Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2003 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. I, 28/01/2021, (ud. 09/12/2020, dep. 28/01/2021), n.2003

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 370-2019 r.g. proposto da:

S.Q., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Marco

Fattori, con cui elettivamente domicilia in Roma, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Trieste, depositata in

data 19.10.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

9/12/2020 dal Consigliere Dott. Amatore Roberto.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Trieste ha rigettato l’appello proposto da S.Q., cittadino del Pakistan, nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 10.10.2017 dal Tribunale di Trieste, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.

La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato e vissuto in Pakistan; li) di essersi trasferito in Libia e poi di essere scappato dal paese nordafricano a causa della guerra civile. La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sub D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto e perchè peraltro non aveva neanche allegato e provato di aver subito violenze e vessazioni nel paese di transito e perchè da ultimo aveva confessato di aver lasciato il Pakistan per ragioni strettamente economiche; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al Punjab, regione pakistana di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, perchè il ricorrente non aveva dimostrato un saldo radicamento nel contesto sociale italiano e non aveva neanche provato una situazione di personale vulnerabilità.

2. La sentenza, pubblicata il 19.10.2018, è stata impugnata da S.Q. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, e cioè la mancata valutazione della circostanza della permanenza del richiedente in Libia.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 3, in relazione alla valutazione delle informazioni sulla situazione del paese di transito.

3. Il terzo motivo solleva profili di illegittimità costituzionale del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, art. 1, così come convertito dalla L. n. 132 del 2008, in riferimento alla abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari e alla disciplina dei casi speciali di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario.

4. Con il quarto motivo si chiede la sospensione dell’esecutività del provvedimento impugnato.

5. Il ricorso è infondato.

6. Il quarto motivo – che deve essere esaminato per primo per ordine di priorità logica – è inammissibile, posto che, ai sensi dell’art. 373 c.p.c., comma 1, la proposizione del ricorso per cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza impugnata (sospensione che comunque andrebbe richiesta al giudice a quo) e perchè, nella materia in esame, le ipotesi di sospensione automatica sono quelle regolate dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 4, ratione temporis applicabile.

7. Il primo motivo è infondato, in quanto non corrisponde al vero che la corte di appello non avesse considerato la riferita circostanza del transito in Libia, posto che la corte di merito ha svolto il giudizio anche in relazione a tale profilo di censura, ritendo non dimostrato il fatto allegato dal richiedente di aver subito violenze e vessazioni in Libia e comunque non credibile il racconto reso dal ricorrente sulla sua vicenda personale che doveva essere ricondotta ad una ipotesi di migrazione economica.

La doglianza è peraltro formulata in modo generico e non circostanziata in relazione alle censure mosse al provvedimento impugnato.

5.2 Il secondo motivo è anch’esso infondato in quanto non si comprende la ragione per la quale i giudici del merito avrebbero dovuto attivare i poteri di integrazione istruttoria per approfondire la situazione interna della Libia che non è il paese di provenienza (e di possibile rimpatrio) del richiedente, ma solo il paese di transito.

Sul punto non è inutile ricordare come la giurisprudenza di questa Corte abbia già chiarito che, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 31676 del 06/12/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 29875 del 20/11/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 2861 del 06/02/2018).

Situazione quest’ultima neanche prospettata da parte del ricorrente.

5.3 Nel terzo motivo si agita impropriamente una questione di legittimità costituzionale, che può essere, invero, oggetto della richiesta della parte di sollevare la relativa eccezione innanzi al Giudice delle Leggi, ma non già motivo di impugnazione.

La questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente è comunque inammissibile in ragione della sua evidente irrilevanza, applicandosi al caso di specie la precedente disciplina rispetto a quella ora regolata dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, così come convertito dalla L. n. 132 del 2008, normativa quest’ultima rispetto alla quale il ricorrente solleva dubbi di costituzionalità.

Sul punto, occorre richiamare la recentissima sentenza resa a sezioni unite da questa Corte, secondo la quale, verbatim “In tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per il rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile, ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tali ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per “casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge” (Cass., ss.uu., sent. 29459/2019).

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 96602019.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

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