionale dalla soccida, quale contrato associativo agrario (realizzata, nell’ipotesi, principalmente attraverso le pattuizioni attinenti la fase precedente e quella successiva, relative all’acquisto dal soccidario e poi alla rivendita allo stesso del bestiame, da parte del soccidante, alla scadenza del contratto), perchè il bestiame è solo formalmente apportato dal soccidante; mentre il contributo effettivo che questi conferisce nell’affare è la disponibilità della propria “quota” di produzione di latte.

Tuttavia, nulla viene specificamente dedotto nè documentato dall’Agenzia in ordine al vantaggio fiscale che sarebbe derivato alla società “accertata” dalla descritta manipolazione degli schemi contrattuali classici; mentre è pacifico tra le parti che la stessa sia stata adottata al fine economico/amministrativo di giustificare la diversa allocazione della produzione, onde evitare il prelievo comunitario (gravante sul produttore/soccidario, in caso di sforamento della sua “quota”). La parte erariale ha esclusivamente dedotto la scarsa economicità dell’operazione per il soccidante e l’inadeguata prova dell’inerenza dei costi verso il soccidario oggetto di deduzione, ma si tratta di elementi che trovano fondamento nelle pattuizioni contrattuali, la cui abusività ai fini fiscali non è stata, come si è detto, specificamente dedotta nè asseverata in forza di altri elementi, nè corroborata dall’accertamento di vantaggi fiscali abusivi da parte degli allevatori/soccidari.

Per le stesse ragioni, deve escludersi che il secondo motivo del ricorso abbia specificato adeguatamente il fatto controverso, nè il vizio omissivo o logico nel quale sia incorso il giudice del merito e la diversa soluzione cui, in difetto di detto vizio, sarebbe stato possibile pervenire sulla questione decisa (Cass., V civ., n. 1170/04).

Ricorrono giusti motivi, tra cui la novità della questione le peculiarità dei suoi profili, per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2010

 

 

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